L’incontro, con happy end.
Incontro Zahida nella casa di alcuni parenti che la ospitano. Una bella stanza accogliente, luminosa, il sole entra dalle vetrate, piena di tappeti e cuscini, calda. Fuori, oltre le tende rosse, un giardinetto dove giocano i bambini. Arriva il tè insieme alle voci dei piccoli. La posso incontrare perché si trova a Kabul, da 20 giorni, per farsi visitare da un ginecologo, ha frequenti emorragie. Ha anche dei problemi a un braccio, che il marito le ha rotto anni fa. C’è aria di pace, qui, di tranquillità. Quasi si sente il sospiro di sollievo di Zahida, in questa casa.
Shafiqa, Direttrice di Hawca, dice che sono brave persone e che la ospitano volentieri. È tutta avvolta in un chador giallo ricamato di rosa, con punti piccoli su un disegno infantile. Ci lascia vedere solo i suoi grandi occhi scuri e seri. Zahida viene dal Nuristan e parla solo nuristano, una lingua difficile e sconosciuta qui a Kabul. Possiamo comunicare solo per un caso fortunato. Una nostra amica, Mabooba, dell’Orfanotrofio di Afceco, è nuristana e parla anche italiano. Interprete perfetta!
Mabu ci racconta del Nuristan, una regione molto diversa dal resto del paese. Islamizzati da un secolo, hanno mantenuto regole sociali proprie, più aperte, lontano ricordo della loro autonomia. È un paese di montagna dove lavorare la terra, unico sostentamento, è molto duro. Lo fanno soprattutto le donne. Gli uomini sono pastori.
Mabooba: Sì, il Nuristan è una regione unica per l’Afghanistan. Sono musulmani ma hanno una mentalità più aperta in certe cose. Ad esempio, una donna, anche se è sposata, può vivere con i suoi genitori e anche il marito può andare a vivere dai suoceri, è normale. In tutti gli altri posti, qui, per un uomo, vivere con la famiglia della moglie è una grave vergogna.
Non c’è questa predominanza della famiglia del marito. Anche il divorzio, ad esempio, non è un disonore, come nel resto del paese. Ci sono esempi di donne che si sono sposate due, tre volte o di più. C’è una mia parente che si è sposata sette volte e poi è tornata con lo stesso uomo. Il ruolo della donna qui è un po’ diverso. Però il lavoro che fanno le donne nuristane è molto pesante.
Non ci sono vie, strade frequentate, sulle quali un uomo può commerciare e guadagnare. Per molti mesi all’anno si rimane isolati, per la neve, strade difficili, spesso chiuse. Così non possono importare il cibo e devono coltivarlo loro, essere autosufficienti. Le donne coltivano la terra e curano gli animali e poi, d’inverno, mangiano quello che la terra gli ha dato. Sono sempre le donne a coltivare il grano e a fare il pane. Il lavoro è pesante ma culturalmente sono un po' più libere.
Anche gli uomini lavorano, ma meno, e la responsabilità è tutta delle donne. Alle donne la terra e agli uomini la pastorizia. Da una parte quindi è una vita molto faticosa ma, dall’altra, le donne hanno più importanza e possono decidere di divorziare se il marito si comporta male, se è violento.
Per chi non ha famiglia, è più difficile. Potrebbe divorziare e andarsene per la sua strada ma non sa dove vivere. In ogni caso, nelle situazioni di violenza, anche se non hanno parenti, possono chiedere che venga discusso il proprio caso, come è successo a Zahida. Ci si può rivolgere alla jirga, l’assemblea formata dalla gente del villaggio e dai capi villaggio, dire le proprie ragioni e tutti discutono insieme per trovare una soluzione.
Poi può divorziare secondo la legge islamica. Se il marito non vuole, il caso viene portato e discusso in una piccola jirga di tre/ quattro uomini, una specie di delegazione, che decide in base ai problemi che ci sono.
Zahida: Voglio ringraziare i miei sponsor perché ne ho passate di tutti i colori e adesso che ho un po’ di denaro voglio iscrivere a scuola mia figlia perché abbia una vita diversa. Se sono qui a curarmi a Kabul, è perché ho il sostegno di queste meravigliose persone. Finalmente me ne sono andata dalla casa di mio marito, non ne potevo più. Ora sto con mio padre, per questo sono potuta venire a Kabul. Quegli altri non me lo avrebbero permesso.