Incontro NAZBO all’ufficio di Hawca, a Kabul, con Shafiqa, la Direttrice Esecutiva di Hawca che si occupa del progetto.
Non ricorda la sua età ma crede di avere 45/50 anni. Qui sono tanti. Il dolore consuma in fretta. Dimostra più della sua età. Ha un viso scarno, indurito, che si illumina solo quando parla del suo bambino e quando ringrazia il suo sponsor.
Nazbo: Tu sai già che io sono stata sposata a un mullah e che i miei figli sono morti. Mi era rimasta una figlia di 13 anni, sposata dal padre, che è morta di parto. 5 figli persi. Non avevo più niente. Ero sola, buttata in mezzo a una strada. Poi ho trovato Hawca e ho lavorato alla scuola. Con loro era davvero un’altra vita. Quando hanno spostato la sede sono rimasta di nuovo sola. Ma una delle insegnanti della scuola mi ha preso con sé e mi ha ospitata a casa sua.
Shafiqa: È una brava persona, le dà una casa, ma la sua situazione finanziaria non è buona. Nazbo va nelle case dei vicini a fare le pulizie, il bucato ecc. per guadagnare qualcosa.
- È sufficiente? Chiedo a Nazbo.
Nazbo: Quello che guadagno è molto poco, è abbastanza per passare la notte, per mangiare, io e mio figlio di 7 anni, ma non posso comprare niente, come vestiti o cose del genere. Il lavoro va e viene, sono lavori giornalieri, a volte posso lavare i panni per la gente del quartiere ma ci sono giorni in cui nessuno lo chiede. Soprattutto non posso curarmi con quei soldi.
Shafiqa: L’abbiamo portata noi dal nostro dottore per darle qualche medicina. Nazbo abita molto lontano dal nostro Centro, ci vogliono più di due ore per arrivare. Per questo non può lavorare qui, è troppo lontano e attraversare Kabul è un’avventura difficile per lei. Se lavorasse qui, perderebbe l’ospitalità dell’insegnante. Deve trovare un lavoro dalle sue parti. L’aiuteremo per questo, ora che ha il suo sponsor è più tranquilla sulla sua vita.
Nazbo: Sono molto fortunata ad aver trovato l’insegnante che mi ospita e voi che mi aiutate. Se voi non ci foste io sarei per la strada con il bambino.
- Le dico che mi dispiace per tutta la sua sofferenza.
Nazbo: Sì, ho sofferto molto. Per la perdita dei miei figli piccoli e per quella di mia figlia dopo, troppo giovane e fragile per poter partorire, a 13 anni. Avevo circa 30 anni quando mi hanno buttato fuori casa.
- Come ha adottato il piccolo?
Nazbo: È stato quando ho trovato il lavoro nella scuola di Hawca. La famiglia del bambino è molto povera e non ce la faceva a tirar su i figli. Così ho proposto ai genitori di affidarlo a me. Non volevo che morisse come i miei bambini. E loro hanno accettato. Per me è come se fosse figlio mio. Ero completamente sola e lui mi ha dato la forza di vivere. Ci aiutiamo e ci facciamo compagnia a vicenda. Lui consola la mia grande pena e io mi prendo cura di lui e gli do tutto l’amore di cui ha bisogno. È un buono scambio.
- Il ragazzino va a trovare la sua vera famiglia?
Nazbo: Loro non lo chiedono e io preferisco di no. Voglio che consideri me come la sua vera mamma e che cresca con me. Ho paura di perderlo.
Prima di lasciarci ringrazia tanto ancora il suo sponsor e noi tutti che ci prendiamo cura di lei e del suo bambino.