Ho 34 anni e sono di Yak-o-Lang, un distretto della provincia di Bamyan. A 13 anni mio padre mi ha sposato a un nostro parente. Ho avuto due figli. Vivevamo tutti insieme, vicini, al villaggio. Tutti hazara. Quel giorno sono arrivati i talebani a spazzare via la mia vita.
Non ricordo niente, non voglio, quel giorno è affondato chissà dove. Ricordo solo quel silenzio, dopo, per quei pochi che erano rimasti vivi, come me. Non si è salvato nessuno dei miei. Tutta la mia famiglia, genitori, fratelli, zii, e mio marito. Da allora non sono più la stessa. Perfino io non mi riconosco. Ho molti problemi psicologici che mi rendono la vita difficile.
Dopo qualche mese dalla tragedia, mio cognato si è spostato a Kabul e mi ha preso con sé con i miei figli.
Ma qui è una vergona, una cosa che non si può fare, vivere con un uomo che non è il marito. Così lui ha cominciato ad ossessionarmi: vuole sposarmi a tutti i costi. Mi minaccia: si prenderà i miei figli e mi sbatterà fuori di casa se non accetto.
Ma io non voglio un altro marito. Voglio stare con i miei figli e basta. Per questo sono andata al Centro Legale. Vorrei un po’ di pace. Vorrei ritrovare me stessa, com’ero prima.
Entrando nel progetto, con l’aiuto di Lucia, Nelab ritrova la speranza.
Può mantenere se stessa e i figli da sola e non deve più dipendere dal cognato. Lascia la sua casa. Il denaro la libera dal ricatto del matrimonio forzato. Intanto inizia a curarsi. Ritrova se stessa e i figli rivedono finalmente la loro mamma di sempre. Vanno a scuola e sono molto bravi, Nelab è fiera di loro.
È più forte e trova un lavoro come cuoca in una ditta. Può almeno nutrire i suoi figli e, intanto, continua a curarsi.
Da quattro anni è Anna a sostenere la sua nuova vita, che, pian piano, continua a procedere. Spera in un aumento di stipendio, speranza sempre delusa. Vorrebbe far frequentare ai figli qualche corso integrativo per prepararli a una vita migliore della sua.