Donne e Resistenza
29 Maggio 2025

La regione nella quale si trova il Centro educativo sostenuto da CISDA si trova in una regione montuosa, caratterizzata da un territorio aspro, valli fertili e altitudini elevate. Il clima è generalmente freddo, soprattutto in inverno, con frequenti nevicate. Le estati sono miti, il che la rende una piacevole meta di fuga durante i mesi più caldi in altre parti del paese.
Indice
ToggleIl ritorno al potere dei Talebani nell’agosto 2021 ha cambiato drasticamente la vita in tutto l’Afghanistan e anche quest’area ha dovuto affrontare sfide particolari.
Come in molte parti dell’Afghanistan, alle ragazze oltre la sesta elementare è vietato frequentare la scuola. Si tratta di una grave battuta d’arresto, l’area vantava uno dei tassi di alfabetizzazione e frequenza scolastica femminile più alti prima del ritorno dei talebani.
L’Università rimane aperta agli uomini, ma alle donne è stato vietato l’accesso all’istruzione superiore a livello nazionale alla fine del 2022, stroncando i sogni di molte giovani donne della provincia. Molti insegnanti ed educatori, soprattutto donne, sono stati rimossi dai loro incarichi o costretti a smettere di lavorare.
Il Centro Educativo sostenuto da CISDA è diventato molto apprezzato dalla comunità locale grazie ai suoi insegnanti dedicati ed esperti, nonché all’offerta di servizi gratuiti.
In passato, si sono tenuti diversi incontri per celebrare diverse ricorrenze e gli studenti hanno partecipato attivamente all’organizzazione e alla realizzazione di questi eventi. Questi incontri hanno avuto un impatto significativo. Tuttavia, purtroppo, a causa delle rigide politiche del regime talebano negli ultimi tempi, il numero degli eventi è stato ridotto.
Vengono organizzate riunioni settimanali con il personale per migliorare il lavoro quotidiano al centro cercando di parlare dei progressi di ogni singolo bambino. Una volta al mese si tiene una riunione con i genitori in cui si discutono problemi e progressi dei bambini e delle bambine che frequentano i corsi; il riscontro dei genitori è molto positivo.
Un giorno alla settimana viene organizzata la visione di film, la lettura di poesie e presentazione di famosi poeti persiani, la lettura e discussione di articoli su importanti argomenti sociali, culturali e storici.
Quest’anno, il Dipartimento dell’Istruzione della zona ha convocato più volte i funzionari di diversi centri educativi, imponendo loro norme molto severe; di conseguenza, molti centri educativi sono stati costretti a chiudere. Una volta alla settimana, inviano una notifica scritta o una delegazione va a valutare il centro; queste interruzioni complicano la gestione del Centro.
Il 12 settembre 2024, il Capo del Dipartimento dell’Istruzione dell’area ha riunito tutti i funzionari delle scuole private e dei centri educativi per una riunione. La riunione ha affrontato diversi punti:
“Nonostante tutte queste restrizioni, stiamo facendo ogni sforzo per garantire che il nostro centro progredisca bene e che possiamo continuare ad aiutare le persone povere e bisognose di questa zona”, ci dicono gli organizzatori.
Le storie che ci mandano dal Centro sono racconti di dolore, sofferenza e povertà e dove il Centro Educativo rappresenta un piccolo spiraglio di speranza.
G. è uno degli studenti più laboriosi del Centro Educativo, proviene da una famiglia povera e vulnerabile, è orfano di padre e ora vive con la madre malata e quattro fratelli. G. trascorre il tempo a prendersi cura della madre malata e a svolgere le faccende domestiche. Dice: “Non abbiamo una sorella, quindi tutte le responsabilità ricadono su di me”. Quattro anni fa, G. ha dovuto abbandonare la scuola a causa di difficoltà economiche e problemi familiari. Tuttavia, quest’anno, incoraggiato dal direttore del Centro, è tornato a scuola e attualmente sta proseguendo gli studi dalla quarta elementare; anche il fratello minore studia in una scuola costruita da donatori stranieri per orfani. La famiglia vive in condizioni estremamente difficili: ci sono state molte notti e giorni in cui hanno sofferto la fame e sono sopravvissuti solo con patate e acqua bollita. Nonostante la loro resilienza, G. è ora profondamente preoccupato per la salute della madre e di uno dei fratelli e ha disperatamente bisogno di aiuto per portarli in ospedale e farli curare.
F. è una ragazza di 19 anni che ha perso entrambi i genitori diversi anni fa e vive con la famiglia di uno dei fratelli. Condivide la sua storia di vita con un dolore silenzioso e una profonda resilienza: “Siamo quattro sorelle e due fratelli. La mia sorella maggiore è disabile, fino a qualche anno fa era registrata presso il Ministero per i Martiri e i Disabili e riceveva un certo sostegno. Tuttavia, quando l’Emirato Islamico è salito al potere, questo sostegno è stato completamente interrotto. Uno dei miei fratelli ci ha abbandonati dopo la morte dei nostri genitori e da allora non è più tornato”. Ora, F. e le sue sorelle vivono con il fratello minore, R., che è l’unico che cerca di sostenerle: lavora come bracciante giornaliero; ogni mattina si reca al mercato sperando di trovare lavoro e spesso torna a casa a mani vuote. Nonostante la sua giovane età, R. porta sulle spalle l’intero peso della famiglia. F. aggiunge con dolore: “A volte la pressione della povertà e della disoccupazione diventa così opprimente che mio fratello scappa di casa per un po’, solo per sfuggire al dolore”. La famiglia di F. è intrappolata in un ciclo di povertà e vulnerabilità, senza un reddito fisso o un sostegno esterno. La loro storia è un grido d’aiuto, una richiesta di compassione, opportunità e la possibilità di vivere con dignità.
All’inizio della scorsa estate, la madre di K., uno degli studenti del Centro Educativo, si è recata personalmente al centro con una richiesta umile. Ha condiviso la dolorosa storia della sua famiglia e ha chiesto sostegno affinché suo figlio potesse continuare gli studi. Ha detto: “Il padre di K. soffre di una malattia grave e incurabile. Mio figlio ama profondamente studiare presso il vostro centro ed è molto desideroso di continuare. Chiedo sinceramente il vostro aiuto affinché non debba abbandonare gli studi”. Ha poi aggiunto: “Ho due figlie. Prima della malattia del padre, anche loro frequentavano le lezioni presso il centro. Ma dopo che si è ammalato, non ho più potuto permettermi di mandarle. Avevamo una casa, ma sono stata costretta a venderla per coprire le spese mediche di mio marito. I miei figli sono ancora molto piccoli. Il più grande è K., che ha 14 anni e attualmente frequenta la prima media in una scuola pubblica. Sono profondamente preoccupata per i miei figli: potrebbero soffrire la fame o essere privati del loro futuro”.
O., una bambina di 12 anni e una delle studentesse del Centro Educativo, racconta la sua storia: “Vivo in una famiglia di otto persone. Mio padre è l’unico a portare a casa il pane. Tutti noi dipendiamo dal reddito di nostro padre. Mia madre è analfabeta e nessuno di noi è in grado di lavorare per sostenere la famiglia. Continua: “Mio padre riesce a malapena a guadagnare più di 100 afghani al giorno. Se facciamo colazione, non abbiamo cibo per cena. Prima che i talebani prendessero il potere, almeno potevamo avere pane, tè e a volte patate. Ma dal loro arrivo, ci è stato portato via tutto. Siamo vivi, ma non possiamo andare a scuola e non riusciamo nemmeno a trovare lavoro. Frequento il corso da oltre un anno, studio inglese e continuo la mia formazione. Voglio ringraziare lo staff di questo corso per averci dato un senso di speranza.”
H., una delle studentesse del Centro, una volta andò con sua madre a trovare il direttore del centro: “Prima ancora che la madre potesse iniziare a parlare, un nodo le si formò in gola. Le lacrime le salirono agli occhi. Il dolore della povertà era chiaramente visibile sui volti della madre e della figlia”, racconta la nostra referente del Centro. Dopo un lungo, doloroso silenzio, la madre di H. finalmente parlò: “Egregio Signore, ho quattro figli. Due di loro frequentano il vostro centro, gli altri due sono ancora molto piccoli e restano a casa. Ma il loro padre, a causa dell’estrema povertà e della disoccupazione di lunga durata, è diventato tossicodipendente. Sono passati quasi nove mesi, quasi un anno da quando è scomparso. Non sappiamo dove sia. Sono rimasta sola con questi piccoli.” Con voce tremante continuò: “Negli ultimi due mesi, io, i miei figli abbiamo digiunato durante il Ramadan. Siamo andati porta a porta, raccogliendo zakat e fitr. Siamo riusciti a radunare 3.000 afghani, che usavamo solo per sopravvivere. Ma ora non ci è rimasto niente”.
V., una studentessa del Centro Educativo, racconta con coraggio le difficoltà che lei e la sua famiglia hanno dovuto affrontare: “Eravamo molto piccoli quando mio padre, che aveva prestato servizio come soldato semplice nel precedente governo, fu ucciso dai talebani. Mia madre si assunse il peso di crescerci”. Continua con voce sofferente: “Abbiamo affrontato innumerevoli difficoltà. I miei zii ci hanno costretti a lasciare la nostra casa. Ora mia madre soffre di danni ai nervi e di ipertensione a causa dello stress e del trauma che ha subito. Esce e chiede l’elemosina alla gente solo per portare qualcosa a casa. Io aiuto a gestire le nostre piccole spese come posso. Attualmente sto imparando l’inglese in questo corso e sono molto grata per tutto il supporto che mi avete fornito. In passato, non potevamo andare da nessuna parte per mancanza di soldi. Ma quest’anno siamo migliorati tantissimo.”
B. è una delle studentesse più motivate del Centro Educativo. Condivide le dolorose realtà della sua vita con silenziosa forza: “Sono la figlia maggiore in famiglia. Siamo in otto, cinque sorelle e un fratello. Ero in terza media quando i talebani arrivarono e chiusero le porte della scuola alle ragazze. Mio padre era un semplice bracciante durante il periodo della Repubblica: andava in piazza ogni giorno, trovando qualsiasi lavoro possibile solo per portare a casa un po’ di cibo per noi. Ma negli ultimi due anni non c’è stato lavoro. Mio padre è stato costretto ad andare a lavorare nelle miniere di carbone. Ha lavorato lì per sei mesi, ma poi si è infortunato e tutti i soldi che aveva guadagnato sono stati utilizzati per le sue cure. Per fortuna, con l’aiuto di Dio, ora è di nuovo in piedi, ma non può ancora lavorare. Ora io e mia madre andiamo al mercato a comprare vestiti, che cuciamo di giorno e fino a tarda notte, giusto per guadagnare qualcosa e mettere da mangiare in tavola. Prima possedevamo una piccola casa, ma l’abbiamo venduta per pagare le cure di mio padre. Ora viviamo in una stanza in affitto e da tre mesi non riusciamo a pagare l’affitto. Il padrone di casa viene ogni giorno minacciando di sfrattarci. B. conclude con un appello silenzioso: “Siamo persi. Non sappiamo più cosa fare. Che Dio abbia pietà di noi.”
L. racconta la sua storia con silenziosa resilienza: “Siamo una famiglia di dieci persone. Mio padre è diventato vecchio e debole, non può più lavorare. La maggior parte dei membri della nostra famiglia sono donne e non abbiamo una fonte di reddito stabile.” Continua: “Durante il precedente governo, mio padre lavorava come custode presso un ente pubblico, ma quando il governo è cambiato, i talebani lo hanno licenziato. Da allora, è disoccupato e ogni mattina va in piazza sperando di trovare lavoro, ma torna a mani vuote, portando con sé solo tristezza e stanchezza. Giorno dopo giorno, il dolore e la pressione della vita sono diventati così pesanti che hanno iniziato a incidere sulla sua salute mentale. Mio padre ora non sta bene psicologicamente”.
P., una ragazza cresciuta in mezzo alle difficoltà, racconta la sua storia: “Ero solo una bambina, molto piccola quando ho perso mia madre. Dopo la sua morte, Mio padre mi lasciò con mia nonna e se ne andò, sposò un’altra donna e non tornò mai più. Io e mia nonna andammo a vivere a casa di mio zio e da quel giorno in poi la vita divenne piena di dolore e difficoltà. Ogni giorno uscivo con mia nonna, lavando i panni o lavorando come donna delle pulizie nelle case della gente per sopravvivere. Ma ora mia nonna è invecchiata e malata. Non può più lavorare. Le sue gambe le fanno costantemente male ed è cagionevole di salute. Siamo lasciati soli con infinite difficoltà. Anche trovare abbastanza da mangiare è una sfida quotidiana. Al momento, siamo registrati solo presso l’ufficio dell’Ayatollah Sistani. Ogni tre mesi ci danno un sacco di farina, una bottiglia da cinque litri di olio da cucina e un po’ di sale e zucchero. Questo è tutto l’aiuto che riceviamo. Andavo a scuola. Mi piaceva molto. Ma ho dovuto lasciare. Non potevo continuare. Speravo che un giorno avrei potuto terminare la mia formazione e magari trovare un lavoro. Cercherò di sfruttare ogni opportunità per imparare in questo centro e raggiungere i miei obiettivi”.
Per motivi di sicurezza sono stati tolti dal resoconto tutti gli elementi che potrebbero contribuire a identificarlo, ma ci sembra importante rendere note le attività del Centro e le difficoltà che i suoi studenti e insegnanti devono quotidianamente affrontare.
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