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Lettera di Kongra-Star a Geir Pedersen, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria

La Siria si trova in una fase critica e i recenti sviluppi richiedono una risposta internazionale efficace per evitare il caos e raggiungere una transizione politica completa e sostenibile. In questo contesto, sottolineiamo la necessità di lavorare in conformità con la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che costituisce il quadro giuridico delle Nazioni Unite per raggiungere una soluzione politica che ponga fine alle sofferenze del popolo siriano e rispetti i diritti di tutti i suoi componenti. Riteniamo che un elemento essenziale per costruire una Siria democratica e stabile sia garantire la partecipazione delle donne siriane in tutte le fasi di un processo politico basato sulla risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza dell’ONU sulle donne, la pace e la sicurezza.

La Siria oggi affronta una serie di sfide serie, a partire dall’escalation militare in corso, in particolare con i ripetuti attacchi da parte della Turchia sulla Siria settentrionale, come possiamo osservare a Manbij. Questi attacchi non solo minano la sicurezza, ma provocano anche sfollamento di migliaia di persone e rafforzano l’attività delle cellule dormienti dell’ISIS, che rappresentano una minaccia a livello locale, regionale e internazionale.

Le persone che vivono in condizioni drammatiche nei campi profughi a nord di Aleppo (Shehba) dal 2018 a seguito dell’occupazione turca di Afrin, sono state sfollate con la forza per la seconda volta. Questi sfollati, soprattutto donne e bambini, vivono in condizioni umanitarie catastrofiche, poiché ancora non sono arrivati aiuti internazionali e l’Amministrazione Autonoma Democratica nord-est della Siria deve affrontare questa sfida da sola. Gli sforzi profusi dall’Amministrazione Autonoma e da iniziative comunitarie per far fronte all’aggravarsi della crisi non sono sufficienti e si rende indispensabile un rapido intervento internazionale.

Questa crisi è particolarmente dura per le donne e i bambini, che subiscono maggiormente il peso degli attacchi e della violenza. In quanto organismo internazionale preposto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali avete la responsabilità di adottare misure decisive e immediate per contenere la situazione ed evitare un ulteriore deterioramento.

Vi chiediamo pertanto di:

  1. Esercitare pressioni immediate sulla Turchia per fermare gli attacchi e l’escalation.

Chiediamo alle Nazioni Unite di agire urgentemente per esercitare pressioni sulla Turchia e sui gruppi armati che sostiene affinché cessino i ripetuti attacchi militari nella Siria settentrionale, per garantire la protezione della popolazione civile e preservare la sicurezza regionale. Questi attacchi non solo minacciano la stabilità della Siria, ma contribuiscono anche all’aggravarsi della crisi umanitaria e allo sfollamento di migliaia di civili. Chiediamo anche l’apertura di corridoi umanitari sicuri a Shehba che permettano agli aiuti umanitari di raggiungere le persone colpite e fornire protezione ai civili intrappolati nelle aree colpite.

  1. Mantenere la sicurezza regionale e impedire il ritorno dei gruppi terroristici.

Chiediamo un’azione internazionale decisiva per prevenire la ricomparsa di gruppi terroristici come l’ISIS nelle aree di escalation. Questi gruppi stanno usando l’attuale caos per espandere le loro operazioni e rappresentano una grave minaccia alla sicurezza regionale e internazionale.

  1. Avviare la soluzione politica in conformità con la risoluzione 2254.

Garantire l’accelerazione dei negoziati politici sotto la supervisione delle Nazioni Unite e fornire meccanismi chiari per gestire la transizione in modo equo e sostenibile. Concentrarsi sulla protezione dell’unità e della sovranità della Siria e garantire i diritti di tutte le componenti etniche, religiose e culturali del paese, nonché i diritti delle donne.

  1. Garantire l’inclusione delle donne nella nuova costituzione siriana in linea con la risoluzione 1325.

Garantire la partecipazione delle donne a tutte le fasi dei negoziati e della transizione politica per assicurare il loro ruolo attivo nella costruzione della pace e della giustizia sociale. Rafforzare le misure per proteggere le donne dalla violenza e dallo sfruttamento e sostenere le donne nei ruoli di leadership nella fase successiva.

  1. Affrontare il problema degli sfollati forzati e proteggere gli sfollati.

Fornire un sostegno urgente agli sfollati di Afrin e di altre aree e garantire il loro ritorno sicuro alle loro zone di origine. Fornire protezione internazionale per porre fine alle violazioni e garantire la sicurezza nel nord della Siria.

  1. Aumentare gli aiuti umanitari.

Fornire assistenza umanitaria urgente alle aree che ospitano persone sfollate, in particolare nel nord-est della Siria, per alleviare la pressione sulle infrastrutture e soddisfare i bisogni di base. Sviluppare un piano delle Nazioni Unite per fornire assistenza a lungo termine che contribuisca alla ricostruzione e alla stabilizzazione.

Il popolo siriano ha sofferto per anni sotto il flagello della guerra e del conflitto, e la pace e la stabilità possono essere raggiunte solo attraverso una soluzione politica giusta e democratica che metta l’interesse del popolo al di sopra di tutto e garantisca che tutte le componenti, soprattutto le donne, siano coinvolte nella definizione del futuro del paese.

Cordiali saluti

Kongra Star

9 dicembre 2024

Scarica la lettera in inglese

Il patriarcato non è morto, ma c’è di peggio

Articolo pubblicato su Abitare a Roma

Dopo le infauste dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sul patriarcato e sui femminicidi (di cui, secondo il politico leghista, avrebbero colpa – per la parte maggiore – i migranti che arrivano da noi), rilasciate durante un intervento videotrasmesso alla presentazione, presso la Camera dei Deputati, della costituenda Fondazione intitolata alla Memoria di Giulia Cecchettin, molto si continua a discutere della condizione della donna nel nostro Paese, anche in relazione alla piaga sociale (meglio al crimine) delle donne picchiate, abusate e uccise (99 dall’inizio del 2024 ad oggi),  per l’83% da maschi bianchi, italiani e di buona famiglia, che con quelle donne vivevano, avevano convissuto o intrecciato una relazione sentimentale.

Ma ci sono luoghi nel mondo – come, ad esempio, l’Afganistan – dove la situazione delle donne è di molto peggiore che da noi; peggiore in un modo che è difficile immaginare anche se chi quella condizione ce la racconta è davanti a noi, in carne ed ossa, deve vivere anonimamente per non rischiare la vita e per testimoniare della condizione barbara in cui lei stessa e le sue sorelle vivono deve uscire clandestinamente dal suo Paese, anche per questo rischiando la vita.

Ma lo fa perché anche la Memoria è resistenza e perché questa Memoria sia conosciuta e trasmessa, dovunque ed in qualunque modo sia possibile, azione di cui lei e le donne del suo Paese, l’Afganistan oggi talebano, hanno un estremo (e disperato) bisogno.

Ne hanno bisogno perché nonostante tutto, nelle Scuole clandestine, che hanno creato e gestiscono (e di cui appresso leggerete) continuano a lottare costruendo, giorno dopo giorno, momenti di conoscenza e coscienza del proprio essere persone e dei propri diritti; momenti questi molto importanti per le donne afgane.

La donna afgana, la militante politica, di cui in particolare scrivo qui si chiama Shakiba (alias di sicurezza per la sua esistenza in vita), un’attivista di RAWA e appresso trovate una sua intervista, pubblicata qualche giorno fa sul Quotidiano Domani.

Per “capire e capirci”, come spesso scrivo, leggere attentamente le righe che seguono e riflettere a lungo, cercando di non dimenticare quanto apprenderete.

E se potete – e ne avete (o vi costruite) l’occasione – anche voi fate sentire la vostra voce per queste donne che, certo, lottano per i loro diritti ma, nello stesso momento, lo fanno – rischiando la vita quotidianamente – anche per i nostri diritti, che spesso pratichiamo distrattamente, poiché ci paiono acquisiti per sempre, anche se potremmo perderli in ogni momento. Dunque: alziamo la nostra voce per chi non può parlare!

Le Scuole clandestine in Afghanistan: «Insegniamo alle donne a resistere ai Talebani»

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo:

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza:

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan.

È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione:

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

Il coraggio dell’attivista afghana Shakiba: “Dobbiamo resistere”

L’articolo è stato pubblicato su MB News il 28/11/2024

Tutta la sua vita è dedicata alla difesa dei diritti delle donne e del suo popolo. Lo fa con determinazione, in Afghanistan e nel mondo. Shakiba è una militante dell’associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Rawa) e sabato scorso ha fatto tappa alla biblioteca civica di Desio, su invito della Casa delle Donne e grazie all’organizzazione di Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), con la collaborazione di Anpi Desio e Seregno, Staffetta Femminista, Desio Città Aperta e col patrocinio del comune.

Il lavoro clandestino dell’associazione

Il suo intervento, a ridosso della giornata contro la violenza alle donne, è stato molto chiaro e incisivo. Shakiba, che ha studiato in Pakistan e poi è rientrata in Afghanistan, ha raccontato dell’impegno di Rawa per i diritti delle donne e la giustizia sociale. L’associazione continua a portare avanti in clandestinità, anche sotto i talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze e ragazzi, assistenza medica, formazione professionale, informazione  e sostegno alimentare.
“Per noi è molto doloroso il fatto che sia stato restituito il potere ai talebani, a causa delle influenze e del sostegno che hanno ricevuto dall’esterno. Il nostro popolo non dimenticherà mai quanto sono criminali queste persone. Noi attiviste crediamo che non si possa avere giustizia senza consegnare questi criminali alla corte penale internazionale”.

Le donne non possono fare sentire la loro voce

La situazione per la popolazione e in particolare per le donne è sempre più insostenibile. “Le donne non possono più andare a scuola e lavorare negli uffici pubblici. I talebani hanno chiuso le scuole di musica e arte.  Le donne non possono fare sentire la loro voce fuori dalle mura di casa e quando escono devono essere coperte e sempre accompagnate da un uomo”. Tanti i casi di violenza. La povertà dilaga. “Metà della popolazione è sotto la soglia di povertà. Le persone sono arrivate a vendere i propri organi. Alcuni vendono le figlie, per sopravvivere pochi mesi”. L’associazione Rawa distribuisce pacchi di generi alimentari e lo fa sempre in clandestinità. Il lavoro delle attiviste è anche e soprattutto un lavoro politico e di difesa dei diritti. “La causa di tutto questo è  la crescita dello sviluppo del potere delle organizzazioni fondamentaliste e del fascismo religioso nel mio Paese. Lo vediamo anche a Gaza in Libano in Iran ed è molto pericoloso” dice chiaramente Shakiba.

La scelta di rimanere in Afghanistan

“Ora in Afghanistan ci sono 15 mila scuole religiose dove i bambini vengono educati e viene fatto loro un lavaggio del cervello. Questo è molto pericoloso per l’Afghanistan ma anche per chi sta fuori”. La resistenza avviene in modo organizzato nelle case e nei social. “La nostra organizzazione ha deciso di rimanere in Afghanistan e di continuare ad opporsi al regime sostenendo le proprie attiviste nelle diverse modalità di resistenza . Il nostro lavoro avviene in modo clandestino, supportando l’istruzione, per dare un futuro alle giovani generazioni. Nelle nostre classi segrete le ragazze ricevono un’educazione alla salute, si insegnano le materie scientifiche e si riceve una formazione che favorisca la consapevolezza sociale”.

Fare pressione sui governi

“Cerchiamo di portare solidarietà a tutti i popoli che stanno soffrendo per la guerra” continua Shakiba.  Davanti ad una situazione così grave e complessa, cosa possiamo fare noi? “Mettete pressione sui vostri governi perché il regime talebano non sia supportato e non sia normalizzato. Facciamo pressione per bloccare questo processo di normalizzazione del regime talebano”.

Numerosi e partecipati gli incontri della militante di RAWA in Italia

Si è concluso pochi giorni fa il lungo giro in Italia (con una puntata in Svizzera) di conferenze di Shakiba, militante di RAWA.

Una visita che aspettavamo con impazienza quella di Shakiba, anche se per queste compagne ottenere un visto Shengen è sempre più complicato: l’ambasciata italiana più vicina è a Islamabad, in Pakistan; il visto pakistano ha un costo elevato e il viaggio per raggiungere il Pakistan, per una donna, è molto rischioso.

Ma per il CISDA, che lavora a fianco di queste compagne dal 1999, potere incontrare (e anche abbracciare) una testimone diretta della situazione e della resistenza in Afghanistan, dove i talebani stanno cancellando ogni diritto umano per le donne, è imprescindibile. E per queste compagne coraggiose e determinate avere la possibilità di “toccare con mano” la solidarietà che viene loro testimoniata nei numerosi incontri organizzati in varie città è fonte di vita e di speranza.

Due passi avanti e 30 indietro

“Ogni volta che facciamo due passi avanti nella conquista dei nostri diritti veniamo sbattute indietro di 30 passi” ci dice Shakiba al nostro primo incontro. “In Afghanistan resistere comporta il rischio di essere arrestate, torturate e anche uccise; ma non vogliamo abbandonare la nostra gente al suo destino, è nostro dovere restare per continuare a dare una speranza.”

La situazione è sempre più tragica e insostenibile per la popolazione afghana, in particolare per le donne:

  • le donne non possono lavorare, uscire di casa da sole, studiare oltre la sesta classe, mostrare il loro volto in pubblico o far sentire la loro voce; subiscono una delle forme più estreme di apartheid di genere. Molte delle donne che sono scese in piazza per protestare sono state arrestate, incarcerate, torturate e minacciate;
  • il disastro economico è intollerabile: non c’è lavoro e oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. È normale che, date le condizioni di povertà, i maschi siano incentivati ad arruolarsi in qualche milizia per avere uno stipendio e riuscire così a sfamare la famiglia;
  • per avere un futuro moltissimi giovani cercano di scappare dal paese e percorrono le pericolosissime vie migratorie: Iran, Turchia e poi mar Mediterraneo, in mano a scafisti e trafficanti di esseri umani senza scrupoli;
  • nel paese sono state aperte 17.000 madrase, scuole coraniche, che in buona parte hanno sostituito le scuole statali e in cui i giovani studenti vengono indottrinati al fondamentalismo.

Nel frattempo, i talebani hanno ricevuto, solo dagli USA, 40 milioni di dollari ogni settimana e stanno svendendo tutte le ricchezze del paese (minerali rari, pietre preziose ecc.) per mantenere il loro potere.

Gli USA e i loro alleati occidentali in tutti questi anni hanno contribuito alla crescita, grazie a milioni di dollari e di armi, di gruppi di fondamentalisti di ogni tipo. Il risultato è che oggi in Afghanistan, oltre ai talebani, sono presenti ISIS, signori della guerra di diverse etnie, al Qaeda… che opprimono la popolazione afghana (le donne in particolare) da circa 40 anni.

Gli intensi incontri di Shakiba

Dimenticate dai media, dimenticate dai governi, dimenticate dalle organizzazioni internazionali, le donne afghane hanno sempre meno possibilità di far sentire la propria voce, per questo la serie di incontri organizzati da CISDA per la militante di RAWA è doppiamente importante.

Un giro di incontri molto ricco e partecipato: a Bologna RAWA ha ricevuto il Premio internazionale Daniele Po, promosso dalle associazioni Le case degli angeli di Daniele e Strade. Oltre alla cerimonia di premiazione, svoltasi nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio di Bologna, Shakiba ha presenziato a circa 15 incontri pubblici che hanno coinvolto organizzazioni della società civile, ragazzi delle scuole con i loro insegnanti, attivisti e attiviste. Tra questi, molto significativo è stato l’incontro online con le commissioni pari opportunità della città metropolitana di Bologna, di Cento e di Pieve di Cento.

A Belluno è stata accolta dall’associazione Insieme si può, che da anni, insieme a CISDA, sostiene attivamente i progetti di RAWA e organizza eventi e iniziative nel Nord-Est.

A Piacenza le Donne in Nero, da sempre sostenitrici della resistenza delle donne afghane, hanno organizzato un partecipatissimo dibattito pubblico con cena di solidarietà.

A Roma Shakiba ha partecipato, al festival Sabir, all’incontro internazionale Voci di lotta e di resistenza dell’Iran e dell’Afghanistan organizzato da ARCI, e ha incontrato le donne del comitato italiano di Jineoloji (un collettivo di donne che si organizza e lavora con il movimento delle donne curde), le donne dell’ANPI provinciale e un gruppo di parlamentari che l’hanno ricevuta alla Camera dei Deputati. Sempre a Roma Donne di Classe e Sinistra anticapitalista hanno organizzato un evento molto partecipato con cena di sottoscrizione.

A Piadena è stato organizzato un dibattito pubblico nell’ambito del Festival dei diritti umani di Emmaus e un incontro con 80 ragazzi di 4 classi di terza media.

Va sottolineato che in tutti gli incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università Shakiba ha dimostrato una straordinaria empatia e capacità di dialogo, suscitando grande curiosità e partecipazione.

La Casa delle donne di Torino ha organizzato un dibattito con raccolta fondi di solidarietà.

A Lugano Shakiba ha incontrato la professoressa Jolanta Drzewiecka e il professor Villeneuve Jean-Patrick, dell’Institute of Communication and Public Policy (Università della Svizzera italiana), con i quali ha parlato parlare della situazione afghana e delle attività di RAWA a cui è seguito un partecipatissimo incontro con gli studenti dell’università e un’intervista con dei giornalisti del “Corriere del Ticino”.

Infine ha incontrato online la Rete di Coalizione euro-afghana per la Democrazia e la Laicità, per raccontare la difficile situazione delle donne resistenti in Afghanistan e discutere delle possibili azioni di supporto politico che il CISDA e le altre associazioni italiane possono dare loro.

Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Scuole Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Teatro di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento
Comitato italiano di Jineoloji
Scuola di Bologna
Scuole di Ferrara
Ferrara – Giardino Ilaria Alpi
Un omaggio di Zerocalcare a Shakiba

Di seguito alcuni link di articoli e interviste a Shakiba pubblicati sui media italiani

La lotta delle donne afghane per «resistere ai Talebani»

Articolo pubblicato sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan. È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

L’articolo è uscito sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Sara Del Dot è giornalista professionista, video reporter e autrice di documentari. Si occupa di diritti umani, fragilità sociali, salute, ambiente.

Corpi di donne in pace e in guerra

Sulla linea del fronte stanno i corpi delle donne, dove cadono le bombe, dove esplode la rabbia. Sui confini dell’orrore, nella guerra aperta, o in quella segreta delle case, nelle trappole della mente. Lì stanno. Sui cigli minati, sugli infidi confini dell’amore, tra frustrazione e fuoco. Lì stanno.

In Afghanistan, i loro corpi sono cancellati, umiliati, uccisi. Dice Marral, militante afghana, ‘Le donne sono le radici della famiglia, della tribù, del paese, e stroncarle serve a disarticolare la società intera e ad abbattere il nemico.’

La prigione delle donne afghane si arricchisce giorno dopo giorno di nuove sbarre. Gli spazi si restringono. Il controllo è ossessione.  Vietato vivere. Questo è l’ordine talebano.

Le donne non possono lavorare, studiare, viaggiare da sole, devono nascondersi sotto cenci neri, non possono decidere nulla della propria vita, non possono far sentire la loro voce, cantare, declamare versi, ridere. Parchi e i siti archeologici sono chiusi alle donne, come parrucchieri, bagni pubblici, ristoranti. La violenza domestica non ha più argini. I talebani comprano ai padri le loro figlie ragazzine per i loro miliziani ed è una proposta che non si può rifiutare. Se protesti, se ti opponi, se sbagli abbigliamento, c’è il carcere. Lì la violenza è oscura e segreta. Spesso non ne esci o, se ne esci, sei segnata per la vita.

‘Se potessero ci ruberebbero l’aria dai polmoni.’ Dice Sabira. ‘Secondo loro, dovrei stare a casa a guardare i miei figli morire di fame.’ Racconta Narghez, vedova, che cerca di vendere ‘bolani’ (pasta fritta ripiena) nelle strade della città, sempre pronta a scappare dalle botte dei talebani.

I talebani temono le donne, sono atterriti dai loro corpi. Sono cresciuti senza madri, senza sorelle, difesi dai fucili, la mente colonizzata dai mullah delle madrase. Si accaniscono, non vogliono vedere quello che non riescono a sopportare: la gioia trionfante di un corpo di donna.

Un gruppo terrorista violento e fanatico governa su un popolo intero annullando metà della sua popolazione, reiterando ogni giorno crimini contro l’umanità. ‘ Ogni volta la storia decisa da altri ci ributta indietro. Adesso siamo di nuovo all’età della pietra.’ Dice Narghez, militante di Rawa (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane). La cosiddetta Comunità Internazionale non si scandalizza più di tanto, condanna debolmente e fa prosperare i suoi affari. Nessuno si vergogna. Nessuno ha interesse a togliere di mezzo i talebani. A loro è stato ceduto il governo del paese negli accordi di Doha del 2020. Così hanno deciso gli Usa e i loro alleati che continuano a sostenere e finanziare il governo talebano.  Consegnando le donne al loro inferno.

Ma le donne non si arrendono. Molte continuano a combattere per i propri diritti. Da sole, insieme, condividendo il loro sapere, o in gruppi organizzati come Rawa. Donne armate solo del loro coraggio. Creano scuole clandestine, soccorso sanitario, case rifugio contro la violenza, sostegno alimentare. Coltivano i loro spazi segreti. Tengono accesa la luce nel buio pesto del futuro. Loro ci sono, con i loro corpi di pace.

 

Parte dell’articolo è uscita sulla rivista della Federazione donne evangeliche in Italia