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Autore: Patrizia Fabbri

Cronologia Afghanistan

A partire dagli eventi più recenti, questa cronologia ripercorre la storia dell’Afghanistan fino agli anni delle guerre di indipendenza.

2024

  • 4 gennaio: un portavoce del Ministero del Vizio e della Virtù dei Talebani annuncia l’arresto di un numero imprecisato di donne per aver indossato l’hijab in modo non corretto.
  • 6 gennaio: l’Isis-K ha rivendicato la responsabilità dell’esplosione di un minibus avvenuta nel quartiere occidentale di Dasht-e-Barchi a Kabul, in cui sono morte almeno due persone.
  • 18 febbraio – 19 febbraio: si è tenuta la II Conferenza di Doha sull’Afghanistan, organizzata dall’ONU. Il primo giorno si è svolto l’incontro di inviati speciali e gruppi provenienti dall’Afghanistan, tra cui rappresentanti delle donne e della società civile. I talebani sono stati invitati all’incontro ma hanno rifiutato di partecipare, adducendo condizioni non soddisfatte. Hanno partecipato all’incontro rappresentanti speciali di almeno 25 paesi. Quattro membri, tra cui Shah Gul Rezaee, Mahbouba Seraj, Mitra Mehran e Lotfullah Najafizada, rappresentano la società civile afghana. Antonio Guterres ha annunciato l’intenzione di avviare le consultazioni per la nomina di un inviato delle Nazioni Unite per facilitare le interazioni tra i talebani e la comunità internazionale. Il Segretario Generale dell’ONU ha espresso la speranza che i funzionari talebani partecipino a futuri incontri di questa natura.
  • 19 febbraio: una frana nella provincia del Nuristan seppellisce il villaggio di Nakre nella valle del Tatin e provoca la morte di almeno 25 persone.
  • 20 febbraio – 13 marzo: almeno 60 persone vengono uccise e altre 23 ferite a causa di inondazioni e condizioni meteorologiche avverse che coinvolgono neve e pioggia a livello nazionale.
  • 22 febbraio: le autorità talebane hanno eseguito due condanne a morte pubbliche. Le esecuzioni hanno avuto luogo nello stadio di Ghazni, nel sudest dell’Afghanistan, nei confronti di due uomini responsabili di due accoltellamenti mortali: di fronte a migliaia di spettatori, sono stati uccisi dai parenti delle vittime a colpi d’arma da fuoco.
  • 2 marzo: il Fronte per la Libertà ha affermato che i suoi membri hanno attaccato un avamposto talebano nella zona di Tahia-e Maskan, a nord di Kabul, sostenendo che nell’attacco sono stati uccisi alcuni membri talebani e che altri due sono rimasti feriti. In una precedente dichiarazione, il Fronte di Resistenza aveva affermato di aver ucciso un membro dei talebani e di averne feriti altri tre in un attacco avvenuto il giorno prima nel distretto di Farkhar, nella provincia nordorientale di Takhar.
  • 18 marzo: cinque donne e tre bambini vengono uccisi durante due attacchi aerei pakistani nelle province di Khost e Paktika in seguito alle accuse secondo cui dall’Afghanistan sarebbero partiti attacchi contro il Pakistan. In risposta, i talebani aprono il fuoco sulle truppe pakistane al confine.
  • 21 marzo: un attentato suicida, rivendicato dall’Isis-K, all’interno di una banca a Kandahar uccide 27 persone e ne ferisce oltre 50.
  • 23 marzo: Hibatullah Akhundzada, “leader supremo” dei talebani, ha annunciato alla radio afghana la reintroduzione della lapidazione, anche in pubblico, per le donne accusate di adulterio.
  • 12-14 aprile: almeno 33 persone vengono uccise e altre 27 ferite in inondazioni improvvise causate da forti piogge in 20 province.
  • 17 aprile – I Talebani ordinano la sospensione dei canali televisivi Noor TV e Barya TV con l’accusa di non aver “considerato i valori nazionali e islamici”.
  • 20 aprile: una persona viene uccisa e altre tre rimangono ferite in un attentato, con una bomba piazzata sotto un minibus, in un quartiere a maggioranza Hazara di Kabul. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 29 aprile: sei persone vengono uccise dopo che un uomo armato ha aperto il fuoco all’interno di una moschea sciita nel distretto di Guzara, nella provincia di Herat.
  • 3 maggio: forti proteste dei residenti del villaggio di Qarloq nel distretto di Darayim; Alcuni manifestanti hanno chiesto la “cacciata” dei talebani dalle loro zone. Almeno una persona è stata uccisa e diverse altre sono rimaste ferite quando i talebani hanno aperto il fuoco sui residenti. La portata di queste proteste si è estesa al distretto di Argo, nel Badakhshan, dove il giorno successivo decine di persone si sono radunate per protestare contro i talebani, scandendo slogan anti-talebani.
  • 7 maggio: un rapporto dell’United States Institute of Peace (USIP) rivela una minaccia crescente da parte dell’ISIS-K con capacità più ampie rispetto a prima del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Il Senior Study Group on Counterterrorism in Afghanistan and Pakistan ha valutato che l’ISIS-K ora “rappresenta una minaccia crescente con una portata che va oltre la regione immediata, maggiore rispetto al periodo precedente al ritiro”. Il rapporto mette in guardia dalle implicazioni regionali più ampie delle attività terroristiche incontrollate in Afghanistan, in particolare per quanto riguarda l’India.
  • 8 maggio: una motobomba uccide tre membri del personale di sicurezza talebani a Faizabad, nella provincia di Badakhshan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 9 maggio: nella provincia di Nangarhar, durante la manifestazione dei residenti contro la demolizione delle loro case, tre civili sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti quando i talebani hanno sparato per disperdere i dimostranti. L’incidente è avvenuto mentre i residenti stavano manifestando. Durante le proteste, alcuni residenti di Nangarhar hanno bloccato per due ore l’autostrada Jalalabad-Torkham per protesta.
  • 10 maggio – 25 maggio: 21 distretti nel Nord-Est dell’Afghanistan vengono colpiti da devastanti alluvioni. Save the Children fa sapere che, nella sola provincia di Baghlan, la più colpita, 40mila bambini sono rimasti senza casa. Il bilancio dei morti è di oltre 300 persone, secondo le stime del Programma alimentare mondiale (Wfp) delle Nazioni unite, tra cui si contano almeno 51 bambini, ha aggiunto l’Unicef. 80mila circa le persone colpite; ponti, strade, scuole e ospedali sono crollati; i servizi sanitari sono stati sospesi in almeno 11 cliniche delle province di Baghlan e Takhar. Dilagano gravi malattie come polmoniti e diarrea tra i bambini, a causa dell’assenza di acqua potabile. Un disastro aggravato da decenni di guerra e dall’incapacità del governo talebano di far fronte alle emergenze climatiche. Le vittime delle inondazioni a Baghlan hanno criticato i talebani per aver trascurato la loro situazione e non aver risposto adeguatamente alle loro esigenze. I residenti hanno riferito che gli sforzi di salvataggio dei talebani sono stati insufficienti, lasciando soli gli abitanti del villaggio nelle operazioni di salvataggio di che erano rimasti intrappolati dalle inondazioni.
  • 17 maggio: sei persone, tra cui tre cittadini spagnoli, vengono uccise e altre sette rimangono ferite in un attacco a fuoco a Bamiyan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 21 maggio: la Turkish Airlines riprende i voli per l’Afghanistan per la prima volta dalla presa del potere dei talebani nel 2021.
  • 3 giugno: il Kazakhistan ha rimosso i talebani dalla lista delle organizzaizoni terroristiche.
  • 4 giugno: un gruppo di manifestanti afghane ha pubblicato una risoluzione di dieci articoli che chiede il boicottaggio della partecipazione dei talebani al prossimo incontro di Doha e la fine dell’impegno globale con i talebani. Rivolgendosi alle Nazioni Unite, hanno sottolineato la necessità di includere nella riunione “figure non talebane” e rappresentanti di “fronti anti-talebani”. In rappresentanza dell’“Afghan Women’s Political Participation Network”, le donne hanno affermato che la nomina del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan dovrebbe “essere in linea con gli standard e le richieste del popolo afghano, in particolare delle donne”. Durante l’incontro di Doha hanno sollecitato il riconoscimento dell’“apartheid di genere” in Afghanistan e hanno chiesto la difesa dei diritti delle donne nel Paese.
  • 14 giugno: i talebani hanno frustato quasi 150 persone, tra cui 14 donne, in varie province negli ultimi 44 giorni, secondo i dati raccolti da Amu TV. La provincia di Sar-e Pul ha registrato il numero più alto di incidenti, seguita da Kandahar, Paktika, Ghazni, Nimroz, Ghor, Kunduz, Badakhshan, Khost, Bamyan, Kabul, Paktia, Parwan, Kapisa, Panjshir e Jawzjan. Le critiche pubbliche alle misure repressive dei talebani stanno crescendo. Molti afghani vedono queste punizioni come una continuazione della brutalità storica dei talebani. “I talebani di oggi non sono diversi dai talebani del passato. Erano soliti frustare le persone allora, e stanno facendo lo stesso ora. Il mondo non dovrebbe rimanere in silenzio nei confronti dei talebani”, ha affermato un residente di Kabul.
  • 30 giugno – 1 luglio: si tiene la III Conferenza di Doha, organizzata dall’Onu per normalizzare i rapporti con il governo de facto dell’Afghanistan e riaprire ufficialmente le relazioni economiche e politiche con le economie occidentali, che in realtà non si erano mai interrotte per alcuni paesi come Cina, India, Asia centrale, Russia, Iran. La novità è stata la partecipazione diretta dei talebani, che nelle due precedenti Conferenze di Doha non avevano accettato di partecipare, grazie all’accoglimento delle loro condizioni, finora sempre escluse, che hanno imposto di invitare solo loro come rappresentanti del popolo afghano (escludendo le donne e le organizzazioni per i diritti umani) e di non affrontare il problema dell’oppressione e dell’esclusione sistematica delle donne dall’istruzione e dalla società. Per approfondire leggi Doha 3: la “prima volta” dei talebani.
  • 8 luglio: almeno 217 persone, tra cui 180 membri dei talebani, sono state uccise e altre 212 sono rimaste ferite in attentati nel paese negli ultimi tre mesi, secondo un rapporto di Afghanistan Security Watch. Il rapporto dell’organismo di controllo ha elencato dettagliatamente 94 attacchi alla sicurezza registrati in 18 province durante questo periodo; Kabul ha registrato il numero più alto di incidenti, 47, seguita da Herat con 11, Baghlan con nove e Takhar con cinque; il Fronte della Resistenza ha rivendicato 57 attacchi, il Fronte della Libertà 19 e il gruppo Isis-K 6, mentre nove attacchi sono stati attribuiti a entità ignote. Il rapporto aggiunge che molti di questi attacchi hanno preso di mira le forze talebane, provocando la morte di 180 membri talebani e il ferimento di altri 168.
  • 10 luglio:
    • il Pakistan ha annunciato una proroga di un anno per i rifugiati afghani registrati, attenuando i timori di un rimpatrio immediato in Afghanistan. Il governo pakistano aveva già annunciato nell’ottobre dell’anno scorso il rimpatrio di tutti i migranti irregolari, adducendo motivi di sicurezza. Il rimpatrio degli afghani senza documenti è iniziato il 1° novembre, con i funzionari che ora segnalano che fino a 500.000 sono stati rimpatriati. Inizialmente, le autorità hanno dichiarato che c’erano circa 1,7 milioni di afghani senza documenti, la maggior parte dei quali risiedeva in Pakistan da 40 anni. “Il gabinetto federale ha approvato un’estensione di un anno della validità delle carte PoR (Proof of Registration) per 1,45 milioni di rifugiati afghani. Le loro carte PoR erano scadute il 30 giugno 2024. L’estensione è stata concessa fino al 30 giugno 2025”, ha affermato una dichiarazione dell’ufficio del Primo Ministro. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, in Pakistan vivono ancora circa 1,3 milioni di afghani registrati.
    • i talebani hanno frustato due individui con l’accusa di “falsificazione di documenti” nella provincia meridionale di Kandahar. Nelle ultime due settimane, i talebani hanno pubblicamente frustato almeno 38 persone in diverse province. Da quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno applicato punizioni corporali a centinaia di persone, comprese le esecuzioni.
  • 15 luglio – Almeno 40 persone muoiono a causa di una tempesta nella provincia di Nangarhar.
  • 30 luglio – I talebani sospendono le relazioni con 14 missioni diplomatiche afghane all’estero e annunciano che non accetteranno più documenti consolari emessi da queste missioni.
  • 5 agosto – I talebani consentono agli stranieri all’interno del paese con visti emessi dal precedente governo di rimanere, mentre coloro che hanno visti ma si trovano fuori dall’Afghanistan non potranno entrare senza documenti emessi da una missione diplomatica approvata dai talebani.
  • 11 agosto – Almeno una persona viene uccisa e altre undici rimangono ferite in un’esplosione di IED a Dasht-e-Barchi, Kabul, rivendicata dallo Stato Islamico.
  • 13 agosto – Tre civili afghani vengono uccisi durante scontri tra i talebani e le forze pakistane al valico di frontiera di Torkham.
  • 17 agosto – Il primo ministro uzbeko Abdulla Aripov diventa il più alto funzionario straniero a visitare l’Afghanistan dall’ascesa al potere dei talebani nel 2021.
  • 20 agosto
    • I talebani vietano l’ingresso nel paese al relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, accusandolo di diffondere “propaganda”.
    • Il ministero per la virtù dei talebani licenzia 281 membri delle forze di sicurezza per non aver fatto crescere la barba e annuncia di aver distrutto 21.328 strumenti musicali nell’ultimo anno, impedendo anche a migliaia di operatori informatici di vendere film “immorali e non etici” nei mercati.
  • 21 agosto – I talebani emanano nuove leggi sulla moralità e la virtù, limitando gravemente i diritti delle donne.
  • 29 agosto – I talebani vietano le arti marziali miste, dichiarando che sono troppo violente e presentano un rischio di morte, oltre a essere incompatibili con la legge islamica.
  • 2 settembre – Sei persone vengono uccise e altre 13 ferite in un attentato suicida nel quartiere di Qala Bakhtiar a Kabul. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco il giorno seguente.
  • 12 settembre – Quindici hazara vengono uccisi e altri sei feriti in un attacco armato nella provincia di Daykundi. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco.
  • 16 settembre – Le Nazioni Unite annunciano la sospensione del programma di vaccinazione contro la poliomielite nel paese a causa dei talebani.
  • 17 settembre – I talebani annunciano la riapertura dell’ambasciata afghana a Mascate, in Oman.
  • 22 settembre – L’Iran convoca il capo ad interim dell’ambasciata afghana dopo aver affermato che un funzionario afghano in visita non ha mostrato rispetto per l’inno nazionale del paese rimanendo seduto durante la sua esecuzione, pochi giorni dopo un episodio simile avvenuto in Pakistan. Il delegato afghano si scusa, sostenendo che ciò è avvenuto perché la performance pubblica di musica è vietata dai talebani.
  • 27 settembre – L’ambasciata afghana a Londra chiude in seguito a una “richiesta ufficiale” dell’Ufficio per gli Affari Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo del Regno Unito, secondo l’ambasciatore Zalmai Rassoul. Tuttavia, il FCO afferma che la decisione di chiudere l’ambasciata è stata presa dallo “Stato dell’Afghanistan”.
  • 23 ottobre – Undici persone rimangono ferite in un’esplosione in un mercato nel quartiere del Cinema Pamir a Kabul.
  • 24 ottobre – La provincia di Helmand impone un divieto sulla trasmissione, ripresa e creazione di immagini di esseri viventi.

2023

  • 1° gennaio: un attentato all’aeroporto di Kabul provoca un numero imprecisato di vittime
  • 11 gennaio: un attentatore suicida dell’ISIS-K uccide almeno 20 persone a Kabul.
  • 9 marzo: tre persone, tra cui Mohammad Dawood Muzamil, il governatore nominato dai talebani della provincia di Balkh, vengono uccise da un’esplosione nel suo ufficio.
  • 27 marzo: sei persone vengono uccise e molte altre ferite quando un attentatore suicida si fa esplodere nei pressi della sede del Ministero degli Affari Esteri a Kabul.
  • 4 aprile: i talebani vietano alle donne afghane di lavorare per le Nazioni Unite e i relativi fondi, programmi e agenzie.
  • 29 aprile: nonostante l’evidente pericolo e sfidando le forze di sicurezza talebane, a Kabul si svolge una manifestazione spontanea di un gruppo di donne che chiedono alla comunità internazionale di non riconoscere il governo dei talebani. L’iniziativa arriva in vista dell’incontro internazionale sull’Afghanistan convocato dalle Nazioni Unite a Doha.
  • 4 maggio: si chiude la conferenza ONU a Doha preceduta dalle forti polemiche scatenate dalle precedenti dichiarazioni della vice-segretaria, Amina Mohammed, che aveva accennato alla necessità di fare «piccoli passi» per un dialogo politico con i Talebani. Antonio Guterres ha riportato le conclusioni: nessun riconoscimento dell’Emirato, denuncia delle politiche discriminatorie, ma “non possiamo disimpegnarci”. Quindi l’ONU continuerà a lavorare in Afghanistan anche se il Consiglio di sicurezza è spaccato sullo stesso mandato di Unama, la missione Onu a Kabul (il cui termine è attualmente fissato al 17 marzo 2024), come sono divise tra loro le diverse agenzie ONU dopo che i talebani, ad aprile, hanno vietato alle donne afghane di lavorare per loro.
  • 8 giugno: muoiono 15 persone e sono oltre 50 i feriti in un attentato in una moschea di Faizabad, nel nord dell’Afghanistan, durante la celebrazione dei funerali del vicegovernatore della provincia di Badakhshan, il talebano Mawlawi Nisar Ahmad Ahmadi, ucciso in un attentato il 6 giugno.
  • 7 ottobre – Il Pakistan annuncia che, entro il 31 ottobre 2023, tutti gli stranieri irregolari, privi di documenti certificati dalle autorità dovranno lasciare il paese. Anche se l’annuncio riguarda tutti i cittadini stranieri, la misura colpisce principalmente gli afghani, circa 1 milione e 700mila rifugiati che, spesso, vivono in Pakistan da decenni o vi sono addirittura nati. Un numero alimentati anche dagli oltre 700mila che sarebbero arrivati nel paese dopo il ritorno al potere dei talebani.
  • 7 e 15 ottobre: tre forti terremoti di magnitudo 6.8 hanno squassato l’Afghanistan. L’epicentro è stato localizzato a 30 km a nord-est del distretto di Zinda Jan, nella provincia di Herat che conta poco meno di due milioni di abitanti. Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dello scorso dicembre, i terremoti hanno impattato circa 275.000 persone, in distretti dove il 23% della popolazione è composto da bambini di età inferiore ai 5 anni; anche se avere dati affidabili non è facile, il sisma dovrebbe avere provocato la morte di circa 1.500 afghani e il ferimento di oltre 2.100. Gravissimo l’impatto sulle infrastrutture con centinaia di abitazioni distrutte, danni a una rete idrica già fortemente compromessa e a circa 40 strutture sanitarie.
  • 29 dicembre: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato quasi all’unanimità una delibera che darà l’avvio a un nuovo corso nei rapporti del mondo con l’Afghanistan dei Talebani il cui obiettivo è “un Afghanistan in pace con se stesso e con i suoi vicini, pienamente reintegrato nella comunità internazionale e che onori i suoi obblighi internazionali”. Un provvedimento che cambia la strategia finora adottata dall’ONU e confermata nella Conferenza di Doha dello scorso maggio che stabiliva di non trattare direttamente con i Talebani finché non avessero riconosciuto i diritti alle donne.

2022

  • Marzo: è definitivamente vietato l’accesso alle donne alla scuola secondaria.
  • 7 maggio: alle donne viene ordinato di coprirsi integralmente, visi compresi, in pubblico, e, in genere, di starsene a casa. È inoltre loro vietato di compiere viaggi interurbani senza essere accompagnate da un uomo.
  • Novembre: alle donne è vietato l’ingresso in parchi, luna park, palestre e bagni pubblici.
  • 7 dicembre: riprendono esecuzioni e fustigazioni pubbliche.
  • 20 dicembre: alle donne è vietato l’accesso all’università.
  • 24 dicembre: è vietato alle ONG di impiegare personale femminile.

2021

  • 1° maggio: ha inizio l’offensiva dei talebani che li porta a controllare, nei giro di 3 mesi, 223 distretti contro i 73 pre-offensiva.
  • 2 luglio: Germania e Italia ritirano le loro truppe. Le truppe USA lasciano l’aeroporto di Bagram, consegnandolo alle forze armate afghane.
  • 6 agosto: i talebani lanciano l’assalto alle principali città dove le forze dell’esercito afghano si arrendono senza combattere.
  • 13 agosto: i talebani prendono Herat, Kandahar e Lashkargah.
  • 15 agosto: Ashraf Ghani fugge dal Paese e Kabul viene conquistata dai talebani.
  • 6 settembre: viene conquistata la provincia del Panjshir; i talebani dichiarano il controllo territoriale su tutto il Paese e reinstaurano l’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
  • 12 settembre: i talebani annunciano che le donne possono frequentare le università solo utilizzando ingressi e aule separate; gli studenti e le studentesse possono avere insegnanti solo del proprio sesso o uomini anziani.

2020

  • 18 febbraio: a distanza di quasi 6 mesi dalle elezioni, Ashraf Ghani viene formalmente dichiarato vincitore e quindi presidente; Abdullah Abdullah contesta i risultati e annuncia la formazione di un proprio governo.
  • 29 febbraio: viene siglato l’Accordo di Doha tra USA e talebani che chiude formalmente il conflitto armato e prevede il totale ritiro dal paese delle forze NATO entro il 31 agosto 2021; parti degli accordi vengono secretate. Contestualmente viene siglato a Kabul un accordo diplomatico con il governo che serve solo a rassicurare Ghani.
  • 12 settembre: i talebani incominciano a negoziare a Doha con i rappresentanti del fronte “repubblicano” di Kabul che comprende un’ampia schiera di attori politici, legati ai precedenti governi e a varie fazioni fondamentaliste.

2019

  • Febbraio: a Mosca incontro infra-afgano tra i talebani e altre figure afgane, fra cui Karzai, ma non membri del governo di Ghani. Proseguono i colloqui tra americani e talebani.
  • UNAMA: il numero di morti e feriti civili nel primo trimestre del 2019 è paragonabile a quello dell’anno precedente, ma per la prima volta dal 2009 le morti civili attribuite a governo afghano, USA e forze internazionali hanno superato quelle attribuite ai talebani e all’ISIS-K.
  • 28 settembre: dopo innumerevoli rinvii, si tengono le elezioni presidenziali.

2014

  • Aprile e giugno: elezioni presidenziali. Il risultato viene contestato con l’accusa di brogli e a settembre una commissione elettorale indipendente dichiara nuovo presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani Ahmadzai. Sotto le pressioni internazionali, viene sancito un travagliato accordo per un governo di unità nazionale, nel quale lo sconfitto al ballottaggio, Abdullah Abdullah, è nominato primo ministro.

2015

  • L’Institute for the Study of War documenta la presenza dell’ISIS nel Paese, in particolare nelle zone al confine con il Pakistan.
  • UNAMA: 3.545 morti e 7.457 feriti civili causati da scontri e bombe nel conflitto tra signori della guerra, talebani, esercito e polizia afghani e forze NATO.
  • La FAO dichiara che il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno.

2016

  • Continuano gli attentati dei talebani e dell’ISIS e gli scontri diretti tra forze USA/forze armate afghane e talebani/ISIS.
  • 22 settembre: dopo un negoziato di due anni sotto l’egida del “Comitato quadrilaterale”, Afghanistan-Pakistan-Cina-USA, il governo afghano firma accordi di pace con il movimento armato Hezb-e-Islami di Hekmatyar, responsabile di crimini contro l’umanità.

2017

  • Il paese è sempre più instabile con quotidiani attentati e scontri armati.

2018

  • Luglio: ufficiali americani iniziano colloqui segreti con i talebani presso il loro ufficio politico di Doha.
  • UNAMA: morti e feriti civili sono aumentati rispettivamente del 5% e del 11% rispetto al 2017.
  • Transparency International: l’Afghanistan è al 172 posto (su 180) dei paesi più corrotti al mondo.

2010

  • 16 marzo: viene varata una legge che prevede l’amnistia per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti dell’uomo compiuti prima del 2001.
  • 18 settembre: terze elezioni parlamentari. Ottengono la maggioranza dei seggi tre partiti fondamentalisti che erano stati protagonisti della guerra fazionale 1992-1996, guidati rispettivamente dai signori della guerra Rabbani, Mohaqiq e Dostum.

2009

  • I talebani controllano tre quarti del paese e sono ormai alle porte di Kabul. Si moltiplicano gli attentati, in cui perdono la vita soprattutto civili innocenti. Viene convertito in legge un decreto che legalizza la discriminazione contro le donne sciite.
  • 20 agosto: si tengono le seconde elezioni presidenziali. Dopo alterne vicende e accuse di brogli, la presidenza viene confermata a Hamid Karzai.

2007

  • La NATO estende di altri 12 mesi il mandato ISAF. Continuano le violenze, il Paese non vede segnali tangibili di ricostruzione. Il Parlamento emana la Legge sulla riconciliazione nazionale, l’amnistia generale e la stabilità nazionale, che garantisce la completa impunità ai responsabili di atroci crimini.
  • 21 maggio: Malalai Joya viene illegalmente sospesa dalla carica di deputata.

2005

  • 18 settembre: si tengono le prime elezioni parlamentari. Viene eletto un Parlamento formato per la maggior parte dai leader di fazioni fondamentaliste responsabili di crimini di guerra. L’attivista Malalai Joya viene eletta con migliaia di voti.
  • Si intensificano gli atti della resistenza talebana. La NATO espande la presenza dell’ISAF nell’ovest del Paese.

2004

  • 25 gennaio: il presidente Karzai promulga il testo della nuova Costituzione, che sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna “davanti alla legge” (art. 22). Il testo costituzionale afferma però che “nessuna legge potrà essere contraria ai princìpi e ai precetti della sacra religione dell’Islam in Afghanistan” (art. 3).
  • 9 ottobre: si tengono le prime elezioni presidenziali che confermano Karzai alla guida del paese.
  • Il paese è leader mondiale nella produzione di oppio.
  • Viene fondato il Partito afgano della solidarietà, Hambastagi, di ispirazione laica e democratica, che apertamente denuncia la corruzione e i crimini dei principali esponenti del governo e della politica afghana.

2003

  • Kabul è ancora sotto il controllo del governo solo grazie alla presenza di un contingente militare internazionale (ISAF), ma il resto del Paese è già attraversato da lotte di potere e attentati.
  • 17 dicembre: Malalai Joya, giovane operatrice sociale della provincia di Farah, prende la parola alla Loya Jirga, denunciando la presenza di signori della guerra responsabili della distruzione del Paese.

2002

  • 8 marzo: prima celebrazione della Giornata internazionale della donna a Kabul.
  • Giugno: la Loya Jirga, assemblea generale dei capi tribù, indetta dopo gli accordi di Bonn, elegge Hamid Karzai alla guida del governo di transizione formato dai signori della guerra che hanno devastato il paese negli anni della guerra civile.

2001

  • Marzo: a Bamiyan i talebani fanno saltare le grandi statue di Buddha.
  • 9 settembre: Ahmad Shah Massud, capo dell’Alleanza del Nord, viene assassinato in un attentato di al Qaeda.
  • 11 settembre: al Qaeda dirotta quattro aerei negli USA, distruggendo il World Trade Center a New York e colpendo il Pentagono.
  • 7 ottobre: gli USA si pongono alla guida di un’ampia coalizione e lanciano un attacco contro i talebani, appoggiando le forze dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord. I talebani vengono cacciati da Kabul in poche settimane.
  • 5 dicembre: nella Conferenza di Bonn, quattro delegazioni afghane siglano, sotto l’egida dell’ONU, un accordo per la ricostruzione di uno Stato rappresentativo. Hamid Karzai viene nominato presidente ad interim dell’Afghanistan.

1996

  • I talebani conquistano Kabul e instaurano un regime oscurantista, basato sulla sharia, che nega ogni diritto alle donne. Osama bin Laden organizza campi di al Qaeda in Afghanistan.

1995

  • I talebani conquistano Herat e Kandahar.

1994

  • La guerra civile riduce Kabul in rovine. In Pakistan si formano i primi gruppi di talebani.

1993

  • La guerra civile tra i signori della guerra Burhanuddin Rabbani, Abdul Rashid Dostum e Gulbuddin Hekmatyar provoca decine di migliaia di vittime.

1992

  • Aprile: i mujaheddin prendono Kabul e spodestano Najibullah.

1989

  • Febbraio: le truppe sovietiche si ritirano dall’Afghanistan, lasciando al potere il regime fantoccio di Najibullah contro il quale i mujaheddin continuano a combattere.

1987

  • I mujaheddin ottengono importanti vittorie.

1982

  • Osama bin Laden si trasferisce in Pakistan.

1980

  • I mujaheddin, gruppi anticomunisti e ribelli islamici, cominciano la lotta di resistenza contro gli occupanti sovietici. Massicce manifestazioni studentesche antisovietiche a Kabul.

1979

  • Febbraio: l’ambasciatore degli USA è rapito e ucciso. Il nuovo regime firma accordi con l’URSS. Due presidenti afghani vengono uccisi l’uno dopo l’altro.
  • Dicembre: le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan.

1978

  • Aprile: il PDPA compie un colpo di stato e uccide Daud. Migliaia di intellettuali e democratici afghani vengono incarcerati o uccisi.

1977

  • L’attivista Meena Keshwar Kamal fonda RAWA.

1973

  • Re Zahir è spodestato da Daud e da membri del PDPA. La monarchia viene abolita. Daud si proclama presidente.

1965

  • Prime elezioni nazionali. Votano gli uomini e le donne. Nasce il Partito democratico del popolo afghano (PDPA), filosovietico.

1964

  • Viene varata una nuova Costituzione democratica che sancisce il voto per le donne.

1963

  • Re Zahir rimuove il primo ministro Daud.

1959

  • Daud e altri ministri appaiono in pubblico con le loro mogli senza velo. Portare il velo diventa facoltativo. L’università di Kabul apre alle donne. Le donne entrano nel mondo del lavoro e nelle istituzioni.

1955

  • Daud si rivolge all’URSS per chiedere appoggi e aiuti.

1953

  • Il principe Mohammed Daud diventa primo ministro dell’Afghanistan sotto re Zahir, suo cugino.

1947

  • La Gran Bretagna si ritira dall’India: separazione del Pakistan dall’India.

1933-1973

  • Regno di Mohammed Zahir, sovrano aperto al mondo occidentale.

1921

  • Terza guerra anglo-afghana. L’Afghanistan ottiene la piena indipendenza. Re Amanullah avvia la modernizzazione sociale e politica del paese. L’istruzione delle donne riceve particolare attenzione.

1878-1880

  • Seconda guerra anglo-afghana, nella quale si distingue l’eroina afghana “Malalai of Maiwand”.

1839-1842

  • Prima guerra anglo-afghana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE

Lancio il 10 dicembre 2024 in occasione della Giornata mondiale dei Diritti umani

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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“Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese, l’Afghanistan. Noi resistiamo, oltre il silenzio”

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.

La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. 

La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.

Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa?
Shakiba: È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio. 

Come vi proteggete?
Shakiba: Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere. 

Una condizione psicologica molto faticosa.
Shakiba: Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia. 

Come vi spostate quando andate fuori città?
Shakiba: Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.

Non è una novità per Rawa.
Shakiba: Infatti. Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere. 

Dove sono queste telecamere? 
Shakiba: Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.

Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte?
Shakiba: Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore. 

I Talebani hanno sostegno nelle province?
Shakiba: Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.

L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli?
Shakiba: In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno. 

Quindi è possibile, nel futuro?
Shakiba: Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali. Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese. 

Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani.
Shakiba: Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.

Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro.
Shakiba: Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.

Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni?
Shakiba: Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.

Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne?
Shakiba: Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.

Hanno paura delle donne?
Shakiba: Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.

Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto.
Shakiba: C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.

Di quali crimini parliamo?
Shakiba: Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara, violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.

Anche una guerra tecnologica con i Talebani?
Shakiba: Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere. 

Organizzate ancora manifestazioni?
Shakiba: Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.

L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare?
Shakiba: Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. La presa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.  

La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare?
Shakiba: Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata 

Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani?
Shakiba: I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile. 

I Talebani hanno rivali sul territorio?
Shakiba: Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai. 

Qual è il messaggio più forte per la vostra gente?
Shakiba: Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.  

A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.

L’articolo è precedentemente uscito su Altreconomia.

Il crimine dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità

L’uguaglianza di genere è, prima di tutto, un diritto umano. Implica che donne, uomini, ragazzi e ragazze di tutte le classi e razze partecipino come pari e abbiano pari valore.

Da un punto di vista legale, è definita come il principio secondo cui tutte le persone, indipendentemente dal loro genere, devono avere gli stessi diritti, doveri, opportunità e accesso alle risorse.

Questo principio è sancito in varie convenzioni internazionali, tra cui:

  • La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4/11/1950, che all’art 14 prevede il divieto di discriminazione anche fondata sul sesso , sulla “ nascita o ogni altra condizione” e prevede che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella convenzione debbano essere garantiti ad ogni persona senza distinzione alcuna.
  • La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979. La CEDAW è considerata uno dei trattati fondamentali per la protezione e la promozione dei diritti delle donne. L’articolo 1 definisce “discriminazione contro le donne” come qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione basata sul sesso che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, sulla base dell’uguaglianza con gli uomini, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo.
  • La Convenzione sulla parità di retribuzione (OIL – Convenzione n. 100), adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 1951, che richiede agli Stati membri di garantire la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore, senza discriminazioni basate sul genere.

Le convenzioni internazionali attribuiscono agli Stati una chiara responsabilità non solo di legiferare a favore dell’uguaglianza di genere, ma anche di adottare tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione di fatto. Ciò include l’accesso alla giustizia, la disponibilità di rimedi efficaci e la possibilità di ottenere adeguate riparazioni e garanzie di non ripetizione.

Perché è necessaria la codificazione del crimine di apartheid di genere?

Il concetto di “apartheid di genere” non è ancora codificato nel diritto internazionale come crimine e il riconoscimento legale di tale crimine affronterà quella che è una lacuna importante nel diritto internazionale.

L’importanza di riconoscere e definire “apartheid di genere” come uno specifico crimine contro l’umanità, distinto dal crimine di apartheid sancito nello Statuto di Roma, risiede in diverse considerazioni fondamentali relative alla protezione dei diritti umani, alla giustizia internazionale e alla lotta contro la discriminazione sistematica.

Il crimine di apartheid, come definito nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (articolo 7 (1) (j)), si concentra sulla discriminazione razziale. Tuttavia, le dinamiche della discriminazione di genere hanno caratteristiche uniche che richiedono un’attenzione legale specifica. Le violazioni dei diritti umani basate sul genere, come la violenza sessuale, lo stupro, la negazione dei diritti riproduttivi e la segregazione di genere, non sono sempre adeguatamente affrontate sotto la semplice nozione di apartheid razziale.

Un crimine di “apartheid di genere” riconoscerebbe l’entità e la gravità della discriminazione di genere, affrontando specificamente le violazioni sistematiche che colpiscono ragazze, donne e individui non conformi al genere, in particolare le persone LGBTQI+.

Incorporare “apartheid di genere” nel corpus dei crimini contro l’umanità rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci per i crimini basati sulla discriminazione di genere. Aumenterà gli sforzi per combattere i regimi istituzionalizzati di oppressione e dominio sistematici imposti per motivi di genere. In effetti, il riconoscimento legale riconoscerebbe il tipo unico di vittimizzazione e amplierebbe le opportunità per le vittime di cercare giustizia e per le istituzioni internazionali di intraprendere azioni contro Stati, governi o entità che utilizzano e perpetuano tali sistemi di oppressione. Inoltre, creerebbe un precedente legale che potrebbe essere utilizzato per costruire giurisprudenza e fornire mezzi per affrontare le nuove forme di discriminazione di genere emergenti nel mondo contemporaneo.

Ad esempio, in Afghanistan il contesto storico della discriminazione di genere e la continuazione delle pratiche oppressive sotto i regimi recenti illustrano come le azioni attuali facciano parte di un sistema prolungato di apartheid di genere.

Definizione proposta per il crimine di apartheid di genere come crimine contro l’umanità

“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”.

Questi atti includono, ma non sono limitati a:

  • a) L’emanazione di leggi o politiche che negano, limitano o riducono i diritti fondamentali degli individui in base al loro genere;
  • b) L’uso di violenza fisica o psicologica, detenzione arbitraria o qualsiasi altra forma di coercizione per imporre il controllo di un genere sull’altro;
  • c) La segregazione sistematica e la limitazione dell’accesso alle risorse, all’istruzione, all’occupazione o alla partecipazione politica in base al genere;
  • d) La promozione di ideologie o pratiche che giustificano o legittimano il dominio e/o l’oppressione di un genere sull’altro”.

Spiegazione della proposta

La definizione di apartheid di genere nella formula proposta (atti, politiche o pratiche volte a perpetuare il dominio di un genere sull’altro) è coerente con la comprensione giuridica dell’apartheid come definita dalla Convenzione internazionale sulla repressione e la punizione del crimine di apartheid (1973) e ampliata nello Statuto di Roma (1998), che include il crimine di apartheid come crimine contro l’umanità. Questi quadri giuridici definiscono l’apartheid come dominio istituzionalizzato e oppressione sistematica, in genere basata sulla razza. La proposta di ampliamento basato sul genere di questo principio è giustificata, poiché la discriminazione di genere è stata storicamente una forma di oppressione pervasiva e istituzionalizzata.

Gli elementi chiave di questa definizione sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, che sono state caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid. In questo contesto, l’apartheid di genere riflette politiche che escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio. Gli atti elencati, come le leggi discriminatorie, l’uso della violenza per imporre il controllo e la segregazione sistematica nell’accesso alle risorse, corrispondono a pratiche simili riconosciute nei sistemi di apartheid razziale. Ognuna di queste pratiche può essere osservata in regimi di discriminazione di genere, sia storicamente che attualmente, come il regime talebano in Afghanistan, dove alle donne è stato negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alla libertà di movimento. Tali azioni, quando commesse in modo sistematico e istituzionalizzato, presentano sorprendenti somiglianze con le pratiche dell’apartheid. La proposta sottolinea che tali atti possono essere commessi non solo da attori statali, ma anche da attori non statali, come gruppi organizzati, il che riflette un crescente riconoscimento nel diritto internazionale del ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. L’inclusione delle omissioni come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere, amplia ulteriormente l’ambito della responsabilità. Ciò è in linea con la giurisprudenza di casi come Opuz contro Turchia (2009) e Talpis contro Italia (2017) , in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’incapacità di uno Stato di proteggere le donne dalla violenza domestica violava i diritti umani.

Il concetto di apartheid di genere può essere situato nel quadro più ampio dell’intersezionalità, che esamina come varie forme di oppressione, come razza, classe e genere, interagiscono e si aggravano a vicenda. Gli studiosi del diritto come Catharine MacKinnon hanno a lungo sostenuto che l’oppressione delle donne è sistematica e dovrebbe essere intesa come una forma di subordinazione politica simile all’apartheid. In questo senso, la formula proposta si basa sulla teoria giuridica femminista, che vede la discriminazione di genere come una forma di stratificazione sociale e legale.

Inoltre, la proposta è in linea con le tendenze legali internazionali verso l’ampliamento della portata dei crimini contro l’umanità per includere i crimini di genere. Ad esempio, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) hanno riconosciuto la violenza sessuale come crimine contro l’umanità e atto di genocidio quando viene sistematicamente utilizzata come strumento di oppressione. Questi precedenti supportano l’inclusione della discriminazione sistematica basata sul genere come forma di apartheid.

1. SOGGETTI DEL REATO

  • Soggetto attivo

L’inclusione sia di individui che di entità collettive, come Stati e gruppi organizzati, è in linea con gli sviluppi del diritto penale internazionale, che riconosce la responsabilità degli individui per crimini contro l’umanità, riconoscendo anche il ruolo che istituzioni o entità possono svolgere nel consentire e far rispettare tali crimini. Questo duplice riconoscimento consente la responsabilità sia a livello individuale che sistematico. Nell’apartheid di genere, sia i regimi politici che i gruppi culturali o religiosi possono esercitare un controllo significativo sulle norme sociali e questa proposta consente un approccio sfumato per perseguire i crimini commessi da tali entità.

  • Soggetto passivo

La definizione di soggetto passivo come qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere, comprese le donne e gli individui non conformi al genere, riflette la moderna comprensione del genere come costrutto sociale. Ciò è particolarmente importante in quanto amplia le protezioni oltre il tradizionale binario di uomini e donne, affrontando la discriminazione e l’oppressione affrontate dalla comunità LGBTQI+, che è stata sistematicamente oppressa in vari contesti, dalle leggi restrittive sull’espressione di genere agli attacchi violenti. Il riconoscimento della costruzione sociale del genere in questi termini implica la necessaria abrogazione dell’art. 7 co 3 del trattato di Roma.

2. CONDOTTA

La condotta si riferisce ad azioni, politiche, pratiche o omissioni deliberate che istituzionalizzano e perpetuano la discriminazione e l’oppressione sistematiche basate sul genere. La condotta dovrebbe mirare a creare, mantenere o rafforzare un sistema di dominio e/o oppressione di un genere sull’altro.

a) Elemento della condotta

La condotta dovrebbe essere parte di un sistema continuo di discriminazione e/o oppressione. Tale condotta può manifestarsi attraverso i seguenti atti:

1. Leggi e politiche discriminatorie:

  • Leggi e decreti che limitano i diritti civili e politici, come negare alle donne o ad altri gruppi di genere il diritto di voto, candidarsi o partecipare alla vita pubblica. Ad esempio, leggi che impediscono alle donne o agli individui non conformi al genere di ricoprire determinate posizioni o di accedere a professioni specifiche.
  • Politiche che limitano l’accesso all’istruzione e alla formazione, comprese pratiche educative che discriminano in base al genere, impedendo alle donne o agli individui non conformi al genere di accedere all’istruzione o a specifici campi di studio. o Leggi che impongono codici di abbigliamento o norme comportamentali basate sul genere, come l’obbligo per le donne di coprire parti del corpo o il divieto di guidare o viaggiare senza un accompagnatore maschile.

L’adozione di leggi e politiche discriminatorie sono chiari esempi di forme sistematiche e istituzionalizzate di apartheid di genere, volte a controllare, segregare e opprimere gli individui in base al genere. Queste leggi e politiche spesso riflettono norme e valori sociali radicati, rafforzando ulteriormente le disuguaglianze di genere sia nella vita pubblica che in quella privata.

2. Pratiche economiche e lavorative discriminatorie:

  • Pratiche che limitano l’accesso all’occupazione e alle risorse economiche, come divari salariali tra i sessi per lavori di pari valore o l’esclusione sistematica di donne o individui non conformi al genere da settori specifici.
  • Leggi e pratiche che impediscono alle donne o ad altri gruppi di genere di possedere, ereditare o controllare proprietà e risorse economiche.
  • Segregazione del lavoro basata sul genere, che relega un genere a lavori meno retribuiti o meno rispettati.

3. Controllo sociale e culturale:

  • Applicazione dei ruoli di genere tradizionali, limitazione  della autonomia e autodeterminazione le donne o altri gruppi di genere a ruoli domestici, ciò potrebbe includere la pressione sociale per il matrimonio forzato o la maternità.
  • Violenza di genere come strumento di controllo, come tolleranza o promozione della violenza domestica, mutilazione genitale femminile o “correzione” violenta di individui non conformi al genere.
    • La violenza di genere è un potente strumento utilizzato per far rispettare le gerarchie di genere e controllare le donne e gli individui non conformi al genere. Questa violenza può assumere molte forme, tra cui violenza domestica, violenza sessuale, mutilazione genitale femminile (MGF) e la cosiddetta violenza “correttiva” contro coloro che non si conformano ai ruoli di genere tradizionali. In molti casi, questi atti di violenza sono tollerati, normalizzati o persino promossi all’interno della società, rafforzando ulteriormente la subordinazione di un genere rispetto a un altro. Questo tipo di violenza non è solo un’espressione di aggressione individuale, ma è spesso tollerata da norme o pratiche sociali che considerano le donne e le minoranze di genere inferiori o bisognose di controllo. Rappresenta una grave forma di apartheid di genere, in cui la violenza è sistematicamente utilizzata per imporre la subordinazione di genere e negare agli individui il loro diritto alla sicurezza, all’autonomia e all’uguaglianza.

4. Esclusione sistemica dai diritti e dai servizi:

  • Negazione dell’accesso ai servizi sanitari essenziali, tra cui la salute riproduttiva, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e i servizi di salute mentale. o Esclusione dai sistemi giudiziari che negano alle donne o agli individui non conformi al genere l’opportunità di cercare un risarcimento legale per crimini o violazioni dei diritti, come i tribunali che non riconoscono la loro testimonianza o applicano standard di prova più severi per i crimini basati sul genere.
  • Privazione della libertà personale, comprese restrizioni alla circolazione, all’organizzazione politica e alla partecipazione alle proteste.

L’esclusione sistemica dai diritti e dai servizi essenziali è un pilastro fondamentale dell’apartheid di genere, in cui agli individui, in particolare alle donne e alle persone non conformi al genere, viene deliberatamente negato l’accesso a servizi essenziali e protezioni legali. Queste esclusioni rafforzano e sostengono la disuguaglianza di genere rendendo difficile o impossibile per i gruppi emarginati vivere liberamente, accedere all’assistenza sanitaria, cercare giustizia e partecipare pienamente alla società.

5. Propaganda e incitamento all’odio:

  • Promozione di ideologie che affermano l’inferiorità di genere attraverso i media, la propaganda o la retorica politica, giustificando la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione e diffondendo stereotipi dannosi.
  • Normalizzazione della discriminazione di genere, del dominio e/o dell’oppressione attraverso l’istruzione, la cultura popolare o dichiarazioni ufficiali di leader politici o religiosi.

La propaganda e l’incitamento all’odio sono potenti strumenti utilizzati per sostenere l’apartheid di genere promuovendo ideologie che giustificano la subordinazione di un genere all’altro. Attraverso la deliberata diffusione di stereotipi dannosi, queste tattiche rafforzano le norme sociali che legittimano la discriminazione e l’oppressione basate sul genere. Tali ideologie sono spesso radicate nei media, nella retorica politica, nei sistemi educativi e nella cultura popolare, favorendo un ambiente in cui la disuguaglianza è normalizzata e persino celebrata. La propaganda e l’incitamento all’odio mantengono l’apartheid di genere attraverso la promozione dell’inferiorità di genere e la normalizzazione della discriminazione di genere. In particolare,

b) Forme di condotta

  • Imposizione diretta: la condotta può essere imposta direttamente tramite minaccia o forza legale o fisica, come l’applicazione di leggi discriminatorie o l’uso della violenza per sostenere le norme di genere.
  • Supporto o tolleranza istituzionale: la mancanza di azioni per reprimere pratiche o politiche discriminatorie può anche integrare la condotta quando uno stato, un governo o un’istituzione sostiene indirettamente la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione di genere.
  • Controllo sistemico: la condotta può essere parte di un quadro di controllo sistemico che include non solo leggi e politiche, ma anche applicazione selettiva, controllo dei media ed educazione per mantenere la superiorità di genere, il dominio e/o l’oppressione.

c) Impatto della condotta

L’obiettivo dell’apartheid di genere è quello di mantenere e rafforzare una gerarchia di genere che perpetua la disuguaglianza e l’oppressione in modo che gli individui di un certo genere rimangano svantaggiati in tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. Gli effetti degli atti includono:

  • Creazione di un sistema di disuguaglianza strutturale cronica, che causa danni psicologici, fisici, economici e sociali al gruppo oppresso.
  • Perpetuazione di stereotipi di genere, che giustificano la subordinazione e la discriminazione, causando un ciclo a lungo termine di privazione di potere ed esclusione.

La condotta dell’apartheid di genere ha conseguenze profonde e di vasta portata sulla società, con il suo scopo finale di rafforzare e mantenere una rigida gerarchia di genere. Questo sistema garantisce che determinati generi, in genere donne e individui non conformi al genere, rimangano svantaggiati in tutti gli ambiti della vita, socialmente, politicamente ed economicamente. Gli impatti di questa condotta sono devastanti, radicano la disuguaglianza e perpetuano cicli di oppressione e privazione di potere. In particolare:

1. Disuguaglianza strutturale cronica

L’apartheid di genere crea un sistema di disuguaglianza strutturale cronica che si manifesta in varie forme di danno, psicologico, fisico, economico e sociale. Questa disuguaglianza strutturale è intessuta nel tessuto della società, assicurando che le donne e le minoranze di genere affrontino barriere sistemiche alle opportunità e alle risorse, mentre il gruppo di genere dominante (in genere gli uomini) beneficia di privilegi e potere duraturi.

  • Danno psicologico: il costante rafforzamento dell’inferiorità e della subordinazione causa danni psicologici a lungo termine.
  • Danni fisici: l’apartheid di genere provoca anche danni fisici diretti, in particolare attraverso l’uso della violenza per far rispettare le norme di genere e mantenere il controllo. Ciò può includere violenza domestica, omicidi d’onore, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili e punizioni fisiche per non conformità di genere.
  • Danni economici: l’impotenza economica è una componente critica dell’apartheid di genere, in cui alle donne e alle minoranze di genere viene sistematicamente negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alle risorse economiche.
  • Danno sociale: l’apartheid di genere favorisce l’esclusione dalla vita pubblica, con donne e minoranze di genere spesso escluse dalla partecipazione politica, dai ruoli decisionali e dalle posizioni di leadership. Questa esclusione porta all’emarginazione di interi gruppi dal progresso e dallo sviluppo della società.

2. Ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione

La condotta dell’apartheid di genere stabilisce un ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione, in cui ai generi emarginati vengono sistematicamente negate le opportunità di sfuggire all’oppressione. Ogni generazione eredita e perpetua la disuguaglianza e gli stereotipi della precedente, rafforzando l’idea che l’attuale gerarchia di genere sia naturale o immutabile.

  • Impatto intergenerazionale: l’apartheid di genere non colpisce solo coloro che vivono sotto di essa, ma anche le generazioni future.
  • Sviluppo sociale ed economico: l’esclusione a lungo termine delle donne e delle minoranze di genere dai ruoli critici nella società impedisce anche lo sviluppo sociale ed economico generale.. Gli studi hanno dimostrato che una maggiore uguaglianza di genere porta a una maggiore prosperità economica, poiché più individui sono in grado di partecipare pienamente alla forza lavoro e contribuire al progresso sociale.

 3. ELEMENTO SOGGETTIVO: INTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA

a) Mens Rea (Intenzione)

L’elemento soggettivo del crimine di apartheid di genere va oltre la semplice intenzione di discriminare. Comporta la consapevolezza e l’accettazione della gravità e della natura sistematica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo di persone in base al loro genere. Ciò significa una volontà consapevole di dominare, controllare o soggiogare un gruppo specifico in base al genere. In genere, ciò comporta il mantenimento di una struttura sociale e politica che perpetua la superiorità di un genere, spesso maschile rispetto a quello femminile, attraverso leggi, politiche o pratiche che pongono un genere in una posizione subordinata o emarginata, privandolo di diritti e opportunità fondamentali.

Gli autori devono essere consapevoli che le loro azioni o politiche si tradurranno in discriminazione, dominazione o oppressione e sofferenza di un gruppo di persone in base al genere. Anche se non è l’intento primario, gli autori devono accettare la discriminazione e la disuguaglianza risultanti come inevitabili o accettabili.

Pertanto, la mens rea, o elemento soggettivo, implica una consapevolezza e un’accettazione specifiche della gravità e della natura sistemica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo basato sul genere.

b) Prova dell’elemento soggettivo

Per stabilire l’elemento soggettivo in un contesto giudiziario, possono essere utilizzate varie forme di prova, tra cui:

  • Documentazione ufficiale: leggi, regolamenti, decreti e politiche ufficiali che dimostrano esplicitamente o implicitamente l’intenzione di perpetuare la discriminazione di genere. Questi documenti possono servire come prova diretta dell’intenzione di creare e/o mantenere un sistema discriminatorio.
  • Dichiarazioni pubbliche: discorsi, dichiarazioni o altri atti comunicativi degli autori che esprimono l’intenzione di sostenere un sistema di supremazia di genere. Queste dichiarazioni possono evidenziare la consapevolezza dell’autore degli effetti delle proprie azioni e la sua deliberata intenzione di continuare tali pratiche.
  • Pratiche istituzionali: prova che le istituzioni statali o altre organizzazioni implementano costantemente pratiche discriminatorie contro uno specifico gruppo di genere. Ciò può includere registrazioni di come le politiche vengono applicate nella pratica, dimostrando un approccio sistematico all’esclusione e alla disuguaglianza basate sul genere.

 

Proposta del C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) inviata Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la lettera che puoi leggere qui, redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)