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Autore: Patrizia Fabbri

Mandati di arresto per i talebani, un atto coraggioso in difesa delle donne afghane

Finalmente qualcosa si muove anche a livello istituzionale in difesa delle donne afghane e del loro diritto all’esistenza. Qualcuno si è accorto della loro quotidiana insopportabile sofferenza e, andando oltre le astratte dichiarazioni in difesa dei diritti umani, si è esposto con un atto concreto.

Il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI) Karim Khan ha richiesto mandati di arresto per il leader supremo dei talebani, Mullah Hibatullah Akhundzada e per il suo giudice capo, Abdul Hakim Haqqani, perché responsabili del crimine di persecuzione di genere ai sensi dell’art. 7(1) (h) dello Statuto di Roma. Li ritiene “penalmente responsabili di aver perseguitato ragazze e donne afghane, così come le persone che i talebani percepivano come non conformi alle loro aspettative ideologiche di identità o espressione di genere, e le persone che i talebani percepivano come alleate di ragazze e donne. Questa persecuzione è stata commessa almeno dal 15 agosto 2021 fino ai giorni nostri, in tutto il territorio dell’Afghanistan”.I giudici della CPI hanno tempo tre mesi per decidere se accogliere la richiesta del procuratore, che ha anche annunciato che richiederà altri mandati di arresto per i funzionari talebani.

La CPI ha preso una decisione storica, superando i tentennamenti e le politiche contraddittorie dell’Onu e degli Stati che si dicono democratici perché rifiutano formalmente il riconoscimento del governo talebano, ma intanto invitano i suoi esponenti ai convegni internazionali e fanno affari con loro.

In questi tre anni di governo i talebani e i loro fedeli emissari hanno promulgato e messo in pratica innumerevoli decreti contro le donne, le ragazze e le persone LGBTQ+, rendendole schiave segregate nelle loro case, senza il diritto di andare a scuola e di lavorare fuori casa, di vestirsi e muoversi liberamente, perfino di cantare, parlare, pregare ad alta voce, completamente nascoste e separate anche dalle altre donne, nella loro concezione fondamentalista considerate fonte di ogni male in quanto donne.

Preso atto dell’assoluta impermeabilità del governo talebano alle ingiunzioni delle istituzioni internazionali per il ritiro dei provvedimenti e il ripristino dei diritti delle donne in cambio del loro riconoscimento, la risposta non può essere quella di cancellare il problema dalle agende politiche e recedere dalle pressioni per ingraziarsi i talebani con concessioni commerciali e aiuti economici, nella speranza di convincerli in futuro ad accettare le regole della democrazia. Né quella di scommettere su una divisione del fronte talebano per poterne appoggiare gli esponenti più moderati.

Non ci sono talebani cattivi e talebani buoni: sono tutti comunque fondamentalisti e la loro ragion d’essere sta proprio in questa ideologia che li accomuna. Infatti nel corso dei vent’anni di governi filoccidentali non si sono mai sciolti né amalgamati con posizioni più flessibili per trovare un loro spazio nella politica e nel governo. Non possiamo perciò contare sulla loro assimilazione futura, ma solo sulla loro sconfitta.

Plaudiamo quindi alla richiesta di incriminazione della CPI, che li smaschera pubblicamente per quello che sono: criminali che vanno arrestati e perseguiti come tali, non politici con cui trattare.

Il percorso della CPI in questa direzione sarà lungo e difficile, anche perché la Corte deve difendersi dagli attacchi di quegli Stati che vogliono minarne la credibilità e distruggerla completamente, ma è un atto che rende più difficile il riconoscimento del governo talebano da parte degli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma e alla istituzione della CPI.

Anche l’Italia è tra questi e vogliamo che si schieri a favore dei diritti delle donne e delle persone LGBTQ+.

Per questo il Cisda, all’interno della Campagna contro l’apartheid di genere che ha recentemente lanciato, propone una petizione rivolta al governo italiano perché questo, consapevole del suo ruolo istituzionale, si renda responsabile della difesa dei diritti delle donne presso gli organismi internazionali competenti.

Chiediamo quindi che lo Stato italiano:

– appoggi la richiesta di inserimento dell’apartheid di genere tra i crimini internazionali nella Convenzione in discussione all’ONU e nella revisione dello Statuto di Roma

– si unisca agli Stati che chiedono alla Corte Penale Internazionale e alla Corte Internazionale di Giustizia di chiamare i talebani alle loro responsabilità

– non dia riconoscimento, né giuridico, né di fatto, al regime talebano.

L’Afghanistan è il peggior paese al mondo per nascere donna

Intervista a Graziella Mascheroni, presidente del Cisda, associazione che lotta contro l’apartheid di genere nel paese dei talebani.

In Afghanistan le donne possono solo respirare. Segregate tra le mura domestiche o coperte con i loro burqa quando si espongono alla minima luce del sole, le donne afghane non devono essere visibili, neanche attraverso una finestra o una fessura di un cortile. Private della parola e del canto, non possono far udire il suono della loro voce in pubblico, nemmeno quando pregano.

La volontà dei talebani è seppellire le donne, imprigionarle dentro case che si stanno trasformando sempre più in prigioni, renderle invisibili alla società, al mondo. In Afghanistan, da quando sono ritornati al potere (agosto 2021), le donne sono state progressivamente cancellate dagli spazi pubblici, private dei loro diritti fondamentali e poste in una condizione di violenta oppressione, tant’è che in Afghanistan non si parla più di discriminazione di genere, bensì di apartheid di genere.

….

L’intervista integrale si trova su  MicroMega il 14 gennaio 2025 a firma di Silvia Cegalin

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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Continua la raccolta firme per la petizione STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE

  1. all’apartheid di genere come crimine contro l’umanità.
  2. NO al riconoscimento, giuridico o di fatto, del regime fondamentalista talebano.
  3. al sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche.

Sono questi i 3 obiettivi che si pone la campagna STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE lanciata dal CISDA lo scorso 10 dicembre in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani.

Nell’ambito di questa Campagna è stata aperta una raccolta firme per una Petizione con la quale si chiede Governo italiano di sostenere questi obiettivi.

1. Cosa significa apartheid di genere e perché è un crimine contro l’umanità

“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”. È questa la definizione per il crimine di apartheid di genere che il CISDA, con il supporto di un team di giuriste, ha elaborato e inviato direttamente, e attraverso la delegazione italiana, alla VI Commissione dell’ONU che sta lavorando all’elaborazione di un Trattato globale per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità.

È un lavoro complesso, sul quale l’ONU si sta confrontando da sei anni, ma alla fine del 2024, nonostante l’ostruzionismo di alcuni paesi, è stato delineato un percorso che, sebbene molto lungo dato che le negoziazioni vere e proprie sul Trattato sono previste nel 2028 e 2029, definisce una tempistica per le proposte che gli Stati membri e la società civile possono sottoporre alla Commissione.

Nella definizione proposta dal CISDA, gli elementi chiave sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid, ma si sottolinea che tali atti possono essere commessi oltre da attori statali, anche da attori non statali, come gruppi organizzati. Si tratta di una precisazione importante che evidenzia il ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. A tutto ciò si aggiunge l’inclusione dell’omissione come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere.

Importante è poi la definizione del “soggetto passivo” nella quale è compreso qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere e gli individui non conformi al genere: una definizione fondamentale per estendere le protezioni oltre il tradizionale concetto binario uomo-donna e andare a perseguire la discriminazione e le azioni violente rivolte alle persone LGBTQI+.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

2. Perché il crimine di apartheid di genere è legato ai fondamentalismi

Il CISDA ha voluto collegare strettamente il concetto di “fondamentalismi” (il plurale non è un caso) a quello di apartheid di genere perché ritiene che la discriminazione e l’oppressione sulla base del genere della persona siano diretta conseguenza di un approccio fondamentalista alla società. Approccio che non riguarda esclusivamente l’Islam o le religioni in generale.

Ormai assuefatti ad associare il fondamentalismo all’Islam, dimentichiamo che il termine nasce da un movimento religioso protestante diffuso soprattutto negli Stati Uniti a fine ‘800, che, in opposizione al protestantesimo liberale e a tutte le tendenze razionalistiche e critiche, impone l’accettazione rigida e intransigente dei “fondamentali” del Cristianesimo. E per venire all’oggi, basti pensare ai movimenti estremisti cristiani antiabortisti per comprendere quanto il fondamentalismo non sia esclusiva peculiarità di alcune interpretazioni dell’Islam.

E non è un fenomeno circoscrivibile alla sola religione perché il termine fondamentalismo indica “l’atteggiamento di chi persegue un’interpretazione estremamente conservatrice e un’attuazione rigida e intransigente di una religione, un pensiero politico, scientifico, letterario ecc.”. Per questo CISDA ha scelto di utilizzare il plurale, perché vuole dire STOP a qualsiasi forma di fondamentalismo, sia esso religioso o politico o razziale o ideologico.

Concretamente la Campagna, e di conseguenza la Petizione, si focalizza sulla condanna al regime fondamentalista talebano, responsabile della soppressione dei più elementari diritti umani della popolazione civile, in particolare delle donne e degli individui LGBTQI+, frutto del deliberato proposito di tradurre in sistema di governo un’idea fondamentalista che ha come principale obiettivo l’annientamento sistematico e istituzionale delle donne.

L’Afghanistan è il Paese che rappresenta il caso più emblematico di “apartheid di genere”. Qui le donne non possono andare a scuola, lavorare, uscire da sole, frequentare parchi, giardini o bagni pubblici, mostrare il volto in pubblico, cantare, pregare ad alta voce e sono bandite dalla vita pubblica e sociale per rimanere segregate in casa.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano sostenendo l’azione presa da alcuni Paesi di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e quella di deferimento dell’Afghanistan per ulteriori indagini alla Corte Penale Internazionale sulle continue violazioni dei diritti delle donne compiute dai talebani.

3. Perché sostenere le forze antifondamentaliste, democratiche e progressiste dell’Afghanistan

Anche se in Afghanistan l’apartheid di genere è un crimine perpetrato quotidianamente, l’autodeterminazione della donna vede drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. Per questo la condanna ai fondamentalismi va di pari passo con la promozione del valore della laicità, unico argine efficace alla barbarie.

Ed ecco che veniamo al terzo obiettivo indicato nella Petizione del CISDA: il sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti. Quello della laicità e dell’adesione ai principi democratici delle forze di opposizione a un regime assolutista e fondamentalista è un tema vitale che, in un momento in cui l’Afghanistan è ormai uscito dai radar dei media, è prepotentemente tornato alla ribalta in Siria dove la gioia per la caduta del criminale Bashar al-Assad rischia di trasformarsi in nuovo terrore per la salita al potere al gruppo fondamentalista Tahrir al-Sham.

La storia dell’Afghanistan può dunque essere un monito per chi guarda l’attualità con occhi superficiali: a partire dalla fine degli anni ’70, è un Paese che ha subito ingerenze straniere da parte di potenze internazionali e regionali che hanno finanziato e armato gruppi fondamentalisti. Questi drammatici eventi, comuni a molti paesi, hanno generato decenni di guerre provocando migliaia di vittime civili, corruzione endemica, traffico di droga, devastazione del tessuto sociale e ambientale e migrazioni forzate.

Ma in Afghanistan ci sono anche organizzazioni democratiche che, fin dagli anni ’70, si sono attivate per l’uguaglianza e la giustizia sociale delle donne, per i diritti fondamentali all’istruzione, alla difesa legale, alle cure mediche e per la liberazione dalla povertà e dalla violenza. Organizzazioni, per esempio, come RAWA o HAWCA che CISDA sostiene dalla sua nascita.

Uomini e donne che, nonostante avessero l’opportunità di lasciare il Paese dopo il ritorno dei talebani, hanno deciso di rimanere, sfidando i rischi quotidiani del regime repressivo talebano, e continuano a operare in Afghanistan a fianco delle donne, dei bambini, di una popolazione la cui maggioranza vive in condizioni di estrema povertà oltre che di oppressione e di negazione di ogni diritto umano.

Ed è importante che, insieme al sostegno alle forze democratiche e antifondamentaliste, non venga riconosciuta alcuna rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta. Troppo spesso, infatti, si vedono assurgere al ruolo di difensori dei diritti delle donne afghane personaggi ambigui e compromessi con i precedenti regimi.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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Apartheid di genere

L’articolo è stato pubblicato su inGenere il 10 gennaio 2025

Crimini contro l’umanità. Solo il suono di queste parole fa incrinare l’animo, crea crepe, allarga quegli spiragli troppo sottili per far giungere “qui” l’atrocità di ingiustizie che vengono commesse altrove. Eppure, a livello di diritto internazionale ancora non esiste un preciso trattato che prevenga e sanzioni i crimini contro l’umanità.

Ora la sesta commissione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sta spingendo sull’acceleratore, anche per contrastare paesi come la Russia che ostacolavano i lavori. Il traguardo si intravede a cavallo tra il 2028 a 2029, e i primi passi per raggiungerlo vanno fatti adesso e bene. Inserendo da subito, nella definizione di crimine contro l’umanità, l’apartheid di genere. Non è qualcosa che possiamo dare per scontata né rimandare, ma deve comparire con l’esattezza dei dettagli che possano trasformare quest’azione in un’efficace leva del mondo legale per cambiare il mondo reale.

Insieme a un gruppo di giuriste, il Coordinamento italiano sostegno donne afghane (Cisda) ha cercato di sistematizzare il crimine di apartheid di genere con una definizione, lanciando la campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere. Quello che possiamo fare noi, come cittadine e cittadini, è cercare di dare volti, significati, potenza e senso all’intento, leggendo, aderendo alla campagna di Cisda, o semplicemente dedicando del tempo a capirne le ragioni e crearci un’opinione indipendente ma consapevole. Ne abbiamo parlato con Patrizia Fabbri, attivista dell’associazione.

Quale definizione suggerite per identificare l’apartheid di genere?

Chiediamo di definire il crimine di apartheid di genere come “qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”.

Perché avete scelto proprio questa?

È fondamentale sottolineare che questi atti possono essere commessi anche da attori non statali, prima di tutto, perché esistono molte realtà dove ufficialmente lo stato contrasta l’apartheid di genere, ma lascia che gruppi non istituzionali, ma organizzati, commettano questo crimine. L’idea è quindi di includere il reato di omissione: in quanto garante dei diritti umani, lo stato è perseguibile anche quando omette di perseguire una condotta criminale in questo ambito. L’altro aspetto per noi importante da chiarire riguarda il soggetto passivo di questo crimine: abbiamo incluso qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere e gli individui non conformi al genere. Questo significa riconoscere tutte le azioni violente di discriminazione anche nei confronti delle persone Lgbtqia+.

Con quale intento avete lanciato la campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere e a chi è rivolta?

Siamo partite con una raccolta firme per chiedere al governo italiano di sostenere tre obiettivi principali e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali. Il primo è il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità, recependo la nostra definizione. Il secondo è il non riconoscimento né giuridico, né di fatto, del regime fondamentalista talebano in Afghanistan: infatti, se nessuno stato riconosce ufficialmente il governo talebano de facto, in realtà poi molti paesi intrattengono rapporti con il regime, per motivi logistici, geografici ed economici.

Che cosa sta accadendo in Afghanistan?

L’Afghanistan è un paese molto ricco di terre rare, ma è anche quello in cui il regime talebano sta attuando la soppressione dei diritti più elementari, soprattutto delle donne. Alle donne non è concesso frequentare la scuola oltre le elementari, lavorare, uscire di casa se non accompagnate da un uomo della famiglia. Non possono frequentare parchi, giardini e bagni pubblici, devono essere integralmente coperte in volto, non possono cantare né pregare ad alta voce. Ora i talebani sono arrivati a proibire loro di “ticchettare” quando indossano i tacchi: siamo veramente alla negazione della persona in quanto tale. La terza richiesta riguarda infatti il sostegno alle forze afghane anti fondamentaliste e democratiche: è particolarmente importante che avvenga, di pari passo con la condanna ai fondamentalismi. Il sostegno della laicità rappresenta l’unico vero e possibile argine alle barbarie commesse.

Da quali rischi ci può proteggere quest’azione?

Da quello di lasciare che i nostri governi appoggino una realtà che si ritiene il male minore, come potrebbe avvenire in Siria, per esempio. Pur gioendo della fuoriuscita di Assad, non va tralasciato il fatto che le forze del gruppo che ha preso il potere, l’HTS, sono forze fondamentaliste che erano alleate con Al Qaeda. Anche se si sono “dati una ripulita”, l’origine resta quella, e il terrore è che vengano sdoganati, lasciando che si formi una società basata su principi di nuovo fondamentalismo.

Puoi farci qualche altro esempio?

È un tema delicato e, proprio per questo, da non trascurare. L’Occidente, a mio avviso, nella maggior parte dei casi è in malafede e appoggia determinati gruppi perché potenti, ma anche quando non lo è, non bada alla provenienza di determinati personaggi, gruppi o associazioni. E in certi contesti non si può essere superficiali, non si può pensare di aiutare alcune realtà indipendentemente da chi ci sta dietro, anche per un rischio di corruzione. Un esempio estremo ma esplicativo è il fatto che all’inizio del 2024 l’ONU abbia accettato il diktat dei talebani contro la presenza delle associazioni afghane contrarie al loro governo, “perché col nemico si deve parlare”. Alcuni compromessi possono essere necessari, ma altri aspetti non si possono accettare.

Cisda insiste nel parlare di fondamentalismi, al plurale.

Serve a ribadire e ricordare che non esiste solo il fondamentalismo islamico e che, in generale, il concetto di fondamentalismo non va per forza collegato alla religione. Spesso siamo assuefatti e consideriamo l’apartheid di genere, ogni oppressione e discriminazione sulla base del genere della persona, come una diretta conseguenza di un approccio tipico solo del fondamentalismo islamico, quando in realtà non è così.

Che significato ha questa scelta?

Per noi è importante che si parli sempre di fondamentalismi in generale, perché lo sono tutti i fenomeni che portano a un’interpretazione conservatrice e a un’attuazione rigida e intransigente di una religione, come anche di un pensiero politico, scientifico, filosofico, eccetera. Il problema sta nelle modalità in cui si crede e si porta avanti un’idea, non tanto nell’idea stessa. Esiste un limite invalicabile che divide le profonde convinzioni interiori, un “fondamentalismo individuale”, dal vero e proprio fondamentalismo con cui si arriva a imporre la propria visione a un’intera società, con azioni a livello di stato o di gruppi di potere. Un esempio “occidentale” sono gli antiabortisti americani, che uccidono i medici che procurano aborti.

Di fondamentalismi ce ne sono in diverse parti del mondo; la “i” è un dettaglio indispensabile per tenere gli occhi aperti su ogni crimine contro l’umanità, per aprire crepe, per non chiudere gli occhi e la porta davanti a chi sta subendo una violenza.

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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CISDA – Stop fondamentalismi. Stop Apartheid di genere

L’articolo è stato pubblicato su ANPI Oggi e Domani del dicembre 2024

Dopo quasi tre mesi è terminato il lungo periodo in Italia di Shakiba, militante di Rawa (Associazione Rivoluzionaria Donne Afghane), sostenuta da Cisda dal lontano 1999

La sua presenza in molteplici iniziative sul territorio, con ampia partecipazione ovunque, è stata molto preziosa per poter ascoltare dalla sua voce come vivono le donne in questo momento in Afghanistan ma soprattutto come le attiviste di Rawa, che sono rimaste nel paese, hanno deciso di continuare la lotta politica e di resistenza al regime talebano misogino e fondamentalista.

Sentire dalla sua voce cosa significa lottare e resistere, anche dalla clandestinità, in quel paese è stato molto importante; manifestare è molto pericoloso ma le donne non si fermano, per tutte loro può voler dire essere arrestate, torturate e avolte anche uccise come già successo.

Le costrizioni che i talebani hanno imposto alle donne sono molteplici; non possono studiare, non possono lavorare, non possono uscire sole ma devono essere accompagnate da un uomo, non possono far sentire la loro voce, le donne indigenti arrestate per aver mendicato in base alle nuove e draconiane leggi dei talebani hanno parlato di stupri e percosse “brutali” subite durante la detenzione; insomma qualsiasi cosa è loro preclusa, vivono in un regime di apartheid dimenticate un po’ da tutti ma non da chi vuole fare affari con i talebani a scapito dei diritti umani e riconoscendo così di fatto quel regime

Il paese vive una forte crisi umanitaria, non c’è lavoro, non ci sono soldi, si vive in uno stato di miseria, le inondazioni di quest’autunno hanno aggravato la situazione di interi villaggi che,  governate da talebani, non hanno ricevuto aiuti.

Noi continuiamo a sostenerle sia politicamente che con progetti che loro stesse hanno avviato;   attraverso raccolte fondi e progetti riusciamo ad inviare danaro per le loro attività, dalle scuole segrete per ragazze e donne, a piccoli shelter ecc. Aggiornamenti su tutto questo su www.cisda.it

Ora che Shakiba è tornata in Afghanistan spetta a noi di Cisda continuare ad essere la loro voce e tenere alta l’attenzione sulle condizione di apartheid che stanno vivendo le donne in quel paese

Cosa abbiamo fatto in questo ultimo periodo

Con la rete di associazioni con la quale collaboriamo in Italia e in Europa, abbiamo lanciato una campagna “STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENEREche vuole spingere il nostro Governo – in quanto membro delle Nazioni Unite e di Istituzioni Internazionali – a prendere posizione contro il governo di fatto dei Talebani e a sostenere la proposta di codificazione del reato di Gender Apartheid nei Trattati Internazionali.

Come prima azione della Campagna abbiamo avviato una PETIZIONE in occasione della giornata mondiale per i diritti umani: potete firmarla direttamente sul sito Cisda, sia individualmente che come Associazione, Enti, Partiti ecc. aiutandoci a sostenerla e a diffonderla.

Il CISDA, in collaborazione con alcune giuriste, ha inoltre redatto e inviato una proposta di codificazione del reato di “apartheid di genere” come contributo della società civile ai lavori in corso della Sesta Commissione giuridica dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per un recepimento nella Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità in fase di discussione da parte dell’ONU.

Il 2024 per le donne afghane. Il CISDA è sempre al loro fianco

NON dimenticare anche tu le donne afghane.

  1.  all’apartheid di genere come crimine contro l’umanità.
  2. NO al riconoscimento, giuridico o di fatto, del regime fondamentalista talebano.
  3.  al sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche.

Sono questi i 3 obiettivi che si pone la campagna STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE lanciata dal CISDA lo scorso 10 dicembre in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani.

FIRMA ANCHE TU

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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