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Afghanistan, Shakiba: “I Talebani hanno paura delle donne”

Pubblicazione: 30 Ottobre 2024
di Redazione Luce!

Articolo pubblicato da Luce il 30 ottobre 2024

Shakiba, esponente della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa), non ha dubbi: “La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani, il 15 agosto 2021, è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce“. L’attivista torna quindi a puntare i riflettori su una situazione, quella femminile in Afghanistan, che definire drammatica è riduttivo.

Shakiba, di cui non conosciamo il cognome e l’aspetto per questioni di sicurezza, è stata intervistata dall’agenzia Dire dopo la sua partecipazione a un panel nell’ambito del Festival Sabir a Roma, dedicato alla campagna internazionale che chiedere alle Nazioni Unite di aggiungere il reato di apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’attivista spiega le ragioni per cui l’Afghanistan è tra i Paesi simbolo per testimoniare la gravità di questo reato: “Alle donne è stato portato via tutto: il loro lavoro, la loro professione, la possibilità di accedere alle università e di andare a scuola. Non possono neanche andare nei parchi o nei bagni pubblici e devono viaggiare solo se accompagnate da un familiare maschio”, afferma.

Vietato parlare ad alta voce

L’ultimo affondo ai diritti femminili, già ridotti all’osso, è stata la dichiarazione del ministro per la Promozione delle virtù e la prevenzione dei vizi, Mohammad Khalid Hanafi, secondo cui alle donne è vietato recitare ad alta voce preghiere o versetti del Corano in casa, davanti ad altre donne adulte. “Se non possono pregare ad alta voce – ha detto il politico – come possiamo pensare che possano cantare?”. L’applicazione delle nuove norme, ha chiarito il ministro, “sarà implementata gradualmente”. Affermazioni che hanno scatenato una nuova ondata di critiche e polemiche a livello internazionale, soprattutto da associazioni per i diritti umani. Sebbene il ministro si riferisca alla preghiera, la sensazione è che il provvedimento si sommi alle disposizioni di agosto, secondo cui le donne non possono parlare ad alta voce in pubblico e mostrare il viso fuori delle mura domestiche.

L’emittente televisiva Amu Tv cita la testimonianza di Samira, un’ostetrica di Herat, secondo cui “negli ultimi mesi i controlli da parte dei talebani si sono intensificati. Non ci permettono di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”. Inoltre, alle donne è consentito studiare solo fino ai 12 anni. Un’altra testata locale, Tolo News, riporta i commenti seguiti alle dichiarazioni di Hanafi da parte di alcuni teologi che incoraggiano, invece, il governo di Kabul a permettere alle donne di studiare, evidenziando che il Corano lo consente, e che andrebbe a beneficio dell’intera società. Il discorso dell’esponente di governo, inoltre, è stato diffuso in formato audio perché la scorsa settimana il ministero ha adottato un decreto che vieta la trasmissione televisiva di immagini di esseri umani.

Le donne afghane protestano contro i talebani al potere

Le prime a resistere e a scendere in piazza contro i talebani

Shakiba riferisce di una realtà in cui “le donne che hanno provato a resistere alle decisioni dei talebani sono state torturate, arrestate, incarcerate, persino uccise. Ci sono così tante storie di donne picchiate a morte o scomparse. Coloro che avevano impieghi in polizia, nelle istituzioni di governo o all’interno delle ong sono state arrestate e spesso uccise segretamente. Le famiglie non hanno mai riavuto i corpi”. Questo ha costretto moltissime persone a lasciare il Paese, “soprattutto le donne – prosegue l’esponente di Rawa – perché non si può vivere in un paese guidato da fondamentalisti contrari al progresso, ai diritti umani e alla pace”. L’accanimento dei talebani contro le donne, secondo Shakiba, dipende dal fatto che “sono state le prime a resistere e scendere in piazza a Kabul per protestare contro il loro ritorno”. E spiega: “Nei 20 anni precedenti, avevano visto i talebani bombardare le case della gente comune e farsi esplodere negli ospedali, nelle scuole, o nei luoghi frequentati da donne e bambini. Le afghane sanno che i talebani hanno paura di loro, delle loro proteste, della loro istruzione, della loro coscienza politica”.

Le reponsabilità occidentali

L’esponente della Rawa cita anche le responsabilità della presenza Nato a guida americana in Afghanistan: “Dopo 20 anni l’Occidente ha deluso gli afghani perché ha lasciato che i talebani tornassero al potere. Gli Stati Uniti hanno invaso e occupato il mio Paese con la scusa di combattere il fondamentalismo terrorista e liberare le donne, ma non hanno mai smesso di dare armi e milioni di dollari al peggior gruppo fondamentalista al mondo. Perché – si chiede Shakiba –. Washington e i suoi alleati non hanno sostenuto le forze democratiche e progressiste che davvero volevano il cambiamento? È stata una scelta politica sbagliata, che dura da oltre 40 anni”.

Pertanto, l’attivista denuncia: “Si parla di portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale, bene, ma non deve restare su carta, deve essere fatto”. All’Europa e soprattutto all’Italia – che ad agosto ha nominato Sabrina Ugolino nuova ambasciatrice d’Italia in Afghanistan, che sarà operativa da Doha – chiede: “Supportate i movimenti come il nostro, ma anche tutti i movimenti politici di donne che stanno soffrendo le violenze, come quelle in Siria, facendo pressioni sui vostri governi e politici affinché taglino ogni sostegno ai fondamentalisti”. Infine, un cenno alla componente maschile della società afghana: “Ci sono tanti uomini dalla mentalità aperta, istruiti, democratici, che si oppongono all’oppressione subita dalle donne. Attraverso i social media si sono attivati in tanti modi, perché pubblicamente rischiano troppo: ai cortei indetti dalle donne, i talebani infatti sparano in aria per disperderle, ma se vedono degli uomini, gli sparano contro. Pensiamo che dovrebbero unirsi e alzare la voce tutti insieme. Se l’Afghanistan vuole cambiare, dobbiamo sollevarci tutti“.

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