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Corpi di donne in pace e in guerra

Pubblicazione: 26 Novembre 2024
di Cristiana Cella

Sulla linea del fronte stanno i corpi delle donne, dove cadono le bombe, dove esplode la rabbia. Sui confini dell’orrore, nella guerra aperta, o in quella segreta delle case, nelle trappole della mente. Lì stanno. Sui cigli minati, sugli infidi confini dell’amore, tra frustrazione e fuoco. Lì stanno.

In Afghanistan, i loro corpi sono cancellati, umiliati, uccisi. Dice Marral, militante afghana, ‘Le donne sono le radici della famiglia, della tribù, del paese, e stroncarle serve a disarticolare la società intera e ad abbattere il nemico.’

La prigione delle donne afghane si arricchisce giorno dopo giorno di nuove sbarre. Gli spazi si restringono. Il controllo è ossessione.  Vietato vivere. Questo è l’ordine talebano.

Le donne non possono lavorare, studiare, viaggiare da sole, devono nascondersi sotto cenci neri, non possono decidere nulla della propria vita, non possono far sentire la loro voce, cantare, declamare versi, ridere. Parchi e i siti archeologici sono chiusi alle donne, come parrucchieri, bagni pubblici, ristoranti. La violenza domestica non ha più argini. I talebani comprano ai padri le loro figlie ragazzine per i loro miliziani ed è una proposta che non si può rifiutare. Se protesti, se ti opponi, se sbagli abbigliamento, c’è il carcere. Lì la violenza è oscura e segreta. Spesso non ne esci o, se ne esci, sei segnata per la vita.

‘Se potessero ci ruberebbero l’aria dai polmoni.’ Dice Sabira. ‘Secondo loro, dovrei stare a casa a guardare i miei figli morire di fame.’ Racconta Narghez, vedova, che cerca di vendere ‘bolani’ (pasta fritta ripiena) nelle strade della città, sempre pronta a scappare dalle botte dei talebani.

I talebani temono le donne, sono atterriti dai loro corpi. Sono cresciuti senza madri, senza sorelle, difesi dai fucili, la mente colonizzata dai mullah delle madrase. Si accaniscono, non vogliono vedere quello che non riescono a sopportare: la gioia trionfante di un corpo di donna.

Un gruppo terrorista violento e fanatico governa su un popolo intero annullando metà della sua popolazione, reiterando ogni giorno crimini contro l’umanità. ‘ Ogni volta la storia decisa da altri ci ributta indietro. Adesso siamo di nuovo all’età della pietra.’ Dice Narghez, militante di Rawa (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane). La cosiddetta Comunità Internazionale non si scandalizza più di tanto, condanna debolmente e fa prosperare i suoi affari. Nessuno si vergogna. Nessuno ha interesse a togliere di mezzo i talebani. A loro è stato ceduto il governo del paese negli accordi di Doha del 2020. Così hanno deciso gli Usa e i loro alleati che continuano a sostenere e finanziare il governo talebano.  Consegnando le donne al loro inferno.

Ma le donne non si arrendono. Molte continuano a combattere per i propri diritti. Da sole, insieme, condividendo il loro sapere, o in gruppi organizzati come Rawa. Donne armate solo del loro coraggio. Creano scuole clandestine, soccorso sanitario, case rifugio contro la violenza, sostegno alimentare. Coltivano i loro spazi segreti. Tengono accesa la luce nel buio pesto del futuro. Loro ci sono, con i loro corpi di pace.

 

Parte dell’articolo è uscita sulla rivista della Federazione donne evangeliche in Italia

 

 

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