Donne e Resistenza
29 Maggio 2025

L’articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 18 giugno 2025.
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ToggleSu una cosa Donald Trump e Joe Biden si sono trovati sempre d’accordo: grazie agli accordi di Doha e alla promessa dei Talebani, il terrorismo islamista, perlomeno quello che preoccupava gli USA, non avrebbe più albergato in Afghanistan. E, dato che il lupo perde il pelo ma non il vizio, se poi qualche piccolo gruppo avesse continuato a dar fastidio a Cina e Russia, magari ci sarebbe potuto scappare anche un “aiutino”.
E pazienza se il ritorno dei Talebani avrebbe significato rigettare la popolazione afghana nell’incubo, se alle donne sarebbe stato tolto il futuro e per loro si sarebbero riaperte le porte dell’inferno, se i diritti umani sarebbero diventati carta straccia. Si, certo, negli Accordi c’erano dichiarazioni pompose sul rispetto delle donne e dei diritti umani, ma quello che realmente importava era che l’Afghanistan non rappresentasse più una minaccia per gli USA. Del resto, è per questo che il Paese ha subito un’occupazione durata 20 anni.
Oggi possiamo dire che questa si sta rivelando una grande illusione, anche se i Talebani continuano nella farsa: in occasione del quinto anniversario dell’Accordo di Doha lo scorso 28 febbraio, hanno dichiarato di aver adempiuto ai propri obblighi di impedire ai gruppi terroristici di operare in Afghanistan e pertanto di non sentirsi più vincolati dall’accordo.
Dichiarazione di fatto sconfessata dallo stesso Dipartimento di Stato USA, come si può appurare leggendo il Report del 30 aprile 2025 dal SIGAR (Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction, ente indipendente del governo degli Stati Uniti, istituito per sorvegliare e verificare come vengono spesi i fondi statunitensi destinati alla ricostruzione dell’Afghanistan): “I gruppi terroristici hanno continuato a operare in Afghanistan e dall’Afghanistan, nonostante le persistenti preoccupazioni di Stati Uniti, Nazioni Unite e della regione circa il fatto che il Paese rimanga un rifugio per i terroristi, nonostante gli impegni assunti dai Talebani nell’Accordo di Doha del 2020… Il Dipartimento di Stato ha affermato nel suo rapporto annuale sul terrorismo, pubblicato nel dicembre 2024, che “gruppi terroristici come lo Stato Islamico – Provincia del Khorasan (ISIS-K) e il Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP) hanno continuato a trarre vantaggio dalle scarse condizioni socioeconomiche e dalle procedure di sicurezza irregolari [in Afghanistan] che rendono l’ambiente operativo più permissivo… Il Dipartimento di Stato ha inoltre dichiarato al SIGAR che ‘non è ancora chiaro se i Talebani abbiano la volontà e la capacità di eliminare completamente i rifugi sicuri per i terroristi’”.
E poi “lui”, il male assoluto per gli USA, al-Qaeda: “I talebani continuarono a fornire un ambiente permissivo ad al-Qaida in tutto l’Afghanistan. Il rapporto di febbraio del team [dell’ONU] riteneva che la strategia del leader di al-Qaida Sayf al-Adl di ‘riorganizzare la presenza di al-Qaida in Afghanistan e riattivare le cellule dormienti in Iraq, Libia, [Siria] e in Europa fosse indicativa dell’intenzione a lungo termine del gruppo di condurre operazioni esterne’”.
Nella valutazione annuale delle minacce del 2025, l’ODNI (Office of the Director of National Intelligence, ente federale degli Stati Uniti la cui missione è coordinare e supervisionare tutte le agenzie dell’intelligence statunitense) ha rilevato l’intenzione di al-Qaida di “prendere di mira gli Stati Uniti e i cittadini statunitensi attraverso i suoi affiliati globali”.
Non c’è che dire. Un bel risultato dopo 20 anni di occupazione e aver riconsegnato l’Afghanistan nelle mani dei Talebani. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le evidenze che dimostrano come l’Afghanistan stia diventando l’hub dei jihadisti.
Il rapporto dei Talebani con al-Qaida si basa su un difficile equilibrismo tra il mantenimento di un rapporto storico con il gruppo terroristico ideologicamente più affine e il riconoscimento internazionale alla loro presunta lotta al terrorismo, primo passo per l’ingresso del cosiddetto Emirato Islamico dell’Afghanistan nella comunità internazionale.
Come è noto, lo stretto legame con al-Qaida del primo regime talebano (1996-2001) e il rifugio offerto al suo capo Osama bin Laden provocarono l’attacco USA all’Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, organizzati dal gruppo terroristico. Spostatosi in Pakistan dopo la caduta del regime, Osama bin Laden verrà ucciso il 6 maggio 2011 nel corso di un’operazione militare statunitense, ma cellule dell’organizzazione continueranno a essere presenti in Afghanistan.
All’inizio del 2021, le agenzie di intelligence statunitensi stimavano che al-Qaida fosse al minimo storico in Afghanistan contando meno di duecento membri. Ma un anno dopo, il numero totale di affiliati in Afghanistan era, secondo il Consiglio di sicurezza dell’ONU, raddoppiato, raggiungendo i quattrocento combattenti, con la maggior parte dei membri installati nelle province di Ghazni, Helmand, Kandahar, Nimruz, Paktika e Zabul. Fin dai primi mesi dopo l’agosto 2021, i principali leader del gruppo si sono trasferiti in Afghanistan, a cominciare dal successore di bin Laden, Ayman al-Zawahiri, grazie ai saldi legami con i Talebani, in particolare con il potente “ministro” dell’interno Sirajuddin Haqqani. E sarà proprio in una casa di Haqqani che al-Zawahiri verrà ucciso da droni statunitensi nel luglio 2022.
Nel febbraio 2024, l’ONU segnala che al-Qaida gestisce campi di addestramento in 8 delle 34 province afghane (secondo alcune fonti oggi sono 10, di cui uno nel Panjshir, ex roccaforte del Fronte di Resistenza anti-talebano) e che il responsabile di questi campi si chiama Hakim al Masri. E il Rapporto ONU del febbraio 2025 afferma che “I Talebani mantengono un ambiente permissivo che ha consentito ad Al-Qaida di consolidarsi, grazie alla presenza di rifugi sicuri e campi di addestramento sparsi in tutto l’Afghanistan (vedi grafico).
I membri di basso profilo risiedono, con le loro famiglie, sotto la protezione dei servizi segreti talebani nei quartieri di Kabul (per esempio, Qala-e-Fatullah, Shar-e-Naw e Wazir Akbar Khan), mentre i leader di alto livello sono dislocati in aree rurali fuori Kabul (come il remoto villaggio di Bulghuli nella provincia di Sar-e Pul), Kunar, Ghazni, Logar e Wardak. Alcuni Stati membri hanno segnalato che Hamza al Ghamdi, veterano dell’organizzazione, si trova nella zona di massima sicurezza di Shashdarak a Kabul con la sua famiglia. I Talebani hanno trasferito Abu Ikhlas Al-Masri (arrestato intorno al 2013 e liberato dopo il ritorno dei talebani) in un complesso altamente sicuro nel quartiere di Afshar a Kabul”.
Le relazioni tra i Talebani e gli esponenti di al-Qaida sono complesse e si articolano su più livelli anche perché, nell’arco di trent’anni di presenza in territorio afghano o nei campi profughi in Pakistan, tanti membri dell’organizzazione terroristica si sono sposati con donne di famiglie di Talebani o a loro vicine. Anche il rapporto “istituzionale” con l’organizzazione non è monolitico e varia a seconda del momento e dei singoli leader del gruppo terroristico, ma l’Afghanistan rimane un nodo strategico centrale per al-Qaeda. Come del resto dimostra il pamphlet pubblicato nel luglio 2024 su as-Sahab, il media di riferimento dell’organizzazione, attribuito a Sayf al-Adl, nome con il quale è conosciuto il cittadino egiziano Mohammed Salahaldin Abd El Halim Zidane considerato il successore di al-Zawahiri, dove si legge: “Il popolo leale della Ummah [comunità islamica mondiale] interessato al cambiamento deve recarsi in Afghanistan, imparare dalle sue condizioni e trarre beneficio dalla sua esperienza [dei talebani]”. Al-Adl afferma poi che i musulmani dovrebbero considerare l’Emirato Islamico in Afghanistan come un eroe e un modello per costruire futuri stati islamici.
Affermazioni perfettamente in linea con quello che è sempre stato l’obiettivo principale di al-Qaeda: istituire un califfato panislamico e rovesciare i regimi corrotti “apostati” nel mondo islamico. Per farlo stringe alleanze con vari gruppi terroristici, come rileva anche il Report del SIGAR: “Al-Qaida ha continuato a espandere la sua portata al di fuori dell’Afghanistan rafforzando il coordinamento con Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), Movimento islamico dell’Uzbekistan (IMU), Movimento islamico del Turkestan orientale/Partito islamico del Turkestan (ETIM/TIP) e Jamaat Ansarullah”.
Abbreviazione di Islamic State – Khorasan Province (Stato Islamico – Provincia del Khorasan), ISIS-K rappresenta uno dei gruppi jihadisti più pericolosi e complessi dell’Asia meridionale. Nato nel 2015, questo ramo regionale del cosiddetto Stato Islamico (ISIS) si è rapidamente affermato come una minaccia significativa per la sicurezza non solo in Afghanistan e Pakistan, ma anche nell’intera regione dell’Asia Centrale. A capo dell’organizzazione c’è dal giugno 2020 Sanaullah Ghafari, afghano di etnia tagika noto anche con il nome di battaglia Shahab al-Muhajir, che ha trasformato l’ISIS-K in un’organizzazione con ambizioni globali. Il gruppo ha rivendicato attentati in diversi paesi, tra cui i più devastanti in Russia dove, nel marzo 2024, un attacco a una sala concerti vicino a Mosca ha causato almeno 137 morti, e in Iran dove, nel gennaio 2024, un doppio attentato suicida a Kerman ha ucciso quasi 100 persone durante una commemorazione per Qassem Soleimani.
La denominazione “Khorasan” fa riferimento a una storica regione dell’Asia centrale che include parti di Afghanistan, Iran, Pakistan e dei paesi limitrofi. Nel contesto jihadista, il nome ha un forte valore simbolico e apocalittico, legato alla convinzione che da quella terra nasceranno i combattenti dell’Islam negli ultimi tempi.
Fondato da ex militanti talebani pakistani (TTP), combattenti provenienti da al-Qaida e dissidenti talebani afghani che hanno scelto di aderire alla causa globale dello Stato Islamico, distinto dai tradizionali Talebani. Questa scissione ha segnato un punto di svolta nel panorama jihadista regionale, portando a una rivalità accesa e sanguinosa tra i due gruppi.
Come branca regionale dello Stato Islamico, ISIS-K mira a stabilire un califfato islamico rigoroso basato sulla sharia, estendendo la propria influenza su Afghanistan, Pakistan e oltre. A differenza dei Talebani, che hanno una visione più nazionale e tribale, ISIS-K si propone una jihad globale e più radicale, opponendosi anche ai Talebani che considerano “moderati” e insufficientemente rigorosi.
Dal 2015 ISIS-K ha condotto numerosi attacchi violenti e spettacolari, caratterizzati da un’elevata brutalità e un alto numero di vittime civili. Tra gli episodi più tragici, altre ai due già citati all’estero, spicca l’attentato suicida del 26 agosto 2021 all’aeroporto di Kabul, che causò oltre 180 morti, compresi tredici soldati statunitensi, durante l’evacuazione delle forze straniere e dei civili afghani. ISIS-K ha preso di mira in particolare le minoranze religiose sciite, come gli Hazara, organizzando attacchi contro moschee, scuole e mercati, oltre a operazioni contro i Talebani stessi.
La principale base di ISIS-K rimane l’Afghanistan orientale, soprattutto nelle province montuose di Nangarhar e Kunar, dove le forze talebane hanno difficoltà a controllare completamente il territorio. Oltre a Kabul, ISIS-K ha cercato di espandersi in altre province afghane e ha cellule operative in Pakistan, in particolare nelle regioni tribali di Waziristan e Belucistan. Il gruppo ha anche cercato di estendere la propria influenza in Asia Centrale, in paesi come Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan, sfruttando le frontiere porose e le fragilità politiche locali. E proprio questo “miscuglio” jihadista rappresenta un punto di forza di ISIS-K che, come spiega l’ONU, sta “astutamente utilizzando cittadini afghani per condurre attacchi in Pakistan, cittadini pakistani per condurre attacchi all’interno dell’Afghanistan, cittadini tagiki per condurre attacchi in Iran (Repubblica Islamica dell’Iran) e nella Federazione Russa e ha utilizzato un cittadino kirghiso per compiere un attacco nel cuore dei talebani, Kandahar”.
Lontani dall’aver “pacificato” il Paese, non solo i Talebani non sono in grado di proteggere i cittadini afghani dagli attentati terroristici dell’ISIS-K, ma il gruppo terroristico ha anche “beneficiato dell’incapacità dei talebani di proteggersi dall’infiltrazione e dalla corruzione tra i suoi stessi ranghi, nonostante i raid condotti per arrestare funzionari sleali”, come si legge nel Report ONU di febbraio 2025.
Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), conosciuto anche come i Talebani pakistani, è una coalizione jihadista sunnita nata nel 2007 con l’obiettivo dichiarato di rovesciare il governo del Pakistan e instaurare un emirato islamico basato sulla sharia. Nel tempo, il gruppo è diventato una delle principali minacce alla sicurezza del Pakistan, responsabile di alcuni degli attacchi più sanguinosi della sua storia recente.
Fondato da Baitullah Mehsud, un influente comandante tribale della regione del Waziristan meridionale, insieme ad altri leader militanti attivi lungo la zona tribale al confine afghano-pakistano, TTP nasce in risposta alle operazioni militari lanciate dall’esercito pakistano contro gruppi affiliati ad al-Qaida e ai talebani afghani, che godevano di rifugi sicuri nelle aree tribali.
Il movimento ha preso ispirazione ideologica dai Talebani afghani, ma è strutturalmente e operativamente indipendente da essi perseguendo specifici obiettivi: l’instaurazione della legge islamica in Pakistan; la fine della cooperazione del Pakistan con gli Stati Uniti e l’Occidente; la vendetta contro l’esercito pakistano per le sue operazioni nelle aree tribali e per il sostegno alla guerra statunitense contro il terrorismo.
Dalla sua fondazione, il TTP ha condotto centinaia di attentati, attacchi suicidi e imboscate contro obiettivi militari, governativi e civili attraversando diverse fasi di declino e rinascita. La morte di Baitullah Mehsud in un attacco drone USA nel 2009 fu seguita da lotte interne per la leadership; nel 2018, Mufti Noor Wali Mehsud è stato nominato nuovo leader. Sotto la sua guida, il gruppo ha cercato di riorganizzarsi, migliorare la comunicazione e sfruttare le divisioni settarie ed etniche del Paese. Il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan ha offerto al TTP nuove opportunità logistiche e operative, rafforzando la sua presenza al confine.
Sebbene i talebani afghani abbiano negato formalmente di sostenere il TTP, è noto e riportato da diversi organismi internazionali che molti leader del TTP si rifugiano in Afghanistan e godono di protezione. Il Global Terrorism Index 2025 ha rilevato che gli attacchi del TTP sono aumentati di cinque volte dal ritorno al potere dei Talebani. Il Pakistan ha più volte chiesto a Kabul di estradare membri del gruppo, ma senza successo. Secondo il già citato Rapporto del SIGAR, nella seconda metà del 2024 si sarebbe verificata una maggiore collaborazione tra il TTP, i talebani afghani e al-Qaeda, con attacchi condotti sotto l’egida di Tehrik-e Jihad Pakistan, un’organizzazione ombrello. Infine, sempre secondo il SIGAR, il TTP ha istituito nuovi centri di addestramento nelle province afghane di Kunar, Nangarhar, Khost e Paktika, ha ampliato il reclutamento, includendo membri talebani afghani, e ha ricevuto sostegno finanziario dal regime talebano.
E, per concludere, il già citato ODNI, mette in guardia: “Le capacità del TTP, i legami storici con al-Qaida e il precedente supporto alle operazioni contro gli Stati Uniti ci preoccupano per la potenziale minaccia futura”.
Se quelle descritte sono le organizzazioni principali che si stanno irrobustendo in Afghanistan, non sono le sole: “I gruppi terroristici hanno continuato a utilizzare il suolo afghano per addestrare e pianificare attacchi e un flusso “piccolo ma costante” di terroristi stranieri ha continuato a recarsi in Afghanistan e a unirsi a uno degli oltre due dozzine di gruppi terroristici lì basati”, si legge nel Rapporto ONU del febbraio 2025.
Diciamo che non c’è che l’imbarazzo della scelta e, soprattutto, oltre agli Stati Uniti e l’Occidente in generale, neanche i paesi vicini possono dormire sonni tranquilli. Solo per citare alcuni gruppi: il Turkistan Islamic Party (TIP), è un gruppo uiguro, quindi particolarmente inviso alla Cina, con legami storici con i Talebani; Katibat Imam al-Bukhari e Islamic Movement of Uzbekistan (IMU) sono gruppi uzbeki, legati a Talebani e al-Qaida ; per quanto riguarda il Pakistan non abbiamo solo il TTP, ma anche Lashkar-e-Taiba (LeT) e Jaish-e-Mohammed (JeM), anch’essi con legami storici con Talebani e al-Qaida .
C’è poi un ultimo, ma non secondario, elemento da considerare. In Afghanistan si sta smantellando il sistema scolastico e le discipline religiose in chiave fondamentalista sostituiscono in gran parte le altre materie. Il report pubblicato da UNAMA in aprile evidenzia come sia in atto la trasformazione del sistema di istruzione pubblica del Paese in un modello religioso basato sulle madrase. Nel settembre 2024, il Ministero dell’Istruzione del governo di fatto ha annunciato un aumento dei centri di educazione islamica a 21.257, di cui 19.669 madrase, superando il numero totale di scuole pubbliche e private, pari a 18.337. Tutto ciò non può che portare a una radicalizzazione delle giovani generazioni con la crescita di nuovi militanti che potranno essere persino più pericolosi di quanto siano percepiti gli attuali Talebani.
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