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Report Last Twenty 2023 – Afghanistan – La tragedia di un popolo sedotto e abbandonato

Pubblicazione: 1 Dicembre 2023
di Antonella Garofalo

Come è noto, nel 2021 l’Italia ha ospitato il G20. Nel luglio dello stesso anno si è tenuto a Reggio Calabria, il primo incontro degli L20, ovvero degli Ultimi 20 Paesi in base agli indicatori socio-economici. A questo primo incontro ne son seguiti altri e nell’ottobre del 2022 si è costituita l’Associazione L20 a cui hanno aderito e continuano ad aderire singole persone, associazioni, Ong, ecc. È stato quindi un Comitato scientifico e un gruppo di lavoro per redigere il secondo Report L20 con l’obiettivo di guardare il mondo dai “margini”, per leggere il mutamento – economico, sociale, ambientale e politico – da quest’altra faccia del nostro pianeta. Dare voce agli Ultimi, conoscere questi Paesi, la loro storia, cultura, e i loro bisogni emergenti.

Riportiamo qui il testo, scritto da Antonella Garofalo di CISDA, relativo all’Afghanistan. Chi desidera ottenere il Report completo, lo può ricevere via mail compilando il modulo pubblicato in calce all’articolo.


La situazione dell’Afghanistan, dopo due anni di regime talebano, è quella di un Paese allo stremo delle sue forze, impoverito e affamato.

Nessuno aveva creduto alle promesse dei talebani. Appena avevano riconquistato il potere con la presa definitiva di Kabul il 15 agosto 2021 dichiaravano di essere cambiati: avrebbero consentito alle ragazze di andare a scuola e lavorare. Promettevano addirittura di concedere libertà di espressione. Ma non era possibile fidarsi. In questi due anni sono spariti o sono stati uccisi giornaliste, giudici donne, soldati, medici e infermiere. Continuano a eliminare i loro oppositori e oppositrici politiche, seminando violenza e terrore in tutta la popolazione.

Il 90% della popolazione afghana è sotto la soglia di povertà, i 2/3 della popola- zione (quasi 20 milioni su 34 milioni di abitanti) hanno difficoltà enormi ad accedere a provviste alimentari di prima necessità.

È diminuito il tasso di occupazione anche per gli uomini, ma per le donne, spesso vedove, subire il divieto di lavorare significa non poter dare da mangiare ai propri figli.

Da settembre del 2021 sono stati emessi dai talebani oltre 50 editti che cancellano ogni diritto per le donne, a cui è preclusa la partecipazione sociale e politica e soprattutto l’accesso ai servizi di base indispensabili, sanitari, educativi e di lavoro. Nostre fonti nel Paese ci confermano che l’applicazione degli editti è del tutto arbitraria e le sanzioni sono comminate a discrezione dei talebani presenti al momento dei con- trolli e diversi a seconda dei luoghi in cui si trovano. Ciò quindi rafforza un clima di insicurezza costante, terrore e impunità.

I fondi arrivano al governo di fatto soprattutto da USA e ONU, giustificati dalla crisi umanitaria a causa della quale sono state sospese le sanzioni economiche con- tenute nella risoluzione 2615 del Consiglio di Sicurezza. E arrivano dalle TASSE imposte dai Talebani sui passaggi alla frontiera di merci e persone (compresa la vendita dei passaporti); sulle concessioni minerarie (contratti con Paesi come la Cina e la Russia); dalla vendita dell’oppio.

Su quest’ultimo tema, l’oppio, uno studio di David Mansfield (2021-2023) docu- menta una significativa riduzione della produzione di papavero, rilevata attraverso immagini satellitari di precisione. Nella provincia di Helmand, da cui veniva il 50% del prodotto, la coltivazione risulta diminuita del 99%. Questo dimostrerebbe che il bando promulgato dai talebani nell’aprile 2022 viene ora applicato, mentre in una prima fase i talebani avevano lasciato concludere il ciclo già avviato, tanto che nel novembre del 2022 gli esperti ONU (rapporto UNODOC) avevano rilevato un aumento della produzione di oppio del 32%.

Ci sono varie ipotesi di spiegazione di questo nuovo corso: zelo religioso? Conflitti interni di potere? Attirare assistenza allo sviluppo dalla comunità internazionale? Monopolizzare il commercio e manipolare i mercati? Abbiamo chiesto ai nostri contatti di riferimento in Afghanistan e sono molto scettici sulla possibilità che i talebani intendano ridimensionare la loro principale fonte di reddito, cioè produzione, raffinazione e commercializzazione dell’oppio: non possono farne a meno.

Nell’immediato, si paventa la perdita di 450.000 posti di lavoro a tempo pieno nel settore con conseguente nuova spinta migratoria.

Rilevante anche il nuovo aumento dei rifugiati interni, documentato dall’ONU: nel novembre 2022 sono stimati 5.9 milioni, di cui 68% per conflitti e violenze, 32% per disastri “naturali”, cioè dovuti ai cambiamenti climatici (siccità e alluvioni) e terremoti.

Negli ultimi rapporti ONU (Human Right ONU resolution 51/20; il report del UN High Commissioner for Human Rights presentato alla 52° sessione dell’Hu- man Right Council; il report specifico sulla “Situazione delle donne e delle ragaz- ze” pubblicato il 15/06/23 a firma dello stesso Special Rapporteur, Richard Bennet, A/HRC/53/21) rileviamo dati che confermano ampiamente quanto arriva dai no- stri contatti all’interno dell’Afghanistan. Viene chiaramente indicato come l’insie- me delle violazioni vada considerato pienamente “persecuzione di genere”, crimine contro l’umanità. E che come tale andrebbe perseguito. Le autorità di fatto talebane stanno infatti “normalizzando” le discriminazioni e la privazione sistemica dei diritti fondamentali delle donne e la violenza contro di loro in quanto donne.

È la conclusione a cui giunge anche il rapporto di Amnesty International, scritto con la Commissione Internazionale dei Giuristi, che chiede quindi al Tribunale Penale Internazionale di indagare, e ai singoli Paesi di utilizzare i propri strumenti legali per consegnare alla giustizia i criminali che dovessero transitare nel proprio territorio.

Interessante anche il giudizio molto esplicito espresso dal doc ONU del 15/06/23 di cui sopra: gli accordi di Doha deL2020 “exemplified the willingness of all actors to disregard women’s rights for the sake of political expedience” (“dimostrano la volontà di tutti gli attori di ignorare i diritti delle donne a beneficio della convenienza politica”) e sono stati assunti in modo non trasparente e non inclusivo.

Il CISDA continua a sostenere la resistenza delle attiviste di Rawa, l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane e delle attiviste e degli attivisti di Hambastagi, il Partito della Solidarietà. Sono organizzazioni progressiste, democratiche, laiche e antifondamentaliste. RAWA è anche, e in primo luogo, un’organizzazione femminista attiva in Afghanistan da 46 anni, rimasta fedele all’impegno per la giustizia sociale inaugurato da Meena, la sua fondatrice, come azione centrale nella rivoluzione portata avanti fin dalle origini. RAWA è da sempre costretta a operare nella clandestinità.

Insieme a RAWA e HAMBASTAGI, CISDA sostiene dalla fine degli anni ’90 tutta una rete di associazioni e ong che si occupano di portare aiuto alle donne e alla popolazione e di difendere i diritti umani. Si tratta di organizzazioni che hanno una caratteristica fondamentale: sono composte per lo più da donne e sono guidate dalle donne.

Quello che le organizzazioni non governative afghane stanno facendo oggi è un vero slalom tra emergenza umanitaria, e divieti e arbitri imposti dalle autorità. CISDA denuncia il pericolo in cui, a causa dell’inasprimento della repressione in corso, incorrono in modo particolare proprio le operatrici e gli operatori di questa rete di associazione e ong locali costretti alla semi-clandestinità perché le loro attività sono considerate sospette. I talebani rastrellano le case, quartiere per quartiere, in particolare quelle di attiviste e attivisti e delle responsabili. Spesso hanno elenchi con i nomi, per andare a colpo sicuro. Anche le case delle lavoratrici e dei lavoratori delle ong della nostra rete sono state perquisite e loro sono state obbligate/i a cambiare spesso abitazione per non rischiare la vita, a distruggere documenti e a nascondere computer e telefoni.

Una delle attività maggiormente a rischio in ambito umanitario è quella dell’istruzione: i talebani, oltre a vietare l’accesso alle scuole per le bambine dai 12 anni, vogliono impedire l’istituzione di classi clandestine, una delle poche modalità per garantire oggi il diritto all’istruzione di bambine e ragazze e di poter accedere allo studio di materie scientifiche e alla lingua inglese, sfuggendo all’indottrinamento religioso che pervade quello che rimane dell’istruzione statale.

Ma anche tante altre attività realizzate da RAWA e HAMBASTAGI e dalle ong afghane che sosteniamo vengono ostacolate in tutti i modi: impossibile tenere aperta una casa protetta per le vittime di violenza, se non rendendola ancora più segreta e assolutamente non identificabile come quella che stiamo sostenendo dopo l’evacua- zione dello shelter di Kabul.

Sempre più difficile anche la distribuzione di cibo alle persone più bisognose: per poterla realizzare è necessario passare controlli e interrogatori inventandosi ogni genere di trucco per far proseguire i rifornimenti oltre i check-point, senza mettere a rischio operatrici/attivisti e derrate alimentari.

Ci sembra più che mai necessario dare voce a Belquis Roshan, senatrice nella Ca- mera alta del Parlamento afghano durante il precedente governo, costretta a lasciare il suo Paese e ora rifugiata in Europa, che il 26 agosto 2023, durante un incontro con Richard Bennett, il relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan e i delegati alla prima sessione delle NU per discutere dell’”apartheid di genere” in Afghanistan, dichiara:

«Chiedere semplicemente ai talebani di riaprire scuole e centri educativi per donne è un obiettivo molto limitato. I talebani hanno trasformato il sistema educativo in una piattaforma fondamentalista e terroristica al fine di crescere i nostri bambini e ragazzi con una mentalità violenta e prepararli ad attentati suicidi, esplosioni e criminalità, e questo è un grave pericolo non solo per l’Afghanistan ma per tutto il mondo. Anche se le ragazze vi potessero andare, è preferibile non avere scuole del genere dove non vi sono elementi di progresso o conoscenza.

Le donne che protestano vengono attaccate, quindi le istituzioni internazionali dovrebbero essere la loro voce. Invece di sponsorizzare alcune lobbiste talebane che sono la causa di questa misera situazione, alle donne che combattono coraggiosamente in Afghanistan contro i talebani dovrebbe essere data l’opportunità di far sentire le loro urla pro-democrazia e di essere ascoltate.

L’”amnistia generale” dei talebani è una menzogna: stanno uccidendo ex dipendenti governativi, soprattutto nel settore militare e gli attivisti per i diritti umani. Si dovrebbe alzare la voce su questo.

Il mondo ha dimenticato l’Afghanistan. Il caso dell’Afghanistan, i diritti umani e la sua catastrofe umanitaria non dovrebbero essere lasciati incustoditi, gli atti terroristici e misogini dei talebani dovrebbero essere smascherati e il mondo ne dovrebbe parlare seriamente.

Bisogna trattare i talebani non come un governo legittimo ma come criminali le cui mani sono macchiate del sangue di innocenti afghani e come forza che cerca di fare dell’Afghanistan il centro del terrorismo e del fondamentalismo. Questo è il minimo che possiamo aspettarci dal mondo e dalle istituzioni per i diritti umani».

A conclusione di questo report, comunichiamo che continua la campagna #StandUpWithAfghanWomen!

Si propone di tutelare i diritti umani in Afghanistan e di promuovere un’azione incisi- va per il sostegno alle realtà democratiche e antifondamentaliste che operano nel Paese.

La campagna si incentra su quattro temi principali:

  1. Non riconoscimento del Governo dei talebani
  2. Autodeterminazione del popolo afghano
  3. Riconoscimento politico delle forze afghane progressiste e messa al bando di personaggi politici legati ai partiti fondamentalisti
  4. Monitoraggio sul rispetto dei diritti umani

Stand Up With Afghan Women! nasce dalla collaborazione tra Cisda e Large Movements, con il sostegno della rivista Altreconomia nell’ambito della rete eu- ro-afghana di coalizione per la democrazia e la laicità, network di organizzazioni già impegnate a vario titolo nella loro azione quotidiana, per la difesa dei diritti umani.

L’unica via per le donne resta quella dell’autodeterminazione. Solo un governo democratico e laico può garantire al popolo afghano la sicurezza, l’indipendenza, l’uguaglianza di genere e la fine delle discriminazioni razziali. Come chiedono le attiviste afghane: “Aiutiamo a creare una coscienza politica afghana, aiutiamo le donne a sentirsi libere di pensare e dire quello in cui credono”.


Il Report Last Twenty 2023 è il frutto di un lavoro collettivo, coordinato da Tonino Perna e Ugo Melchionda, rispettivamente Presidente e segretario dell’associazione L20 Aps. Hanno collaborato alla stesura di questo Report: Marco Ricceri, segretario generale EURISPES; Francesco Vigliarolo, Università Catòlica de la Plata, Cattedra UNESCO; Nadia Marrazzo, geografa, Università di Napoli Federico II; Valentino Bobbio, segretario generale NeXt; Antonella Garofalo, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, Simon Gomnan e Rondouba Brillant giornalista; Federica Faroldi, cooperante internazionale; Siid Negash, Coordinamento Eritrea Democratica; Paolo Massaro, delegato di Terre des Hommes per il Mozambico.

Per ricevere via mail il Report The Last 20 – 2023, compila il modulo sottostante:

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