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Shahzadar

Pubblicazione: 1 Gennaio 2019

Ho 55 anni, tanti, troppi. Sono di un villaggio nella provincia di Farah. Mio padre mi ha sposata a 13 anni con quest’uomo che si è preso la mia vita.
Da quando sono entrata in questa famiglia, se così si può chiamare, mi hanno sempre picchiata. Fa parte delle mie giornate da anni, a volte non mi danno da mangiare.
Ma non è questo l’importante. L’importante sono i miei figli. Sono arrivati così, come Dio li ha mandati, uno dietro l’altro.
Sono dieci adesso, la maggior parte femmine, è questo il problema. Lui è diventato violento anche con loro.
La mia figlia maggiore, a 13 anni, non ce l’ha fatta più. Non voleva sposarsi, non voleva vivere come me. Non voleva vivere. Si è uccisa.
È per questo che ho paura. Adesso, qui allo shelter, si prendono cura di me, ho molti problemi, sono malata. Qui sono al sicuro, per la prima volta in vita mia, ma non ci posso stare, non sono tranquilla. Come faccio a stare qui con le mie due figlie più piccole, sapendo che le altre sono in quella casa da sole. Senza di me, lui se la prenderà con loro. Non posso permetterlo, devo tornare. Non so davvero cosa fare…

Aggiornamenti

Shahzadar trova rifugio nella Casa Protetta di Hawca con le figlie più piccole.
Qui cercano di curare i suoi numerosi problemi di salute ma Shahzadar non vuole restarci, ha paura per le figlie rimaste a casa. Nel frattempo le avvocate di Hawca prendono accordi con la polizia locale perché sorveglino il marito. Dopo un lungo lavoro di mediazione ritorna a casa, dalle sue figlie.
Intanto arriva l’aiuto di Emiliana, Luciana e Serenella.
Shahzadar può curarsi con i suoi soldi e mandare a scuola una delle sue figlie. Come spesso succede, i soldi diventano un’arma di ricatto nelle mani delle donne. Entrare nel progetto le cambia la vita. Il marito si comporta bene perché teme di perdere il denaro che li fa vivere meglio e ha paura che le assistenti di Hawca, che la vanno a trovare regolarmente, l’aiutino a divorziare. Shahzadar racconta il suo felice stupore nel vedere delle persone che vengono da lei e s’informano della sua salute e altre amiche lontane che le danno una mano, senza nemmeno conoscerla. Non le era mai successo in vita sua. Le cose continuano a migliorare, lentamente.
Shahzadar trova un piccolo lavoro e riesce a mandare a scuola altre figlie, il suo desiderio più grande. Il piccolo lavoro cresce, ora Shahzadar è una brava sarta e tutto il quartiere si fa cucire i vestiti da lei. Tutte le figlie vanno a scuola. Il marito se ne sta buono buono, sa bene che deve la sua sussistenza alla moglie.
Decide, quindi, di uscire dal progetto.
Ecco come saluta le sue sponsor:
’Grazie con tutto il cuore per avermi aiutato per tanto tempo. Onestamente, io sarei molto felice se tu potessi aiutare un’altra donna vittima di violenza e di abbandono, invece di me.
Io, sono diventata una brava sarta e guadagno facendo vestiti per il mio quartiere, la mia vita è migliorata molto.
Grazie al tuo sostegno e alla tua generosità, ho avuto speranza e ce l’ho fatta a stare sulle mie gambe e a essere autonoma. Grazie a te sono diventata una donna forte’.

————

Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

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