APPELLO DELLA SOCIETÀ CIVILE AI GOVERNI E ALLE ISTITUZIONI EUROPEE
In Afghanistan, la popolazione è dilaniata dalla guerra da oltre 40 anni. Gli ultimi vent’anni di occupazione militare da parte delle forze alleate della Nato (2001 – 2021), hanno prodotto centinaia di migliaia di vittime dirette e indirette del conflitto, a causa degli scontri a fuoco e dei bombardamenti, ma anche della fame, della mancanza di acqua e di infrastrutture necessarie alla sopravvivenza della popolazione. La proliferazione della coltivazione e del commercio dell’oppio è un'altra conseguenza della guerra che ha portato all’ulteriore impoverimento della popolazione a causa della riconversione forzata delle coltivazioni, della trasformazione dei contadini proprietari di terreni, in manodopera sfruttata e costretta a lavorare sotto minaccia, e della tossicodipendenza diffusa.
Avviata dai signori della guerra già ai tempi dell’invasione sovietica, la coltivazione di oppio ha registrato un’impennata nel corso del ventennio dell’occupazione occidentale; vi sono coinvolti anche esponenti dello stesso Governo della Repubblica Islamica alleata degli USA ed è ormai prioritariamente in mano ai talebani. L’Afghanistan è oggi un narco-Stato capace di controllare il 90% della produzione mondiale di oppio, la cui vendita alla criminalità internazionale assicura un approvvigionamento costante di armi e munizioni. Produzione e commercio sono sempre stati tollerati dalle forze di occupazione Nato. I talebani, oggi al potere con il loro Emirato Islamico, sono i narco – trafficanti più potenti al mondo.
È dagli anni ’80 che gli Stati Uniti agiscono anche in modo coperto nel conflitto afghano, attraverso una serie di potenze regionali: in primo luogo, Pakistan e Arabia Saudita. Il loro obiettivo era (ed è ancora, nonostante il momentaneo apparente ripiegamento su priorità di politica interna) quello di esercitare la loro influenza nell’area contendendola, per ragioni geo – strategiche a Cina, Iran e Russia. Hanno attuato i loro obiettivi finanziando e sostenendo in vari modi formazioni che fanno riferimento all’area del fondamentalismo islamico, mentre dichiaravano di voler abbattere il terrorismo internazionale e supportare l’avvio di un processo democratico con al centro il miglioramento della condizione della donna. Come si potesse, attraverso il fondamentalismo, raggiungere i tre obiettivi descritti era un paradosso evidente che oggi svela tutta la drammaticità del suo fallimento. Mentre Usa e Nato si ritirano, Russia, Cina e Iran restano ben salde sul campo, mostrando anche l’insuccesso delle politiche estere occidentali sul piano geostrategico. La popolazione afghana viene così consegnata a potenze che non hanno nessuno scrupolo in materia di diritti umani e che sono disponibili ad alleanze di scopo con gli stessi Talebani ora al potere. Da non sottovalutare inoltre è la presenza sul territorio afghano dell’ISIS – Khorasan, una fazione del movimento islamista fondamentalista Stato Islamico, con l’ambizione di portare avanti la jihad a livello mondiale.
Conseguentemente all’evoluzione della lunga guerra, il flusso delle migrazioni forzate dall’Afghanistan all’Europa è andato crescendo, dopo aver depositato la gran parte dei fuggiaschi nei paesi limitrofi. Le aree dei campi profughi del Pakistan rappresentano ancora un pericoloso terreno di coltura delle stesse formazioni fondamentaliste addestrate e tollerate dai servizi segreti pakistani in accordo con gli Usa.
L’Europa, sempre più debole e disunita politicamente, ha continuato a identificarsi negli interessi degli Stati Uniti, senza nessuna volontà di mettere a fuoco obiettivi di politica estera peculiari rispondenti alla sua collocazione geostrategica e ai valori di democrazia, laicità e rispetto dei diritti umani di cui dichiara di essere custode. La sua politica estera verso lo scacchiere mediorientale e centroasiatico, lascia le mani libere e rinforza il traffico di armi, droghe ed esseri umani, il finanziamento di formazioni integraliste islamiche e gruppi terroristici, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse, e la militarizzazione delle frontiere per il contenimento delle persone in fuga dai conflitti. A causa dell’incremento generale del livello di violenza, illegalità e corruzione, il destino della democrazia è fortemente a rischio in tutti i paesi dell’area e nella stessa Europa. La possibilità per il popolo afghano di definire una propria forma democratica di gestione politica è sempre più lontana.
Da oltre quarant’anni in Afghanistan, vi sono forze laiche e progressiste, spesso guidate da donne, che svolgono un lavoro politico capillare nonostante le occupazioni militari straniere, gli oscuri periodi di guerra civile e di dominio da parte dei signori della guerra e dei fondamentalisti. Tali forze democratiche stanno esprimendo la loro ferma volontà di continuare nella loro lotta di Resistenza anche durante il durissimo regime talebano dell’Emirato Islamico. Esso sorge oggi sulle ceneri di un governo che si è dissolto come neve al sole poiché serviva da mero paravento ai piani neocoloniali e imperialisti di dominio degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
Le forze laiche e democratiche afghane chiedono alla società civile occidentale due cose: sostenere l’autodeterminazione del popolo afghano poiché la democrazia non può essergli imposta dall’esterno, e creare una grande rete di sostegno alla loro resistenza in Europa. Il filo rosso che collega Kabul alle capitali europee non è così solo quello che tante persone in fuga percorrono lungo la rotta balcanica, ma anche la Resistenza comune per la democrazia, l’autodeterminazione e la fine delle guerre imposte dalla politica neocoloniale dell’occidente.
Le organizzazioni della società civile europea che aderiscono a questa coalizione, collaborando a campagne comuni per un cambiamento radicale delle politiche estere e migratorie attuali, chiedono che i governi dei propri paesi e le istituzioni dell’Unione Europea:
- non forniscano nessun riconoscimento al regime dell’Emirato islamico e non trattino nessuna forma di contenimento delle migrazioni con un governo composto da personalità leader nel narco-traffico internazionale che hanno dichiarato che nessuna democrazia è possibile in Afghanistan;
- riconoscano come interlocutori politici le forze laiche e democratiche afghane come RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, http://www.rawa.org/index.php) e Hambastagi (Solidarity Party of Afghanistan, http://hambastagi.org/new/en/) e avviino azioni di supporto nei loro confronti, raccordandosi con le organizzazioni europee della società civile che mantengono da anni con loro relazioni positive di collaborazione reciproca. Agiscano con rapidità ed efficacia per proteggerne gli esponenti in caso di pericolo;
- promuovano politiche fondate sull’autodeterminazione della donna e una decisa lotta alla violenza di genere ovunque nel mondo, a partire dall’Afghanistan, e nell’Europa stessa. Sostengano con energia i diritti delle donne schiacciati in molti paesi, anche europei;
- cessino la politica di contenimento delle migrazioni fondata sull’esternalizzazione e la militarizzazione delle frontiere attuata tramite il finanziamento di regimi antidemocratici come la Turchia, oggi presente anche in Afghanistan. Tali politiche finiscono spesso per rinforzare l’integralismo religioso, minando la sopravvivenza delle organizzazioni laiche e democratiche nei paesi che svolgono il ruolo di guardiani dei confini europei, con la conseguente e progressiva riduzione dei diritti civili come avvenuto a causa del recesso dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere deciso da Erdogan. Assistiamo oggi nello spazio europeo ad un aumento preoccupante dell’attivismo degli integralismi religiosi di ogni tipo e al loro saldarsi con populismi, sovranismi e nazionalismi. Assistiamo parimenti con preoccupazione, al progressivo indebolimento dell’Europa stessa sempre più ricattabile da governi che, forti dei finanziamenti ricevuti, utilizzano i migranti come strumento di estorsione di ulteriori fondi da destinare al trattenimento delle persone entro i propri confini;
- cessino, e facciano cessare anche nei paesi ai quali hanno delegato il controllo dei flussi migratori, qualsiasi pratica di respingimento, riammissione e detenzione, e blocchino le pratiche di controllo delle frontiere fondate sull’utilizzo della violenza nei confronti di persone inermi come denunciato da numerosi report documentati redatti dalla società civile lungo le rotte. Organizzino corridoi umanitari e ponti aerei, e tutti i provvedimenti necessari all’’evacuazione immediata a favore delle persone e delle popolazioni oggetto di violenza indiscriminata, a partire da quella afghana;
- blocchino, attraverso il progressivo disinvestimento nell’industria degli armamenti, il ciclo perverso delle “guerre infinite” che imprigiona l’Afghanistan e buona parte delle popolazioni del Medioriente: le industrie, le economie e la politica delle nazioni – come previdero sia George Orwell, sia il Presidente Eisenhower - sono ormai diventate così dipendenti dalla produzione e dall’impiego di armamenti, che le guerre non vengono più combattute con l’intenzione di vincerle, ma per assicurarsi che non finiscano mai;
- cessino di conformarsi ai diktat statunitensi che portano solo più fondamentalismo, più guerre, più flussi migratori forzati, più povertà e violenza come constatiamo in tutto il Medioriente;
- istituiscano, sempre in collaborazione con la società civile europea e afghana, un Osservatorio speciale per il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani in Afghanistan che documenti le continue violazioni da portare all’attenzione delle istituzioni competenti per gravi crimini contro l’umanità, facendo tesoro della documentazione già presentata all’esame della Corte Penale Internazionale;
- recuperino nella loro azione politica i valori fondanti dell’Europa comune e pongano la massima attenzione alla giustizia, all’equità e alla coesione sociale, al rispetto dei diritti, delle libertà civili e della laicità.
La resistenza che continueremo a opporre in Europa a forme di repressione di tali diritti verso cittadini europei, persone in movimento (cittadini del mondo come noi, ma condannati a subire restrizioni di ogni tipo) e popoli che reclamano il rispetto della propria autodeterminazione, è parte integrante e fondamentale della difesa dei diritti civili e della libertà di espressione del dissenso delle società europee. Tale resistenza si esprime attraverso forme di aiuto solidale e azioni di disobbedienza civile connaturate ai valori antifascisti e antinazisti che sono alla base della democrazia europea. In quanto cittadini europei, li difenderemo con determinazione, mentre supportiamo la Resistenza delle organizzazioni laiche e democratiche afghane.