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Autore: Patrizia Fabbri

Il patriarcato non è morto, ma c’è di peggio

Articolo pubblicato su Abitare a Roma

Dopo le infauste dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sul patriarcato e sui femminicidi (di cui, secondo il politico leghista, avrebbero colpa – per la parte maggiore – i migranti che arrivano da noi), rilasciate durante un intervento videotrasmesso alla presentazione, presso la Camera dei Deputati, della costituenda Fondazione intitolata alla Memoria di Giulia Cecchettin, molto si continua a discutere della condizione della donna nel nostro Paese, anche in relazione alla piaga sociale (meglio al crimine) delle donne picchiate, abusate e uccise (99 dall’inizio del 2024 ad oggi),  per l’83% da maschi bianchi, italiani e di buona famiglia, che con quelle donne vivevano, avevano convissuto o intrecciato una relazione sentimentale.

Ma ci sono luoghi nel mondo – come, ad esempio, l’Afganistan – dove la situazione delle donne è di molto peggiore che da noi; peggiore in un modo che è difficile immaginare anche se chi quella condizione ce la racconta è davanti a noi, in carne ed ossa, deve vivere anonimamente per non rischiare la vita e per testimoniare della condizione barbara in cui lei stessa e le sue sorelle vivono deve uscire clandestinamente dal suo Paese, anche per questo rischiando la vita.

Ma lo fa perché anche la Memoria è resistenza e perché questa Memoria sia conosciuta e trasmessa, dovunque ed in qualunque modo sia possibile, azione di cui lei e le donne del suo Paese, l’Afganistan oggi talebano, hanno un estremo (e disperato) bisogno.

Ne hanno bisogno perché nonostante tutto, nelle Scuole clandestine, che hanno creato e gestiscono (e di cui appresso leggerete) continuano a lottare costruendo, giorno dopo giorno, momenti di conoscenza e coscienza del proprio essere persone e dei propri diritti; momenti questi molto importanti per le donne afgane.

La donna afgana, la militante politica, di cui in particolare scrivo qui si chiama Shakiba (alias di sicurezza per la sua esistenza in vita), un’attivista di RAWA e appresso trovate una sua intervista, pubblicata qualche giorno fa sul Quotidiano Domani.

Per “capire e capirci”, come spesso scrivo, leggere attentamente le righe che seguono e riflettere a lungo, cercando di non dimenticare quanto apprenderete.

E se potete – e ne avete (o vi costruite) l’occasione – anche voi fate sentire la vostra voce per queste donne che, certo, lottano per i loro diritti ma, nello stesso momento, lo fanno – rischiando la vita quotidianamente – anche per i nostri diritti, che spesso pratichiamo distrattamente, poiché ci paiono acquisiti per sempre, anche se potremmo perderli in ogni momento. Dunque: alziamo la nostra voce per chi non può parlare!

Le Scuole clandestine in Afghanistan: «Insegniamo alle donne a resistere ai Talebani»

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo:

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza:

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan.

È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione:

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

Il coraggio dell’attivista afghana Shakiba: “Dobbiamo resistere”

L’articolo è stato pubblicato su MB News il 28/11/2024

Tutta la sua vita è dedicata alla difesa dei diritti delle donne e del suo popolo. Lo fa con determinazione, in Afghanistan e nel mondo. Shakiba è una militante dell’associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Rawa) e sabato scorso ha fatto tappa alla biblioteca civica di Desio, su invito della Casa delle Donne e grazie all’organizzazione di Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), con la collaborazione di Anpi Desio e Seregno, Staffetta Femminista, Desio Città Aperta e col patrocinio del comune.

Il lavoro clandestino dell’associazione

Il suo intervento, a ridosso della giornata contro la violenza alle donne, è stato molto chiaro e incisivo. Shakiba, che ha studiato in Pakistan e poi è rientrata in Afghanistan, ha raccontato dell’impegno di Rawa per i diritti delle donne e la giustizia sociale. L’associazione continua a portare avanti in clandestinità, anche sotto i talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze e ragazzi, assistenza medica, formazione professionale, informazione  e sostegno alimentare.
“Per noi è molto doloroso il fatto che sia stato restituito il potere ai talebani, a causa delle influenze e del sostegno che hanno ricevuto dall’esterno. Il nostro popolo non dimenticherà mai quanto sono criminali queste persone. Noi attiviste crediamo che non si possa avere giustizia senza consegnare questi criminali alla corte penale internazionale”.

Le donne non possono fare sentire la loro voce

La situazione per la popolazione e in particolare per le donne è sempre più insostenibile. “Le donne non possono più andare a scuola e lavorare negli uffici pubblici. I talebani hanno chiuso le scuole di musica e arte.  Le donne non possono fare sentire la loro voce fuori dalle mura di casa e quando escono devono essere coperte e sempre accompagnate da un uomo”. Tanti i casi di violenza. La povertà dilaga. “Metà della popolazione è sotto la soglia di povertà. Le persone sono arrivate a vendere i propri organi. Alcuni vendono le figlie, per sopravvivere pochi mesi”. L’associazione Rawa distribuisce pacchi di generi alimentari e lo fa sempre in clandestinità. Il lavoro delle attiviste è anche e soprattutto un lavoro politico e di difesa dei diritti. “La causa di tutto questo è  la crescita dello sviluppo del potere delle organizzazioni fondamentaliste e del fascismo religioso nel mio Paese. Lo vediamo anche a Gaza in Libano in Iran ed è molto pericoloso” dice chiaramente Shakiba.

La scelta di rimanere in Afghanistan

“Ora in Afghanistan ci sono 15 mila scuole religiose dove i bambini vengono educati e viene fatto loro un lavaggio del cervello. Questo è molto pericoloso per l’Afghanistan ma anche per chi sta fuori”. La resistenza avviene in modo organizzato nelle case e nei social. “La nostra organizzazione ha deciso di rimanere in Afghanistan e di continuare ad opporsi al regime sostenendo le proprie attiviste nelle diverse modalità di resistenza . Il nostro lavoro avviene in modo clandestino, supportando l’istruzione, per dare un futuro alle giovani generazioni. Nelle nostre classi segrete le ragazze ricevono un’educazione alla salute, si insegnano le materie scientifiche e si riceve una formazione che favorisca la consapevolezza sociale”.

Fare pressione sui governi

“Cerchiamo di portare solidarietà a tutti i popoli che stanno soffrendo per la guerra” continua Shakiba.  Davanti ad una situazione così grave e complessa, cosa possiamo fare noi? “Mettete pressione sui vostri governi perché il regime talebano non sia supportato e non sia normalizzato. Facciamo pressione per bloccare questo processo di normalizzazione del regime talebano”.

Numerosi e partecipati gli incontri della militante di RAWA in Italia

Si è concluso pochi giorni fa il lungo giro in Italia (con una puntata in Svizzera) di conferenze di Shakiba, militante di RAWA.

Una visita che aspettavamo con impazienza quella di Shakiba, anche se per queste compagne ottenere un visto Shengen è sempre più complicato: l’ambasciata italiana più vicina è a Islamabad, in Pakistan; il visto pakistano ha un costo elevato e il viaggio per raggiungere il Pakistan, per una donna, è molto rischioso.

Ma per il CISDA, che lavora a fianco di queste compagne dal 1999, potere incontrare (e anche abbracciare) una testimone diretta della situazione e della resistenza in Afghanistan, dove i talebani stanno cancellando ogni diritto umano per le donne, è imprescindibile. E per queste compagne coraggiose e determinate avere la possibilità di “toccare con mano” la solidarietà che viene loro testimoniata nei numerosi incontri organizzati in varie città è fonte di vita e di speranza.

Due passi avanti e 30 indietro

“Ogni volta che facciamo due passi avanti nella conquista dei nostri diritti veniamo sbattute indietro di 30 passi” ci dice Shakiba al nostro primo incontro. “In Afghanistan resistere comporta il rischio di essere arrestate, torturate e anche uccise; ma non vogliamo abbandonare la nostra gente al suo destino, è nostro dovere restare per continuare a dare una speranza.”

La situazione è sempre più tragica e insostenibile per la popolazione afghana, in particolare per le donne:

  • le donne non possono lavorare, uscire di casa da sole, studiare oltre la sesta classe, mostrare il loro volto in pubblico o far sentire la loro voce; subiscono una delle forme più estreme di apartheid di genere. Molte delle donne che sono scese in piazza per protestare sono state arrestate, incarcerate, torturate e minacciate;
  • il disastro economico è intollerabile: non c’è lavoro e oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. È normale che, date le condizioni di povertà, i maschi siano incentivati ad arruolarsi in qualche milizia per avere uno stipendio e riuscire così a sfamare la famiglia;
  • per avere un futuro moltissimi giovani cercano di scappare dal paese e percorrono le pericolosissime vie migratorie: Iran, Turchia e poi mar Mediterraneo, in mano a scafisti e trafficanti di esseri umani senza scrupoli;
  • nel paese sono state aperte 17.000 madrase, scuole coraniche, che in buona parte hanno sostituito le scuole statali e in cui i giovani studenti vengono indottrinati al fondamentalismo.

Nel frattempo, i talebani hanno ricevuto, solo dagli USA, 40 milioni di dollari ogni settimana e stanno svendendo tutte le ricchezze del paese (minerali rari, pietre preziose ecc.) per mantenere il loro potere.

Gli USA e i loro alleati occidentali in tutti questi anni hanno contribuito alla crescita, grazie a milioni di dollari e di armi, di gruppi di fondamentalisti di ogni tipo. Il risultato è che oggi in Afghanistan, oltre ai talebani, sono presenti ISIS, signori della guerra di diverse etnie, al Qaeda… che opprimono la popolazione afghana (le donne in particolare) da circa 40 anni.

Gli intensi incontri di Shakiba

Dimenticate dai media, dimenticate dai governi, dimenticate dalle organizzazioni internazionali, le donne afghane hanno sempre meno possibilità di far sentire la propria voce, per questo la serie di incontri organizzati da CISDA per la militante di RAWA è doppiamente importante.

Un giro di incontri molto ricco e partecipato: a Bologna RAWA ha ricevuto il Premio internazionale Daniele Po, promosso dalle associazioni Le case degli angeli di Daniele e Strade. Oltre alla cerimonia di premiazione, svoltasi nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio di Bologna, Shakiba ha presenziato a circa 15 incontri pubblici che hanno coinvolto organizzazioni della società civile, ragazzi delle scuole con i loro insegnanti, attivisti e attiviste. Tra questi, molto significativo è stato l’incontro online con le commissioni pari opportunità della città metropolitana di Bologna, di Cento e di Pieve di Cento.

A Belluno è stata accolta dall’associazione Insieme si può, che da anni, insieme a CISDA, sostiene attivamente i progetti di RAWA e organizza eventi e iniziative nel Nord-Est.

A Piacenza le Donne in Nero, da sempre sostenitrici della resistenza delle donne afghane, hanno organizzato un partecipatissimo dibattito pubblico con cena di solidarietà.

A Roma Shakiba ha partecipato, al festival Sabir, all’incontro internazionale Voci di lotta e di resistenza dell’Iran e dell’Afghanistan organizzato da ARCI, e ha incontrato le donne del comitato italiano di Jineoloji (un collettivo di donne che si organizza e lavora con il movimento delle donne curde), le donne dell’ANPI provinciale e un gruppo di parlamentari che l’hanno ricevuta alla Camera dei Deputati. Sempre a Roma Donne di Classe e Sinistra anticapitalista hanno organizzato un evento molto partecipato con cena di sottoscrizione.

A Piadena è stato organizzato un dibattito pubblico nell’ambito del Festival dei diritti umani di Emmaus e un incontro con 80 ragazzi di 4 classi di terza media.

Va sottolineato che in tutti gli incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università Shakiba ha dimostrato una straordinaria empatia e capacità di dialogo, suscitando grande curiosità e partecipazione.

La Casa delle donne di Torino ha organizzato un dibattito con raccolta fondi di solidarietà.

A Lugano Shakiba ha incontrato la professoressa Jolanta Drzewiecka e il professor Villeneuve Jean-Patrick, dell’Institute of Communication and Public Policy (Università della Svizzera italiana), con i quali ha parlato parlare della situazione afghana e delle attività di RAWA a cui è seguito un partecipatissimo incontro con gli studenti dell’università e un’intervista con dei giornalisti del “Corriere del Ticino”.

Infine ha incontrato online la Rete di Coalizione euro-afghana per la Democrazia e la Laicità, per raccontare la difficile situazione delle donne resistenti in Afghanistan e discutere delle possibili azioni di supporto politico che il CISDA e le altre associazioni italiane possono dare loro.

Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Scuole Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Teatro di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento
Comitato italiano di Jineoloji
Scuola di Bologna
Scuole di Ferrara
Ferrara – Giardino Ilaria Alpi
Un omaggio di Zerocalcare a Shakiba

Di seguito alcuni link di articoli e interviste a Shakiba pubblicati sui media italiani

La lotta delle donne afghane per «resistere ai Talebani»

Articolo pubblicato sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan. È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

L’articolo è uscito sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Sara Del Dot è giornalista professionista, video reporter e autrice di documentari. Si occupa di diritti umani, fragilità sociali, salute, ambiente.

Bodies of Women in Peace and War

On the front line are the bodies of women, where bombs fall, where rage explodes. At the edges of horror, in open war, or in the hidden battles within homes, in the traps of the mind—they are there. On mined borders, on the treacherous edges of love, between frustration and fire—they remain.

In Afghanistan, their bodies are erased, humiliated, killed. As Marral, an Afghan activist, says, “Women are the roots of the family, the tribe, the nation, and breaking them serves to dismantle the entire society and destroy the enemy.”

The prison for Afghan women grows daily with new bars. Their spaces shrink. Control becomes an obsession. Living is forbidden—this is the Taliban’s decree.

Women cannot work, study, or travel alone. They must hide under black rags, cannot decide anything about their own lives, and are not allowed to raise their voices, sing, recite poetry, or laugh. Parks and archaeological sites are closed to women, as are hairdressers, public baths, and restaurants. Domestic violence has no limits. The Taliban buy daughters from fathers to marry off to their fighters, and it’s an offer that cannot be refused. If you protest, resist, or even dress “wrongly,” you face prison. There, violence is dark and secret. Often, you don’t come out, or if you do, you’re scarred for life.

“If they could, they would steal the air from our lungs,” says Sabira. “According to them, I should stay at home watching my children starve,” says Narghez, a widow who tries to sell bolani (stuffed fried bread) in the streets, always ready to flee from the Taliban’s beatings.

The Taliban fear women, terrified by their bodies. Raised without mothers or sisters, shielded by guns, their minds colonized by madrasa mullahs, they lash out, unable to bear what they cannot control—the triumphant joy of a woman’s body.

A violent and fanatical terrorist group governs an entire population by erasing half of it, committing daily crimes against humanity. “Every time, history decided by others throws us backward. Now we are back in the Stone Age,” says Narghez, a Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan) activist. The so-called international community is not overly scandalized, issuing weak condemnations while business flourishes. No one feels ashamed. No one has an interest in removing the Taliban. The 2020 Doha Agreement handed over Afghanistan to them, as decided by the U.S. and its allies, who continue to support and fund the Taliban government—leaving Afghan women to their inferno.

But women do not surrender. Many continue to fight for their rights. Alone or together, sharing knowledge or working within organized groups like Rawa, these women are armed only with courage. They establish underground schools, provide healthcare, create shelters against violence, and offer food support. They cultivate secret spaces, keeping a light alive in the pitch-black future. They are present—with their bodies of peace.


Part of this article was published in the journal of the Federation of Evangelical Women in Italy.

“In my country, Afghanistan, it is the rifles that hold power. We resist, beyond the silence.”

It’s been a long time since I last saw Shakiba. Time has left traces on her face, which, even here, she still has to hide to protect her life. A burden that can be glimpsed behind her confident and passionate words.

I find her, as always, courageous, tenacious, and fragile. She is part of the Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA), founded in 1977 by Meena Keshwar Kamal, who was killed in 1987. The association, always clandestine, fights for women’s rights, social justice, and democracy. It continues, even under the Taliban, to carry out education projects and secret schools for girls, medical assistance, professional training, information campaigns, and food support.

The life of a RAWA activist is a total commitment: continuing her work while protecting herself, her family, her companions, and the women involved in their projects from the fury of the Taliban.

What does it mean now, Shakiba, under the Taliban regime, to be a RAWA activist?

Shakiba: It’s already very difficult to be a woman. Every day there are new bans, new rules to prevent us from living. It’s very hard, especially for girls who have lost their future and the chance to learn. Women are imprisoned in their homes and minds; they can’t even go to a park to breathe some air. But for us RAWA activists, life is even more complicated. We can’t stay confined within the walls of our homes, focused only on surviving in emptiness; we must keep advancing our projects. We’ve returned to the Stone Age and must start from scratch. But we are always at risk.

How do you protect yourselves?

Shakiba: When we leave the house, we wear a hijab with a mask and dark glasses so as not to be recognized. We don’t talk to anyone outside, not even in the car. We often change houses. In the city, we move alone, but if we have to go out of town, we need a mahram (a male chaperone), sometimes more than one. It would be impossible without them. We never take the same route or leave at the same time. We constantly check to ensure no one is following us—you always have to think about what might happen.

It sounds like a psychologically exhausting condition.

Shakiba: Yes, it’s true. Fear is always with us, and it must be that way. You have to stay alert—for yourself, your companions, and your family.

How do you travel when going out of town?

Shakiba: We rent a car. We can’t use our own; they could follow us back home. In the early days, there were many checkpoints; they checked everything—phones, cars. They even entered houses, mainly looking for weapons. Now less so, but when we leave, we never carry our phones or documents.

This isn’t new for RAWA.

Shakiba: Exaclty. We continue to find ways to work secretly and avoid being recognized. These are the methods RAWA has used since its inception. We never show ourselves; no one knows who is part of RAWA. We use false names so we can never be identified. Our faces must never be recorded on cameras.

Where are these cameras?

Shakiba: Everywhere. In all the streets and homes. It was ordered as soon as the Taliban arrived. Every building must have one, at the tenants’ expense. The guard, a kind of caretaker, is responsible for keeping them on at all times. If the Taliban want information, he is obliged to show them the footage. They also install cameras in the streets. For this reason, we must be absolutely unrecognizable. The good news is that there are frequent power outages.

When you go to the provinces to follow your projects, how are you received?

Shakiba: In villages, the Taliban are less oppressive than in cities. People welcome us with open arms because we bring projects for education, health, and food support. We know them, and they know us. The villagers have kind hearts.

Do the Taliban have support in the provinces?

Shakiba: Not everyone feels the same way. The Taliban also have their followers there. But in the past three years, hatred toward them has spread significantly among the population. People have suffered greatly, even men. Military personnel from the army were dismissed and persecuted; public offices were staffed with Taliban loyalists, leaving many without work.

Could this hatred toward the Taliban one day lead to an organized resistance to fight them?

Shakiba: Right now, poverty is immense. People can’t even think about the future; their only concern is feeding their children today. But maybe, when they truly can’t bear this life of hardship anymore, they will act.

So resistance is possible in the future?

Shakiba: Perhaps, but it will take a very long time. For now, coming out in the open is extremely dangerous. The Taliban shoot at demonstrators. If they are women, they shoot in the air to scare them; if they are men, they shoot them down like animals. When you face them with their rifles pointed at you, and you have nothing in your hands, it’s truly hard to resist. Rifles hold power in my country.

Do you see other obstacles preventing the formation of an opposition to the Taliban?

Shakiba: We need education and political awareness, to understand what is happening and to ask questions. Today, this is not the case. And it’s getting worse. There is no leadership, no strong party with a powerful project to serve as a point of reference. Educated people, engaged intellectuals, professors, competent politicians—they’ve all left Afghanistan. There is no education left to train future leaders.

Education is indeed a key aspect of your work.

Shakiba: Yes, for us, education and political awareness are fundamental. We must give people the tools to understand. Give every woman, even if she is illiterate, the chance to understand what is happening to her. This applies to men as well. We must save young people from the fundamentalist education of the madrassas (Islamic schools). They are brainwashing them. We can’t end up with a country full of only Taliban tomorrow. It would be a catastrophe.

What impact has your work had over the years?

Shakiba: Deep impacts. Over the years, from Pakistan to Afghanistan, we have educated and helped hundreds and hundreds of people. These are individuals who, even if they are not politically active and have chosen different lives, are good, reliable people. We know they want to do something for their country, they have good minds and good intentions. This will help them survive during these savage times.

Why are the Taliban so obsessed with controlling women?

Shakiba: If you take any action against women, who are the roots of all society, you affect the entire family. Women pass on what they know. If you educate a woman, you educate the whole family; if you keep her in ignorance, the entire family remains ignorant. An ignorant, fearful population with no means of understanding is easier to control. Women must be kept out of society so the entire future society will be subjugated.

Are they afraid of women?

Shakiba: Yes, absolutely. They fear their resistance because they know they can’t fully control them. They believe that if women were educated, they would take away their power or a part of it. They know that if women decide to do something, they won’t stop at anything. And they can change everything. The Taliban feel threatened and suppress them.

Crimes committed by the Taliban are difficult to uncover.

Shakiba: There is severe press repression and control over social media. That’s why one of our activities is to collect testimonies about their crimes and the depression and suffering of women. We receive reports from every Afghan province, sent to us by our colleagues. If one day we manage to bring the Taliban before a court, we must have all the documented evidence.

What crimes are we talking about?

Shakiba: Murders of women, civilians, military personnel, and Hazara individuals; sexual violence in prisons; public stonings and floggings. Or acts like cutting off hands, hanging people in the streets—just like during their first regime. At that time, RAWA activists would go to stadiums where women were punished, hiding small cameras in their clothes to film what happened. Those videos reached the entire world. Now, with mobile phones and the ability to take photos, it’s easier to uncover such acts. Especially in the provinces, people are willing to talk. But of course, such images are dangerous traces and must remain secret.

Is it also a technological war against the Taliban?

Shakiba: Yes, exactly. They’ve become skilled; they have Pakistani instructors. But we are more skilled than they are, and we use strong systems that help us resist.

Do you still organize demonstrations?

Shakiba: At the moment, we’ve decided not to. It’s too dangerous. Many women have been arrested, tortured, and some have disappeared. We are prepared for the worst, but we have a responsibility toward others, toward our association.

The Afghan hell is visible to everyone, yet no nation goes beyond mere words of disapproval. Why are they being allowed to act as they do?

Shakiba: For a long time, the Americans negotiated behind the scenes and ultimately handed the country over to the most barbaric of fundamentalists. The Taliban’s seizure of Kabul was a farce; soldiers were ordered to let them pass, and planes for government members were already prepared. The United States has always supported fundamentalist groups, and no one challenges their agenda. Everyone benefits from it. If we had a stable, secular, and progressive democracy, as we dream of, it would not allow foreign states to interfere in the country’s internal affairs. With fundamentalists, however, for money and weapons, they would sell even their own mother. It’s an easy deal. They will do anything for you—for your money. They will sell you the mines, produce opium for you, and give you freedom of movement on their roads, enabling you to control other countries like Iran, Pakistan, and Russia. And with ongoing wars and the precariousness of people, weapons will always be sold, and gigantic profits made. Therefore, no one has an interest in removing them after having installed them there.

What should Western civil society do?

Shakiba: You must act against the policies of your governments; it is the only way to change something in Afghanistan. Pressure your leaders to not follow the wrong policies of the United States, which you’ve supported for so many years. The West must stop supporting fundamentalist groups; it must stop this game that is destroying the very roots of my country. Without support, the Taliban would no longer be able to manage the country and would collapse. There can be no victory as long as these people are supported and funded.

How much financial support do the Taliban receive?

Shakiba: The Taliban openly state that they receive $40 million every week from the Americans to maintain the state apparatus. If there’s one thing they don’t lack, it’s money. If an NGO wants to start a project, it must register and pay substantial taxes to the government. The Taliban have their own NGOs financed by the UN. They also earn revenue from taxes, mining concessions, and other exploitation of our territory. Many nations have made agreements with them: especially China, but also Kazakhstan, Iran, and Pakistan, which takes our coal. Agreements for promising business ventures lead to a dangerous normalization, now underway, which lays the groundwork for future recognition of the Taliban government. The enslavement of women is merely a collateral effect, one deemed negligible.

Do the Taliban have rivals on the ground?

Shakiba: There are various terrorist groups, but they don’t pose a threat to the Taliban. They have control everywhere now. Afghanistan is becoming a “center for terrorist services,” fueled by the West. Militias are trained, gathered, and armed. The idea is this: you nurture various puppets, so you can later use them against your rivals. ISIS-K, for example, is used as a threat against Russia. The Americans also keep ties with the warlords of the previous government. When they saw the warlords were no longer reliable and turned to other states—Russians, Pakistanis, Chinese—they turned to the Taliban, who are more stable. But the warlords are waiting. You never know.

What is the strongest message for your people?

Shakiba: We are here, we are behind you, and you must not lose hope. You are not alone, and we don’t want to leave.

At these words, Shakiba is moved, and so are we.