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Autore: Patrizia Fabbri

La Corte penale internazionale apre uno spiraglio di giustizia per le donne afghane

L’articolo è stato pubblicato su Altreconomia

Il 23 gennaio 2025 il procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Khan ha lanciato un forte atto d’accusa nei confronti dei Talebani: ha richiesto l’arresto del leader supremo, Mullah Hibatullah Akhundzada, e per il suo giudice capo, Abdul Hakim Haqqani, perché ritenuti responsabili del crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.

La documentata accusa sta in due lunghi e dettagliati documenti che danno il quadro dei crimini commessi dai Talebani in questi ultimi tre anni e mezzo e del ruolo diretto dei due accusati nell’architettare e sostenere la sistematica violazione dei diritti delle donne e delle persone Lgbtqi+, persecuzione commessa almeno dal 15 agosto 2021 e fino a oggi in tutto il territorio dell’Afghanistan.

È una decisione storica: per la prima volta una richiesta di indagine della Cpi è incentrata sul crimine di persecuzione di genere come reato principale, e non solo per le azioni persecutorie contro le donne e le ragazze ma anche per quelle messe in atto nei confronti delle persone Lgbtqi+

Un atto coraggioso, che supera i tentennamenti e le politiche contraddittorie dell’Onu e degli Stati cosiddetti democratici che rifiutano formalmente il riconoscimento del governo talebano ma intanto invitano i propri esponenti ai convegni internazionali e con loro fanno affari.

Finalmente qualcosa si muove anche a livello istituzionale in difesa delle donne afghane e del loro diritto all’esistenza. Qualcuno si è accorto della loro quotidiana insopportabile sofferenza e, andando oltre le astratte dichiarazioni in difesa dei diritti umani, si è esposto con un atto concreto.

Di fronte all’assoluta impermeabilità del governo talebano alle ingiunzioni delle istituzioni internazionali che richiedono il ritiro dei provvedimenti e il ripristino dei diritti delle donne, la risposta non può essere quella di cancellare il problema dalle agende politiche e recedere dalle pressioni per ingraziarsi i Talebani con concessioni commerciali e aiuti economici. E nemmeno quella di scommettere su una divisione del fronte talebano per poterne appoggiare gli esponenti più moderati, perché non ci sono Talebani cattivi e Talebani buoni: sono tutti comunque fondamentalisti.

La provata continuata oppressione delle donne in quanto genere e delle persone che non si conformano alla visione del mondo dei Talebani sarebbe stata meglio definita dal termine “apartheid di genere” (Adg), con il quale ormai da tutti viene nominata la persecuzione sistematica delle donne che avviene in Afghanistan, e in modo meno eclatante anche in altri Paesi. Ma la Cpi non poteva usare questo termine perché l’Adg non è un reato previsto dallo Statuto di Roma, che contempla l’apartheid basato sulla discriminazione etnica ma non sul genere.

Sebbene la Cpi abbia cercato di aggiornare e integrare il reato di persecuzione di genere, l’Adg rimane una definizione più ampia e comprensiva di tutte le sfaccettature e gli aspetti politici che le differenze di genere comprendono. Perciò da varie parti si avanza la richiesta di rivedere lo Statuto di Roma integrandolo con il crimine specifico di Adg. Anche il Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda) si unisce a questa richiesta nella sua “Campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere” già avviata da novembre 2024.

Nel settembre dello scorso anno Canada, Germania, Australia e Paesi Bassi, seguiti successivamente da altre 20 nazioni, hanno annunciato la loro intenzione di deferire i Talebani presso il più alto tribunale delle Nazioni Unite, la Corte di giustizia internazionale, per le diffuse violazioni dei diritti umani contro le donne nel mancato rispetto della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) di cui l’Afghanistan è firmatario. La procedura è in corso, vedremo nei prossimi mesi come andrà avanti.

Intanto, il 28 novembre scorso Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico hanno esortato il procuratore della Cpi a indagare sulle violazioni sistematiche e continue dei diritti delle donne e delle ragazze da parte dei Talebani.

Accogliendo la loro richiesta, a fine gennaio, il procuratore, che aveva già annunciato la ripresa delle indagini sulla situazione in Afghanistan dopo un periodo di differimento, ha presentato le richieste di arresto per i due Talebani.

I giudici della Cpi hanno tempo tre mesi per decidere se accogliere la richiesta. Se i mandati venissero emessi, i due uomini potrebbero essere arrestati in qualsiasi Paese membro della Corte, anche se, data la loro propensione a rimanere all’interno di Paesi amici, gli arresti e i processi sono in realtà una prospettiva lontana.

Potrebbe sembrare quindi un atto con scarse ricadute pratiche. Tuttavia, anche se questi mandati non dovessero portare all’arresto immediato e al perseguimento dei leader Talebani, avrebbero comunque l’effetto di danneggiare la loro posizione politica di fronte all’opinione pubblica mondiale. Rappresenterebbero un passo significativo nella lotta contro il riconoscimento internazionale del governo talebano, in un momento in cui molti Stati e l’Onu stesso si stanno adoperando per trovare giustificazioni umanitarie ed economiche che permettano di riconoscere al governo talebano il diritto a rientrare di fatto nella comunità internazionale nonostante la loro visione fondamentalista, condannata a parole da tutti gli Stati ma subita nei fatti in nome del pragmatismo.

La presa di posizione della Cpi ci costringe a ricordare che è ancora viva la tragedia delle donne in Afghanistan, un Paese uscito dai radar mediatici sulla spinta di altre catastrofi più recenti e dalla consapevolezza che l’opinione pubblica spesso facilmente dimentica le tragedie appena escono dall’immediato presente.

Ma soprattutto dovrebbe rendere evidente ai politici e alle istituzioni mondiali che impegnarsi con il governo dei Talebani, convocarli ai convegni internazionali, mediare con loro significa dare credibilità a un governo di criminali.

Per le donne vittime della persecuzione di genere la prospettiva aperta dalla Cpi rappresenta una speranza di riconoscimento della gravità della loro sofferenza e del loro coraggio. Ma se la giustizia vuole essere giusta non deve dimenticare le responsabilità dei Paesi occidentali. Nei vent’anni di guerra e occupazione le forze della coalizione, Stati Uniti in testa, si sono macchiate di numerosi atti di violenza e torture sulla popolazione civile.

Human rights watch (Hrw) e Amnesty international ricordano giustamente che tutte le vittime sono uguali e hanno uguale diritto al riconoscimento e al risarcimento. Perciò la Cpi non deve limitarsi a prendere in considerazione le vittime recenti del governo talebano ma deve invece riconsiderare le responsabilità di tutti gli attori in campo colpevoli di atti di barbarie, violenze, torture e ingiustizie che hanno provocato le numerosissime vittime civili.

L’Afghanistan ha aderito nel 2003 al Trattato di Roma che ha istituito la Cpi. Era il 2006 quando venne avviato un esame preliminare sui possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan dalle varie parti, cioè l’esercito degli Stati Uniti e la Cia, le forze di sicurezza afghane e la rete dei Talebani e degli Haqqani. Ma fu solo nel 2017 che l’allora procuratore Fatou Bensouda chiese ai giudici della Camera preliminare di autorizzare l’indagine ufficiale.

Passarono anni di immobilismo in attesa che si decidesse quale ambito di inchiesta fosse consentito effettuare. E quando nel 2023 è stato concesso di includere nelle indagini anche i recenti “nuovi attori” oltre ai responsabili dei venti anni precedenti, Khan ha deciso di concentrare le sue inchieste sui Talebani e sull’Iskp, escludendo di fatto la Cia, l’esercito statunitense e le forze della Repubblica afghana dalla sua competenza, considerando troppo oneroso condurre ricerche su casi di così ampia portata.

Una decisione forse realistica ma che ha creato una “gerarchia nelle vittime” determinata dall’identità del presunto autore, invece che dalla portata e gravità dei crimini. “Un insulto a migliaia di vittime di crimini commessi dalle forze governative afghane e dalle forze statunitensi e della Nato”, come l’ha giustamente definita un’attivista afghana.

La Cpi sta affrontando in questi giorni una pressione significativa a livello internazionale, che potrebbe avere conseguenze sulle sue indagini e sulla sua stessa esistenza. Gli Stati parte dello Statuto di Roma che governa la Corte, tra cui l’Italia, dovrebbero confermare l’importanza di questa istituzione e supportare concretamente l’esercizio del suo mandato indipendente, garantendole con il sostegno e l’assistenza pratica la possibilità di espandere le sue indagini in Afghanistan.

Arrest Warrants for Taliban, a Courageous Act in Defense of Afghan Women

Finally, something is moving at an institutional level in defense of Afghan women and their right to existence. Someone has noticed their unbearable daily suffering and, going beyond abstract declarations in defense of human rights, has exposed themselves with a concrete act.

The Chief Prosecutor of the International Criminal Court (ICC), Karim Khan, has requested arrest warrants for the supreme leader of the Taliban, Mullah Hibatullah Akhundzada, and for his Chief Judge, Abdul Hakim Haqqani, because they are responsible for the crime of gender persecution under Article 7(1) (h) of the Rome Statute. He considers them “criminally responsible for having persecuted Afghan girls and women, as well as persons whom the Taliban perceived as not conforming to their ideological expectations of gender identity or expression, and persons whom the Taliban perceived as allies of girls and women. This persecution has been committed since at least August 15, 2021, to the present day, throughout the territory of Afghanistan.” The ICC judges have three months to decide whether to accept the request of the prosecutor, who has also announced that he will request other arrest warrants for Taliban officials.

The ICC has made a historic decision, overcoming the hesitations and contradictory policies of the UN and of states that call themselves democratic because they formally refuse to recognize the Taliban government, but in the meantime invite its representatives to international conferences and do business with them.

In these three years of government, the Taliban and their faithful emissaries have promulgated and implemented countless decrees against women, girls and LGBTQ+ people, making them slaves segregated in their homes, without the right to go to school and work outside the home, to dress and move freely, even to sing, speak, pray out loud, completely hidden and separated even from other women, in their fundamentalist conception considered the source of all evil because they are women.

Given the absolute impermeability of the Taliban government to the injunctions of international institutions for the withdrawal of the measures and the restoration of women’s rights in exchange for their recognition, the response cannot be to erase the problem from political agendas and withdraw from the pressure to ingratiate themselves with the Taliban with trade concessions and economic aid, in the hope of convincing them to accept the rules of democracy in the future. Nor to bet on a division of the Taliban front in order to support its more moderate exponents.

There are no bad Taliban and good Taliban: they are all fundamentalists and their reason for being lies precisely in this ideology that unites them. In fact, during the twenty years of pro-Western governments, they have never dissolved or amalgamated with more flexible positions to find their space in politics and government. We cannot therefore count on their future assimilation, but only on their defeat.

We therefore applaud the ICC’s request for indictment, which publicly unmasks them for what they are: criminals who must be arrested and prosecuted as such, not politicians to be negotiated with.

The ICC’s path in this direction will be long and difficult, also because the Court must defend itself from attacks by those States that want to undermine its credibility and destroy it completely, but it is an act that makes it more difficult for the States that have adhered to the Rome Statute and the institution of the ICC to recognize the Taliban government.

Italy is also among these and we want it to stand up for the rights of women and LGBTQ+ people.

For this reason, Cisda, within the Campaign against gender apartheid that it recently launched, proposes a petition addressed to the Italian government so that it, aware of its institutional role, takes responsibility for the defense of women’s rights at the competent international bodies.

We therefore ask that the Italian State:

– supports the request to include gender apartheid among international crimes in the Convention under discussion at the UN and in the revision of the Rome Statute

– joins the States that ask the International Criminal Court and the International Court of Justice to call the Taliban to their responsibilities

– does not give recognition, neither legal nor de facto, to the Taliban regime.

Mandati di arresto per i talebani, un atto coraggioso in difesa delle donne afghane

Finalmente qualcosa si muove anche a livello istituzionale in difesa delle donne afghane e del loro diritto all’esistenza. Qualcuno si è accorto della loro quotidiana insopportabile sofferenza e, andando oltre le astratte dichiarazioni in difesa dei diritti umani, si è esposto con un atto concreto.

Il procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI) Karim Khan ha richiesto mandati di arresto per il leader supremo dei talebani, Mullah Hibatullah Akhundzada e per il suo giudice capo, Abdul Hakim Haqqani, perché responsabili del crimine di persecuzione di genere ai sensi dell’art. 7(1) (h) dello Statuto di Roma. Li ritiene “penalmente responsabili di aver perseguitato ragazze e donne afghane, così come le persone che i talebani percepivano come non conformi alle loro aspettative ideologiche di identità o espressione di genere, e le persone che i talebani percepivano come alleate di ragazze e donne. Questa persecuzione è stata commessa almeno dal 15 agosto 2021 fino ai giorni nostri, in tutto il territorio dell’Afghanistan”.I giudici della CPI hanno tempo tre mesi per decidere se accogliere la richiesta del procuratore, che ha anche annunciato che richiederà altri mandati di arresto per i funzionari talebani.

La CPI ha preso una decisione storica, superando i tentennamenti e le politiche contraddittorie dell’Onu e degli Stati che si dicono democratici perché rifiutano formalmente il riconoscimento del governo talebano, ma intanto invitano i suoi esponenti ai convegni internazionali e fanno affari con loro.

In questi tre anni di governo i talebani e i loro fedeli emissari hanno promulgato e messo in pratica innumerevoli decreti contro le donne, le ragazze e le persone LGBTQ+, rendendole schiave segregate nelle loro case, senza il diritto di andare a scuola e di lavorare fuori casa, di vestirsi e muoversi liberamente, perfino di cantare, parlare, pregare ad alta voce, completamente nascoste e separate anche dalle altre donne, nella loro concezione fondamentalista considerate fonte di ogni male in quanto donne.

Preso atto dell’assoluta impermeabilità del governo talebano alle ingiunzioni delle istituzioni internazionali per il ritiro dei provvedimenti e il ripristino dei diritti delle donne in cambio del loro riconoscimento, la risposta non può essere quella di cancellare il problema dalle agende politiche e recedere dalle pressioni per ingraziarsi i talebani con concessioni commerciali e aiuti economici, nella speranza di convincerli in futuro ad accettare le regole della democrazia. Né quella di scommettere su una divisione del fronte talebano per poterne appoggiare gli esponenti più moderati.

Non ci sono talebani cattivi e talebani buoni: sono tutti comunque fondamentalisti e la loro ragion d’essere sta proprio in questa ideologia che li accomuna. Infatti nel corso dei vent’anni di governi filoccidentali non si sono mai sciolti né amalgamati con posizioni più flessibili per trovare un loro spazio nella politica e nel governo. Non possiamo perciò contare sulla loro assimilazione futura, ma solo sulla loro sconfitta.

Plaudiamo quindi alla richiesta di incriminazione della CPI, che li smaschera pubblicamente per quello che sono: criminali che vanno arrestati e perseguiti come tali, non politici con cui trattare.

Il percorso della CPI in questa direzione sarà lungo e difficile, anche perché la Corte deve difendersi dagli attacchi di quegli Stati che vogliono minarne la credibilità e distruggerla completamente, ma è un atto che rende più difficile il riconoscimento del governo talebano da parte degli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma e alla istituzione della CPI.

Anche l’Italia è tra questi e vogliamo che si schieri a favore dei diritti delle donne e delle persone LGBTQ+.

Per questo il Cisda, all’interno della Campagna contro l’apartheid di genere che ha recentemente lanciato, propone una petizione rivolta al governo italiano perché questo, consapevole del suo ruolo istituzionale, si renda responsabile della difesa dei diritti delle donne presso gli organismi internazionali competenti.

Chiediamo quindi che lo Stato italiano:

– appoggi la richiesta di inserimento dell’apartheid di genere tra i crimini internazionali nella Convenzione in discussione all’ONU e nella revisione dello Statuto di Roma

– si unisca agli Stati che chiedono alla Corte Penale Internazionale e alla Corte Internazionale di Giustizia di chiamare i talebani alle loro responsabilità

– non dia riconoscimento, né giuridico, né di fatto, al regime talebano.

L’Afghanistan è il peggior paese al mondo per nascere donna

Intervista a Graziella Mascheroni, presidente del Cisda, associazione che lotta contro l’apartheid di genere nel paese dei talebani.

In Afghanistan le donne possono solo respirare. Segregate tra le mura domestiche o coperte con i loro burqa quando si espongono alla minima luce del sole, le donne afghane non devono essere visibili, neanche attraverso una finestra o una fessura di un cortile. Private della parola e del canto, non possono far udire il suono della loro voce in pubblico, nemmeno quando pregano.

La volontà dei talebani è seppellire le donne, imprigionarle dentro case che si stanno trasformando sempre più in prigioni, renderle invisibili alla società, al mondo. In Afghanistan, da quando sono ritornati al potere (agosto 2021), le donne sono state progressivamente cancellate dagli spazi pubblici, private dei loro diritti fondamentali e poste in una condizione di violenta oppressione, tant’è che in Afghanistan non si parla più di discriminazione di genere, bensì di apartheid di genere.

….

L’intervista integrale si trova su  MicroMega il 14 gennaio 2025 a firma di Silvia Cegalin

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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Continua la raccolta firme per la petizione STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE

  1. all’apartheid di genere come crimine contro l’umanità.
  2. NO al riconoscimento, giuridico o di fatto, del regime fondamentalista talebano.
  3. al sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche.

Sono questi i 3 obiettivi che si pone la campagna STOP FONDAMENTALISMI – STOP APARTHEID DI GENERE lanciata dal CISDA lo scorso 10 dicembre in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani.

Nell’ambito di questa Campagna è stata aperta una raccolta firme per una Petizione con la quale si chiede Governo italiano di sostenere questi obiettivi.

1. Cosa significa apartheid di genere e perché è un crimine contro l’umanità

“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”. È questa la definizione per il crimine di apartheid di genere che il CISDA, con il supporto di un team di giuriste, ha elaborato e inviato direttamente, e attraverso la delegazione italiana, alla VI Commissione dell’ONU che sta lavorando all’elaborazione di un Trattato globale per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità.

È un lavoro complesso, sul quale l’ONU si sta confrontando da sei anni, ma alla fine del 2024, nonostante l’ostruzionismo di alcuni paesi, è stato delineato un percorso che, sebbene molto lungo dato che le negoziazioni vere e proprie sul Trattato sono previste nel 2028 e 2029, definisce una tempistica per le proposte che gli Stati membri e la società civile possono sottoporre alla Commissione.

Nella definizione proposta dal CISDA, gli elementi chiave sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid, ma si sottolinea che tali atti possono essere commessi oltre da attori statali, anche da attori non statali, come gruppi organizzati. Si tratta di una precisazione importante che evidenzia il ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. A tutto ciò si aggiunge l’inclusione dell’omissione come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere.

Importante è poi la definizione del “soggetto passivo” nella quale è compreso qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere e gli individui non conformi al genere: una definizione fondamentale per estendere le protezioni oltre il tradizionale concetto binario uomo-donna e andare a perseguire la discriminazione e le azioni violente rivolte alle persone LGBTQI+.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

2. Perché il crimine di apartheid di genere è legato ai fondamentalismi

Il CISDA ha voluto collegare strettamente il concetto di “fondamentalismi” (il plurale non è un caso) a quello di apartheid di genere perché ritiene che la discriminazione e l’oppressione sulla base del genere della persona siano diretta conseguenza di un approccio fondamentalista alla società. Approccio che non riguarda esclusivamente l’Islam o le religioni in generale.

Ormai assuefatti ad associare il fondamentalismo all’Islam, dimentichiamo che il termine nasce da un movimento religioso protestante diffuso soprattutto negli Stati Uniti a fine ‘800, che, in opposizione al protestantesimo liberale e a tutte le tendenze razionalistiche e critiche, impone l’accettazione rigida e intransigente dei “fondamentali” del Cristianesimo. E per venire all’oggi, basti pensare ai movimenti estremisti cristiani antiabortisti per comprendere quanto il fondamentalismo non sia esclusiva peculiarità di alcune interpretazioni dell’Islam.

E non è un fenomeno circoscrivibile alla sola religione perché il termine fondamentalismo indica “l’atteggiamento di chi persegue un’interpretazione estremamente conservatrice e un’attuazione rigida e intransigente di una religione, un pensiero politico, scientifico, letterario ecc.”. Per questo CISDA ha scelto di utilizzare il plurale, perché vuole dire STOP a qualsiasi forma di fondamentalismo, sia esso religioso o politico o razziale o ideologico.

Concretamente la Campagna, e di conseguenza la Petizione, si focalizza sulla condanna al regime fondamentalista talebano, responsabile della soppressione dei più elementari diritti umani della popolazione civile, in particolare delle donne e degli individui LGBTQI+, frutto del deliberato proposito di tradurre in sistema di governo un’idea fondamentalista che ha come principale obiettivo l’annientamento sistematico e istituzionale delle donne.

L’Afghanistan è il Paese che rappresenta il caso più emblematico di “apartheid di genere”. Qui le donne non possono andare a scuola, lavorare, uscire da sole, frequentare parchi, giardini o bagni pubblici, mostrare il volto in pubblico, cantare, pregare ad alta voce e sono bandite dalla vita pubblica e sociale per rimanere segregate in casa.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano sostenendo l’azione presa da alcuni Paesi di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e quella di deferimento dell’Afghanistan per ulteriori indagini alla Corte Penale Internazionale sulle continue violazioni dei diritti delle donne compiute dai talebani.

3. Perché sostenere le forze antifondamentaliste, democratiche e progressiste dell’Afghanistan

Anche se in Afghanistan l’apartheid di genere è un crimine perpetrato quotidianamente, l’autodeterminazione della donna vede drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. Per questo la condanna ai fondamentalismi va di pari passo con la promozione del valore della laicità, unico argine efficace alla barbarie.

Ed ecco che veniamo al terzo obiettivo indicato nella Petizione del CISDA: il sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti. Quello della laicità e dell’adesione ai principi democratici delle forze di opposizione a un regime assolutista e fondamentalista è un tema vitale che, in un momento in cui l’Afghanistan è ormai uscito dai radar dei media, è prepotentemente tornato alla ribalta in Siria dove la gioia per la caduta del criminale Bashar al-Assad rischia di trasformarsi in nuovo terrore per la salita al potere al gruppo fondamentalista Tahrir al-Sham.

La storia dell’Afghanistan può dunque essere un monito per chi guarda l’attualità con occhi superficiali: a partire dalla fine degli anni ’70, è un Paese che ha subito ingerenze straniere da parte di potenze internazionali e regionali che hanno finanziato e armato gruppi fondamentalisti. Questi drammatici eventi, comuni a molti paesi, hanno generato decenni di guerre provocando migliaia di vittime civili, corruzione endemica, traffico di droga, devastazione del tessuto sociale e ambientale e migrazioni forzate.

Ma in Afghanistan ci sono anche organizzazioni democratiche che, fin dagli anni ’70, si sono attivate per l’uguaglianza e la giustizia sociale delle donne, per i diritti fondamentali all’istruzione, alla difesa legale, alle cure mediche e per la liberazione dalla povertà e dalla violenza. Organizzazioni, per esempio, come RAWA o HAWCA che CISDA sostiene dalla sua nascita.

Uomini e donne che, nonostante avessero l’opportunità di lasciare il Paese dopo il ritorno dei talebani, hanno deciso di rimanere, sfidando i rischi quotidiani del regime repressivo talebano, e continuano a operare in Afghanistan a fianco delle donne, dei bambini, di una popolazione la cui maggioranza vive in condizioni di estrema povertà oltre che di oppressione e di negazione di ogni diritto umano.

Ed è importante che, insieme al sostegno alle forze democratiche e antifondamentaliste, non venga riconosciuta alcuna rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta. Troppo spesso, infatti, si vedono assurgere al ruolo di difensori dei diritti delle donne afghane personaggi ambigui e compromessi con i precedenti regimi.

Per questi motivi, nella Petizione si chiede:

Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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Gender apartheid

The article was published on inGenere il 10 gennaio 2025

Crimes against humanity. Just the sound of these words makes the soul crack, creates fissures, widens those gaps too thin to allow the atrocities of injustices committed elsewhere to reach “here”. Yet, at the level of international law there is still no specific treaty that prevents and sanctions crimes against humanity.

Now the sixth commission of the United Nations is pushing on the accelerator, also to counter countries like Russia that were hindering the work. The finish line can be glimpsed between 2028 and 2029, and the first steps to reach it must be taken now and well. By immediately inserting gender apartheid into the definition of crime against humanity. It is not something we can take for granted or postpone, but it must appear with the exact details that can transform this action into an effective lever of the legal world to change the real world.

Together with a group of jurists, the Italian Coordination for the Support of Afghan Women (CISDA) has tried to systematize the crime of gender apartheid with a definition, launching the campaign Stop fundamentalisms – Stop gender apartheid. What we can do, as citizens, is to try to give faces, meanings, power and sense to the intent, by reading, adhering to the campaign of CISDA, or simply dedicating time to understand the reasons and create an independent but conscious opinion. We talked about it with Patrizia Fabbri, an activist of the association.

What definition do you suggest to identify gender apartheid?

We ask to define the crime of gender apartheid as “any act, policy, practice or omission that, in a systematic and institutionalized manner, is committed by an individual, state, organization, entity or group, with the purpose or effect of establishing, maintaining or perpetuating the domination of one gender over another, through institutionalized segregation, oppression or discrimination in the political, economic, social, cultural, educational, professional or any other area of ​​public and private life”.

Why did you choose this one?

It is essential to underline that these acts can also be committed by non-state actors, first of all, because there are many situations where the state officially fights gender apartheid, but lets non-institutional, but organized groups commit this crime. The idea is therefore to include the crime of omission: as a guarantor of human rights, the state is prosecutable even when it fails to prosecute criminal conduct in this area. The other important aspect for us to clarify concerns the passive subject of this crime: we have included any group of people identified by their gender and gender non-conforming individuals. This means recognizing all violent acts of discrimination also against Lgbtqia+ people.

With what intent did you launch the Stop fundamentalisms – Stop gender apartheid campaign and who is it aimed at?

We started with a signature collection to ask the Italian government to support three main objectives and to promote them with international institutions. The first is the recognition of gender apartheid as a crime against humanity, adopting our definition. The second is the non-recognition, neither legal nor de facto, of the fundamentalist Taliban regime in Afghanistan: in fact, if no state officially recognizes the de facto Taliban government, in reality many countries have relations with the regime, for logistical, geographical and economic reasons.

What is happening in Afghanistan?

Afghanistan is a country very rich in rare earths, but it is also the one in which the Taliban regime is suppressing the most basic rights, especially those of women. Women are not allowed to attend school beyond elementary school, work, or leave the house unless accompanied by a male member of the family. They cannot go to parks, gardens or public toilets, their faces must be completely covered, they cannot sing or pray out loud. Now the Taliban have gone so far as to prohibit them from “ticking” when they wear heels: we are truly at the denial of the person as such. The third request concerns in fact the support for the anti-fundamentalist and democratic Afghan forces: it is particularly important that this happens, hand in hand with the condemnation of fundamentalism. The support of secularism represents the only true and possible barrier to the barbarities committed.

From what risks can this action protect us?

From that of letting our governments support a reality that is considered the lesser evil, as could happen in Syria, for example. While we welcome Assad’s departure, we must not overlook the fact that the forces of the group that took power, the HTS, are fundamentalist forces that were allied with Al Qaeda. Even if they have “cleaned themselves up”, the origin remains the same, and the fear is that they will be cleared, allowing a society based on the principles of new fundamentalism to form.

Can you give us some other examples?

It is a delicate issue and, for this very reason, it should not be overlooked. The West, in my opinion, in most cases is in bad faith and supports certain groups because they are powerful, but even when it is not, it does not pay attention to the origin of certain people, groups or associations. And in certain contexts you cannot be superficial, you cannot think of helping certain entities regardless of who is behind them, also due to a risk of corruption. An extreme but explanatory example is the fact that at the beginning of 2024 the UN accepted the Taliban diktat against the presence of Afghan associations opposed to their government, “because you have to talk to the enemy”. Some compromises may be necessary, but other aspects cannot be accepted.

Cisda insists on speaking of fundamentalisms, in the plural.

It serves to reiterate and remember that there is not only Islamic fundamentalism and that, in general, the concept of fundamentalism does not necessarily have to be linked to religion. We are often accustomed to and consider gender apartheid, any oppression and discrimination based on a person’s gender, as a direct consequence of an approach typical only of Islamic fundamentalism, when in reality this is not the case.

What does this choice mean?

For us it is important to always speak of fundamentalisms in general, because all phenomena that lead to a conservative interpretation and a rigid and uncompromising implementation of a religion, as well as of a political, scientific, philosophical thought, etc. are fundamentalisms. The problem lies in the ways in which an idea is believed and carried forward, not so much in the idea itself. There is an insurmountable limit that divides deep inner convictions, an “individual fundamentalism”, from the true fundamentalism with which one can impose one’s vision on an entire society, with actions at the state level or by power groups. A “Western” example are the American anti-abortionists, who kill doctors who perform abortions.

There are fundamentalisms in different parts of the world; the “i” is an indispensable detail to keep one’s eyes open on every crime against humanity, to open cracks, to not close one’s eyes and the door in front of those who are suffering violence.

 

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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