Radio Popolare – Intervista Latifa Ahmady – OPAWC
Michela Sechi di Radio Popolare intervista Latifa, Presidente di Opawc, sulle elezioni presidenziali 2014. La registrazione è parziale
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Le cronache di un chirurgo di guerra, fondatore di Emergency, l’associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo. In questo libro, Strada mette a nudo le immagini più vivide, talvolta i ricordi più strazianti, le amarezze continue della sua esperienza di medico militante, stretto continuamente tra le politiche ufficiali dell’ONU e dei padroni della guerra e le pratiche del volontariato internazionale. Prefazione di Moni Ovadia.
Pappagalli verdi. Cronache di un chirurgo di guerra
di Gino Strada
Feltrinelli, 2013, pp. 160
L’Afghanistan di Malalai, Belquis, Maryam, Selay, Farzane, Andeisha, Pari e mille e altre mille come loro è fatto di ideali, sogni e cose molto concrete.
Iniziative che solo donne coraggiosissime, impegnate al limite del sacrificio possono perseguire nel paese dei Warlords, delle invasioni e della guerra perpetua.
Queste donne parlano e creano.
Organizzano e gestiscono alloggi per orfani, apparati di sostegno ai familiari delle vittime di interminabili conflitti civili e internazionali, scuole d’istruzione e di avviamento al lavoro, case rifugio per sfortunate schiacciate dalla spirale di persecuzione e violenza.
Afghanistan fuori dall’Afghanistan
di Enrico Campofreda, Patrizia Fiocchetti
Poiesis (Alberobello), 2013
Incontro con cittadini e autorità con Malalai Joya organizzato da CISDA e dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Milano.
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CISDA – Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus, condanna fermamente la brutale repressione di una manifestazione pacifica di protesta contro il governo afghano organizzata dal Partito della Solidarietà.
Il 2 maggio 2013, il Partito della Solidarietà dell’Afghanistan (SPA) ha organizzato una manifestazione di protesta a Kabul per denunciare due giorni tragici per il popolo afghano, il 27 aprile 1978 – invasione sovietica – e 28 aprile 1992 – quando i mujaheddin entrarono in Kabul.
Si sono ripetuti i tragici fatti dello scorso anno quando le forze di sicurezza scatenarono una violenta repressione delle voci di protesta contro i signori della guerra nel Parlamento afghano e il Partito della Solidarietà venne sottoposto ad indagine pubblica. Solo grazie all’appoggio delle associazioni internazionali per i diritti civili, il Partito ha potuto evitare la sospensione ufficiale.
Quest’anno la polizia afghana ha ricevuto l’ordine dal palazzo presidenziale di ricorrere alla forza e all’intimidazione per fermare centinaia di manifestanti che hanno marciato con decisione e passione, gridando slogan espliciti contro i signori della guerra, contro i talebani e i loro padroni stranieri, contro gli Stati Uniti e le forze di occupazione NATO.
Centinaia di poliziotti e agenti di sicurezza hanno circondato il corteo chiudendo tutta la zona per evitare che la gente sentisse gli slogan che venivano gridati e si unisse alla protesta. Le forze di sicurezza hanno arrestato almeno nove persone. Secondo quanto riferisce Human Rights Watch, sei di loro sono stati trattenuti in carcere per tre giorni e sottoposti a brutali maltrattamenti: pugni, calci, e colpi di calcio di fucile mentre venivano interrogati sugli organizzatori della protesta.
L’arresto, le intimidazioni subite anche nei giorni che precedevano la manifestazione e il brutale pestaggio sono un chiaro messaggio a tutti gli afghani di non criticare pubblicamente il governo. Messaggio ancor più esplicito con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 2014.
Il CISDA chiede che si faccia luce sulle azioni delle forze di sicurezza che ancora una volta hanno colpito un partito laico e democratico che si oppone ai criminali di guerra al governo del paese. Ciò che è accaduto lede i diritti, la libertà e la sovranità dei cittadini afghani.
C.I.S.D.A. Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Arsala Rahmani, criminale fondamentalista, non uomo di pace
Comunicato del CISDA sul signore della guerra talebano Arsala Rahmani, ucciso il 13 maggio a Kabul. Membro del cosiddetto Alto consiglio per la pace in Afghanistan, era in realtà un criminale fondamentalista, ex ministro dell’Istruzione e ministro degli affari religiosi durante il regime talebano, uno dei regimi più oscurantisti, misogini e fascisti della storia mondiale recente.
Il signore della guerra talebano Arsala Rahmani, membro del cosiddetto Alto consiglio per la pace in Afghanistan, è stato ucciso il 13 maggio a Kabul: un sicario gli ha sparato mentre Rahmani era in automobile e si recava nel suo ufficio. Subito i media di tutto il mondo hanno commentato la notizia come una grave perdita, ricordando il ruolo di Rahmani nel preteso processo di pacificazione e riconciliazione con i talebani voluto da Karzai e dalla NATO, Stati Uniti in testa.
Il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) ancora una volta si dissocia con forza da questa visione ipocrita e imperialista, denunciando la storia criminale di questo talebano, ex ministro dell’Istruzione e ministro degli affari religiosi durante uno dei regimi più oscurantisti, misogini e fascisti della storia mondiale recente, e protagonista della politica interna dell’Afghanistan post-11 settembre per scelta di Karzai, che nel 2005 lo chiamò a far parte della Camera alta del Parlamento, nella quota di deputati che vengono nominati direttamente dal presidente.
Come subito denunciato da Human Rights Watch in occasione di quel riconoscimento, Arsala Rahmani era responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, nonché di limitazioni estreme delle libertà fondamentali, soprattutto ai danni delle donne. La sua funzione all’interno del cosiddetto Alto consiglio per la pace in Afghanistan non era dissimile da quello di un altro sanginario signore della guerra, Burhanuddin Rabbani, anch’egli ucciso recentemente (il 20 settembre 2011) e anch’egli ricordato come uomo di pace: ovvero, fare finta di avviare colloqui di pace con i compagni criminali talebani, per convincere i finanziatori statunitensi della possibilità per le truppe NATO di andarsene dal paese lasciandolo “pacificato”, anche se con decine di basi militari permanenti, a salvaguardia di una “pace duratura”.
Una farsa che il popolo afgano sarà il primo a pagare, come sempre, sulla propria pelle, quando il processo già in atto di ritorno alla misoginia di Stato, alla teocrazia fondamentalista dei mullah e alla violenza fascista che fa affari con il narcotraffico e con il business delle armi avrà compimento, grazie all’appoggio della NATO e degli Stati Uniti e alla colpevole acquiescenza della comunità internazionale.
Sarà difficile, allora, inventarsi un altro slogan come “liberare le donne afgane”, quando le potenze mondiali le avranno consegnate, quelle donne, direttamente nelle mani di sanguinari personaggi come Arsala Rahmani, colpevoli di crimini contro l’umanità.