Skip to main content

Autore: Patrizia Fabbri

Il crimine dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità

L’uguaglianza di genere è, prima di tutto, un diritto umano. Implica che donne, uomini, ragazzi e ragazze di tutte le classi e razze partecipino come pari e abbiano pari valore.

Da un punto di vista legale, è definita come il principio secondo cui tutte le persone, indipendentemente dal loro genere, devono avere gli stessi diritti, doveri, opportunità e accesso alle risorse.

Questo principio è sancito in varie convenzioni internazionali, tra cui:

  • La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4/11/1950, che all’art 14 prevede il divieto di discriminazione anche fondata sul sesso , sulla “ nascita o ogni altra condizione” e prevede che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella convenzione debbano essere garantiti ad ogni persona senza distinzione alcuna.
  • La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979. La CEDAW è considerata uno dei trattati fondamentali per la protezione e la promozione dei diritti delle donne. L’articolo 1 definisce “discriminazione contro le donne” come qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione basata sul sesso che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, sulla base dell’uguaglianza con gli uomini, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo.
  • La Convenzione sulla parità di retribuzione (OIL – Convenzione n. 100), adottata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 1951, che richiede agli Stati membri di garantire la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore, senza discriminazioni basate sul genere.

Le convenzioni internazionali attribuiscono agli Stati una chiara responsabilità non solo di legiferare a favore dell’uguaglianza di genere, ma anche di adottare tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione di fatto. Ciò include l’accesso alla giustizia, la disponibilità di rimedi efficaci e la possibilità di ottenere adeguate riparazioni e garanzie di non ripetizione.

Perché è necessaria la codificazione del crimine di apartheid di genere?

Il concetto di “apartheid di genere” non è ancora codificato nel diritto internazionale come crimine e il riconoscimento legale di tale crimine affronterà quella che è una lacuna importante nel diritto internazionale.

L’importanza di riconoscere e definire “apartheid di genere” come uno specifico crimine contro l’umanità, distinto dal crimine di apartheid sancito nello Statuto di Roma, risiede in diverse considerazioni fondamentali relative alla protezione dei diritti umani, alla giustizia internazionale e alla lotta contro la discriminazione sistematica.

Il crimine di apartheid, come definito nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (articolo 7 (1) (j)), si concentra sulla discriminazione razziale. Tuttavia, le dinamiche della discriminazione di genere hanno caratteristiche uniche che richiedono un’attenzione legale specifica. Le violazioni dei diritti umani basate sul genere, come la violenza sessuale, lo stupro, la negazione dei diritti riproduttivi e la segregazione di genere, non sono sempre adeguatamente affrontate sotto la semplice nozione di apartheid razziale.

Un crimine di “apartheid di genere” riconoscerebbe l’entità e la gravità della discriminazione di genere, affrontando specificamente le violazioni sistematiche che colpiscono ragazze, donne e individui non conformi al genere, in particolare le persone LGBTQI+.

Incorporare “apartheid di genere” nel corpus dei crimini contro l’umanità rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci per i crimini basati sulla discriminazione di genere. Aumenterà gli sforzi per combattere i regimi istituzionalizzati di oppressione e dominio sistematici imposti per motivi di genere. In effetti, il riconoscimento legale riconoscerebbe il tipo unico di vittimizzazione e amplierebbe le opportunità per le vittime di cercare giustizia e per le istituzioni internazionali di intraprendere azioni contro Stati, governi o entità che utilizzano e perpetuano tali sistemi di oppressione. Inoltre, creerebbe un precedente legale che potrebbe essere utilizzato per costruire giurisprudenza e fornire mezzi per affrontare le nuove forme di discriminazione di genere emergenti nel mondo contemporaneo.

Ad esempio, in Afghanistan il contesto storico della discriminazione di genere e la continuazione delle pratiche oppressive sotto i regimi recenti illustrano come le azioni attuali facciano parte di un sistema prolungato di apartheid di genere.

Definizione proposta per il crimine di apartheid di genere come crimine contro l’umanità

“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”.

Questi atti includono, ma non sono limitati a:

  • a) L’emanazione di leggi o politiche che negano, limitano o riducono i diritti fondamentali degli individui in base al loro genere;
  • b) L’uso di violenza fisica o psicologica, detenzione arbitraria o qualsiasi altra forma di coercizione per imporre il controllo di un genere sull’altro;
  • c) La segregazione sistematica e la limitazione dell’accesso alle risorse, all’istruzione, all’occupazione o alla partecipazione politica in base al genere;
  • d) La promozione di ideologie o pratiche che giustificano o legittimano il dominio e/o l’oppressione di un genere sull’altro”.

Spiegazione della proposta

La definizione di apartheid di genere nella formula proposta (atti, politiche o pratiche volte a perpetuare il dominio di un genere sull’altro) è coerente con la comprensione giuridica dell’apartheid come definita dalla Convenzione internazionale sulla repressione e la punizione del crimine di apartheid (1973) e ampliata nello Statuto di Roma (1998), che include il crimine di apartheid come crimine contro l’umanità. Questi quadri giuridici definiscono l’apartheid come dominio istituzionalizzato e oppressione sistematica, in genere basata sulla razza. La proposta di ampliamento basato sul genere di questo principio è giustificata, poiché la discriminazione di genere è stata storicamente una forma di oppressione pervasiva e istituzionalizzata.

Gli elementi chiave di questa definizione sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, che sono state caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid. In questo contesto, l’apartheid di genere riflette politiche che escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio. Gli atti elencati, come le leggi discriminatorie, l’uso della violenza per imporre il controllo e la segregazione sistematica nell’accesso alle risorse, corrispondono a pratiche simili riconosciute nei sistemi di apartheid razziale. Ognuna di queste pratiche può essere osservata in regimi di discriminazione di genere, sia storicamente che attualmente, come il regime talebano in Afghanistan, dove alle donne è stato negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alla libertà di movimento. Tali azioni, quando commesse in modo sistematico e istituzionalizzato, presentano sorprendenti somiglianze con le pratiche dell’apartheid. La proposta sottolinea che tali atti possono essere commessi non solo da attori statali, ma anche da attori non statali, come gruppi organizzati, il che riflette un crescente riconoscimento nel diritto internazionale del ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. L’inclusione delle omissioni come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere, amplia ulteriormente l’ambito della responsabilità. Ciò è in linea con la giurisprudenza di casi come Opuz contro Turchia (2009) e Talpis contro Italia (2017) , in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’incapacità di uno Stato di proteggere le donne dalla violenza domestica violava i diritti umani.

Il concetto di apartheid di genere può essere situato nel quadro più ampio dell’intersezionalità, che esamina come varie forme di oppressione, come razza, classe e genere, interagiscono e si aggravano a vicenda. Gli studiosi del diritto come Catharine MacKinnon hanno a lungo sostenuto che l’oppressione delle donne è sistematica e dovrebbe essere intesa come una forma di subordinazione politica simile all’apartheid. In questo senso, la formula proposta si basa sulla teoria giuridica femminista, che vede la discriminazione di genere come una forma di stratificazione sociale e legale.

Inoltre, la proposta è in linea con le tendenze legali internazionali verso l’ampliamento della portata dei crimini contro l’umanità per includere i crimini di genere. Ad esempio, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) hanno riconosciuto la violenza sessuale come crimine contro l’umanità e atto di genocidio quando viene sistematicamente utilizzata come strumento di oppressione. Questi precedenti supportano l’inclusione della discriminazione sistematica basata sul genere come forma di apartheid.

1. SOGGETTI DEL REATO

  • Soggetto attivo

L’inclusione sia di individui che di entità collettive, come Stati e gruppi organizzati, è in linea con gli sviluppi del diritto penale internazionale, che riconosce la responsabilità degli individui per crimini contro l’umanità, riconoscendo anche il ruolo che istituzioni o entità possono svolgere nel consentire e far rispettare tali crimini. Questo duplice riconoscimento consente la responsabilità sia a livello individuale che sistematico. Nell’apartheid di genere, sia i regimi politici che i gruppi culturali o religiosi possono esercitare un controllo significativo sulle norme sociali e questa proposta consente un approccio sfumato per perseguire i crimini commessi da tali entità.

  • Soggetto passivo

La definizione di soggetto passivo come qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere, comprese le donne e gli individui non conformi al genere, riflette la moderna comprensione del genere come costrutto sociale. Ciò è particolarmente importante in quanto amplia le protezioni oltre il tradizionale binario di uomini e donne, affrontando la discriminazione e l’oppressione affrontate dalla comunità LGBTQI+, che è stata sistematicamente oppressa in vari contesti, dalle leggi restrittive sull’espressione di genere agli attacchi violenti. Il riconoscimento della costruzione sociale del genere in questi termini implica la necessaria abrogazione dell’art. 7 co 3 del trattato di Roma.

2. CONDOTTA

La condotta si riferisce ad azioni, politiche, pratiche o omissioni deliberate che istituzionalizzano e perpetuano la discriminazione e l’oppressione sistematiche basate sul genere. La condotta dovrebbe mirare a creare, mantenere o rafforzare un sistema di dominio e/o oppressione di un genere sull’altro.

a) Elemento della condotta

La condotta dovrebbe essere parte di un sistema continuo di discriminazione e/o oppressione. Tale condotta può manifestarsi attraverso i seguenti atti:

1. Leggi e politiche discriminatorie:

  • Leggi e decreti che limitano i diritti civili e politici, come negare alle donne o ad altri gruppi di genere il diritto di voto, candidarsi o partecipare alla vita pubblica. Ad esempio, leggi che impediscono alle donne o agli individui non conformi al genere di ricoprire determinate posizioni o di accedere a professioni specifiche.
  • Politiche che limitano l’accesso all’istruzione e alla formazione, comprese pratiche educative che discriminano in base al genere, impedendo alle donne o agli individui non conformi al genere di accedere all’istruzione o a specifici campi di studio. o Leggi che impongono codici di abbigliamento o norme comportamentali basate sul genere, come l’obbligo per le donne di coprire parti del corpo o il divieto di guidare o viaggiare senza un accompagnatore maschile.

L’adozione di leggi e politiche discriminatorie sono chiari esempi di forme sistematiche e istituzionalizzate di apartheid di genere, volte a controllare, segregare e opprimere gli individui in base al genere. Queste leggi e politiche spesso riflettono norme e valori sociali radicati, rafforzando ulteriormente le disuguaglianze di genere sia nella vita pubblica che in quella privata.

2. Pratiche economiche e lavorative discriminatorie:

  • Pratiche che limitano l’accesso all’occupazione e alle risorse economiche, come divari salariali tra i sessi per lavori di pari valore o l’esclusione sistematica di donne o individui non conformi al genere da settori specifici.
  • Leggi e pratiche che impediscono alle donne o ad altri gruppi di genere di possedere, ereditare o controllare proprietà e risorse economiche.
  • Segregazione del lavoro basata sul genere, che relega un genere a lavori meno retribuiti o meno rispettati.

3. Controllo sociale e culturale:

  • Applicazione dei ruoli di genere tradizionali, limitazione  della autonomia e autodeterminazione le donne o altri gruppi di genere a ruoli domestici, ciò potrebbe includere la pressione sociale per il matrimonio forzato o la maternità.
  • Violenza di genere come strumento di controllo, come tolleranza o promozione della violenza domestica, mutilazione genitale femminile o “correzione” violenta di individui non conformi al genere.
    • La violenza di genere è un potente strumento utilizzato per far rispettare le gerarchie di genere e controllare le donne e gli individui non conformi al genere. Questa violenza può assumere molte forme, tra cui violenza domestica, violenza sessuale, mutilazione genitale femminile (MGF) e la cosiddetta violenza “correttiva” contro coloro che non si conformano ai ruoli di genere tradizionali. In molti casi, questi atti di violenza sono tollerati, normalizzati o persino promossi all’interno della società, rafforzando ulteriormente la subordinazione di un genere rispetto a un altro. Questo tipo di violenza non è solo un’espressione di aggressione individuale, ma è spesso tollerata da norme o pratiche sociali che considerano le donne e le minoranze di genere inferiori o bisognose di controllo. Rappresenta una grave forma di apartheid di genere, in cui la violenza è sistematicamente utilizzata per imporre la subordinazione di genere e negare agli individui il loro diritto alla sicurezza, all’autonomia e all’uguaglianza.

4. Esclusione sistemica dai diritti e dai servizi:

  • Negazione dell’accesso ai servizi sanitari essenziali, tra cui la salute riproduttiva, la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e i servizi di salute mentale. o Esclusione dai sistemi giudiziari che negano alle donne o agli individui non conformi al genere l’opportunità di cercare un risarcimento legale per crimini o violazioni dei diritti, come i tribunali che non riconoscono la loro testimonianza o applicano standard di prova più severi per i crimini basati sul genere.
  • Privazione della libertà personale, comprese restrizioni alla circolazione, all’organizzazione politica e alla partecipazione alle proteste.

L’esclusione sistemica dai diritti e dai servizi essenziali è un pilastro fondamentale dell’apartheid di genere, in cui agli individui, in particolare alle donne e alle persone non conformi al genere, viene deliberatamente negato l’accesso a servizi essenziali e protezioni legali. Queste esclusioni rafforzano e sostengono la disuguaglianza di genere rendendo difficile o impossibile per i gruppi emarginati vivere liberamente, accedere all’assistenza sanitaria, cercare giustizia e partecipare pienamente alla società.

5. Propaganda e incitamento all’odio:

  • Promozione di ideologie che affermano l’inferiorità di genere attraverso i media, la propaganda o la retorica politica, giustificando la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione e diffondendo stereotipi dannosi.
  • Normalizzazione della discriminazione di genere, del dominio e/o dell’oppressione attraverso l’istruzione, la cultura popolare o dichiarazioni ufficiali di leader politici o religiosi.

La propaganda e l’incitamento all’odio sono potenti strumenti utilizzati per sostenere l’apartheid di genere promuovendo ideologie che giustificano la subordinazione di un genere all’altro. Attraverso la deliberata diffusione di stereotipi dannosi, queste tattiche rafforzano le norme sociali che legittimano la discriminazione e l’oppressione basate sul genere. Tali ideologie sono spesso radicate nei media, nella retorica politica, nei sistemi educativi e nella cultura popolare, favorendo un ambiente in cui la disuguaglianza è normalizzata e persino celebrata. La propaganda e l’incitamento all’odio mantengono l’apartheid di genere attraverso la promozione dell’inferiorità di genere e la normalizzazione della discriminazione di genere. In particolare,

b) Forme di condotta

  • Imposizione diretta: la condotta può essere imposta direttamente tramite minaccia o forza legale o fisica, come l’applicazione di leggi discriminatorie o l’uso della violenza per sostenere le norme di genere.
  • Supporto o tolleranza istituzionale: la mancanza di azioni per reprimere pratiche o politiche discriminatorie può anche integrare la condotta quando uno stato, un governo o un’istituzione sostiene indirettamente la discriminazione, il dominio e/o l’oppressione di genere.
  • Controllo sistemico: la condotta può essere parte di un quadro di controllo sistemico che include non solo leggi e politiche, ma anche applicazione selettiva, controllo dei media ed educazione per mantenere la superiorità di genere, il dominio e/o l’oppressione.

c) Impatto della condotta

L’obiettivo dell’apartheid di genere è quello di mantenere e rafforzare una gerarchia di genere che perpetua la disuguaglianza e l’oppressione in modo che gli individui di un certo genere rimangano svantaggiati in tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. Gli effetti degli atti includono:

  • Creazione di un sistema di disuguaglianza strutturale cronica, che causa danni psicologici, fisici, economici e sociali al gruppo oppresso.
  • Perpetuazione di stereotipi di genere, che giustificano la subordinazione e la discriminazione, causando un ciclo a lungo termine di privazione di potere ed esclusione.

La condotta dell’apartheid di genere ha conseguenze profonde e di vasta portata sulla società, con il suo scopo finale di rafforzare e mantenere una rigida gerarchia di genere. Questo sistema garantisce che determinati generi, in genere donne e individui non conformi al genere, rimangano svantaggiati in tutti gli ambiti della vita, socialmente, politicamente ed economicamente. Gli impatti di questa condotta sono devastanti, radicano la disuguaglianza e perpetuano cicli di oppressione e privazione di potere. In particolare:

1. Disuguaglianza strutturale cronica

L’apartheid di genere crea un sistema di disuguaglianza strutturale cronica che si manifesta in varie forme di danno, psicologico, fisico, economico e sociale. Questa disuguaglianza strutturale è intessuta nel tessuto della società, assicurando che le donne e le minoranze di genere affrontino barriere sistemiche alle opportunità e alle risorse, mentre il gruppo di genere dominante (in genere gli uomini) beneficia di privilegi e potere duraturi.

  • Danno psicologico: il costante rafforzamento dell’inferiorità e della subordinazione causa danni psicologici a lungo termine.
  • Danni fisici: l’apartheid di genere provoca anche danni fisici diretti, in particolare attraverso l’uso della violenza per far rispettare le norme di genere e mantenere il controllo. Ciò può includere violenza domestica, omicidi d’onore, matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili e punizioni fisiche per non conformità di genere.
  • Danni economici: l’impotenza economica è una componente critica dell’apartheid di genere, in cui alle donne e alle minoranze di genere viene sistematicamente negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alle risorse economiche.
  • Danno sociale: l’apartheid di genere favorisce l’esclusione dalla vita pubblica, con donne e minoranze di genere spesso escluse dalla partecipazione politica, dai ruoli decisionali e dalle posizioni di leadership. Questa esclusione porta all’emarginazione di interi gruppi dal progresso e dallo sviluppo della società.

2. Ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione

La condotta dell’apartheid di genere stabilisce un ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione, in cui ai generi emarginati vengono sistematicamente negate le opportunità di sfuggire all’oppressione. Ogni generazione eredita e perpetua la disuguaglianza e gli stereotipi della precedente, rafforzando l’idea che l’attuale gerarchia di genere sia naturale o immutabile.

  • Impatto intergenerazionale: l’apartheid di genere non colpisce solo coloro che vivono sotto di essa, ma anche le generazioni future.
  • Sviluppo sociale ed economico: l’esclusione a lungo termine delle donne e delle minoranze di genere dai ruoli critici nella società impedisce anche lo sviluppo sociale ed economico generale.. Gli studi hanno dimostrato che una maggiore uguaglianza di genere porta a una maggiore prosperità economica, poiché più individui sono in grado di partecipare pienamente alla forza lavoro e contribuire al progresso sociale.

 3. ELEMENTO SOGGETTIVO: INTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA

a) Mens Rea (Intenzione)

L’elemento soggettivo del crimine di apartheid di genere va oltre la semplice intenzione di discriminare. Comporta la consapevolezza e l’accettazione della gravità e della natura sistematica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo di persone in base al loro genere. Ciò significa una volontà consapevole di dominare, controllare o soggiogare un gruppo specifico in base al genere. In genere, ciò comporta il mantenimento di una struttura sociale e politica che perpetua la superiorità di un genere, spesso maschile rispetto a quello femminile, attraverso leggi, politiche o pratiche che pongono un genere in una posizione subordinata o emarginata, privandolo di diritti e opportunità fondamentali.

Gli autori devono essere consapevoli che le loro azioni o politiche si tradurranno in discriminazione, dominazione o oppressione e sofferenza di un gruppo di persone in base al genere. Anche se non è l’intento primario, gli autori devono accettare la discriminazione e la disuguaglianza risultanti come inevitabili o accettabili.

Pertanto, la mens rea, o elemento soggettivo, implica una consapevolezza e un’accettazione specifiche della gravità e della natura sistemica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo basato sul genere.

b) Prova dell’elemento soggettivo

Per stabilire l’elemento soggettivo in un contesto giudiziario, possono essere utilizzate varie forme di prova, tra cui:

  • Documentazione ufficiale: leggi, regolamenti, decreti e politiche ufficiali che dimostrano esplicitamente o implicitamente l’intenzione di perpetuare la discriminazione di genere. Questi documenti possono servire come prova diretta dell’intenzione di creare e/o mantenere un sistema discriminatorio.
  • Dichiarazioni pubbliche: discorsi, dichiarazioni o altri atti comunicativi degli autori che esprimono l’intenzione di sostenere un sistema di supremazia di genere. Queste dichiarazioni possono evidenziare la consapevolezza dell’autore degli effetti delle proprie azioni e la sua deliberata intenzione di continuare tali pratiche.
  • Pratiche istituzionali: prova che le istituzioni statali o altre organizzazioni implementano costantemente pratiche discriminatorie contro uno specifico gruppo di genere. Ciò può includere registrazioni di come le politiche vengono applicate nella pratica, dimostrando un approccio sistematico all’esclusione e alla disuguaglianza basate sul genere.

 

Proposta del C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) inviata Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la lettera che puoi leggere qui, redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)

Lettera all’ONU per il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità

Alla Sesta Commissione
Assemblea Generale delle Nazioni Unite

l’Associazione C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane) con la presente nota intende fornire un contributo ai lavori in corso nell’ambito della Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Convenzione dei Crimini contro L’Umanità, per chiedere che venga presa in esame l’introduzione del crimine di “apartheid di genere” nella proposta di Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità.

Vi inviamo pertanto in allegato la nostra analisi e proposta di definizione del reato di “apartheid di genere”, affinché la stessa possa essere presa in considerazione nelle modalità ritenute più opportune. Tale proposta, che vuole avere una valenza generale per ogni situazione che in essa vi rientri, trova però la sua origine nella crescente consapevolezza di governi, istituzioni internazionali, Associazioni della società civile ed attiviste per i diritti umani che ciò che si sta compiendo in Afghanistan è un crimine contro l’umanità la cui tipologia non è ancora pienamente riconosciuta dai Trattati esistenti e dalle Convenzioni internazionali.

Come emerge dal più recente Report dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council del giugno 2024, il Paese rappresenta il caso più emblematico di applicazione di un sistema pervasivo, metodico ed istituzionalizzato di oppressione e segregazione delle donne e delle ragazze, rafforzato da editti e politiche che le sanzionano violentemente e impongono privazioni dei diritti fondamentali. Le testimonianze delle attiviste per i diritti umani che operano nel Paese e con le quali CISDA è in contatto ci riportano lo stato di grave depressione mentale e il maggior numero di suicidi delle donne come unica possibilità di fuga da una vita condannata alla paura e alla reclusione.

Uniamo la nostra voce a quella del Relatore Speciale nel ritenere che l’inclusione del crimine di apartheid di genere nel “Trattato sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità” possa sostenere la comunità internazionale in una vigorosa azione di condanna e messa al bando di coloro – individui, governi di fatto, stati e regimi politici – che applicano violazioni sistematiche e istituzionalizzate di genere.

Il C.I.S.D.A. opera dal 1999 a stretto contatto con Associazioni di attiviste tra le quali la principale è R.A.W.A. (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane) che, nel proprio Paese, attiva da decenni, in clandestinità, progetti umanitari a sostegno di donne, bambini e della popolazione civile in stato di necessità. Le attiviste di R.A.W.A. affiancano al lavoro umanitario la denuncia politica sulle gravi violazioni dei diritti umani e sui crimini commessi non solo dall’attuale regime dei talebani ma, a partire dalla fine degli anni ‘70, anche dai fondamentalisti e dai signori della guerra che hanno ricoperto incarichi di rilievo nei precedenti governi della Repubblica Islamica. E’ a partire da quel periodo che sono iniziati, e continuano tuttora, i finanziamenti e il sostegno da parte di potenze regionali e internazionali a criminali che hanno preso il controllo dell’intera società afghana per più di quaranta anni rendendo impossibile lo sviluppo di una società laica e democratica e un processo di reale autodeterminazione per il popolo afghano.

Per C.I.S.D.A. e per le donne di RAWA, l’apartheid di genere si sviluppa in Afghanistan proprio da questi fatti drammatici ed è frutto di una violenza sistemica che scaturisce dalla drammatica sinergia tra fondamentalismo religioso, conflitti armati, corruzione dilagante negli organi preposti al governo di fatto del Paese, traffico di armi, droghe ed esseri umani, cambiamento climatico, crisi umanitarie, migrazioni forzate e terrorismo.

Ciò che avviene oggi nell’Afghanistan governato dal regime talebano è ancor più grave per la comunità internazionale in quanto si assiste ad una normalizzazione in atto della condizione di totale negazione dei diritti umani nei confronti del popolo afghano e in particolare delle donne, delle bambine e degli individui LGBTQI+.

Per questi motivi, plaudiamo all’impegno e alla leadership del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel riconoscimento e la condanna a livello internazionale del grave crimine di apartheid in un’ottica di genere, consolidando così per tutti gli individui nel mondo, indipendentemente dal genere, il principio di eguali diritti tra donne e uomini sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti Umani delle Nazioni Unite.

In conformità alle raccomandazioni dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council, riteniamo però che tale processo non possa essere disgiunto dalla necessità che gli Stati membri delle Nazioni Unite non riconoscano in nessun modo il governo di fatto dell’Afghanistan, mettano al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti, impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici, estromettano rappresentanti del governo di fatto da incontri della diplomazia internazionale e non li convochino alle riunioni delle Nazioni Unite. Azioni queste che legittimano un regime che continua a violare i diritti umani delle donne e gli obblighi legali internazionali dell’Afghanistan.

La proposta che presentiamo in allegato è stata redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)

Distinti saluti
C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane)

LETTERA del 17 dicembre 2024 di Arnold N. Pronto, segretario della VI Commissione dell’ONU che accusa ricevuta della documentazione inviata da CISDA

Letter to the UN for the recognition of gender apartheid as a crime against humanity

To the Sixth Commission

U.N. General Assembly

 

With this note C.I.S.D.A (Italian Committee Supporting Afghani Women) would like to contribute to the work of the Sixth Commission of the U.N. General Assembly on the Convention on Crimes against Humanity, asking that  the introduction of  the crime of “Gender Apartheid” could be  considered within the drafting of the Convention for the Prevention and Punishment of Crimes against Humanity.

We therefore send you our analysis and proposal for the definition of the crime of gender apartheid, hoping that it may be considered in the ways which are deemed appropriate . This proposal has a general scope, for any situation  in which it can be applicable, but it stems from the growing awareness of governments, international institutions, grassroots associations and activists that what is now happening in Afghanistan is a crime against humanity, whose nature is not yet fully recognized in existing Treaties and International Conventions.

The report of June 2024 by the Special Rapporteur on Afghanistan of the Human Rights  Council describes this country as the clearest case of a pervasive, methodic and institutionalized system of oppression and segregation of women and girls, where rules and policies deprive them of  their fundamental human rights  and violently punish them . C.I.S.D.A. is in contact with human rights activists in the country and they report severe mental depression in many women and a high number of suicides among them as the only way to escape a life of fear and reclusion.

We add our voice to the Special Rapporteur’s: we believe that including the crime of gender apartheid in the Convention for the Prevention and Punishment of Crimes against Humanity can support the international community in a  strong action to condemn and ostracize whoever – individuals, de facto governments, states or political regimes – creates a system of institutionalized gender oppression.

Since 1999, C.I.S.D.A. has worked together with activist organizations (the most important being R.A.W.A., Revolutionary Association of Afghani Women) who in hiding within Afghanistan have developed for decades projects supporting women, children and civil population in need. These activists combine their humanitarian work with the political denunciation of the severe violation of human rights and of crimes committed in Afghanistan; now by the Taliban and, before them, by fundamentalist groups and warlords who were in important social positions in previous governments of the Islamic Republic. Since the 1970s, regional and international powers have supported and financed criminals who have taken over control of the entire Afghani society for more than 40 years now, which has made it impossible for a lay and  democratic society to develop.

C.I.S.D.A and the women of R.A.W.A. believe that gender apartheid has developed in Afghanistan because of these dramatic events. We believe that it stems from the systemic violence resulting from the tragic combination of religious fundamentalism, armed conflicts, widespread corruption in the de facto government of the country, arms  drugs and human trafficking, climate change, humanitarian crises, forced migrations and terrorism.

What happens now in Taliban-run Afghanistan  is even more serious for the international community, because we are witnessing  the normalization of the  total deprivation of human rights of the Afghani people, women and LGBTQI+ individuals.

For all these reasons we praise the commitment and  leadership of the U.N. Human Rights Council to widen the Convention for the Prevention and Repression of Crimes against Humanity with the recognition and international condemnation of gender apartheid : in this way the principle of equal rights of women and men stated in the U.N. Universal Declaration of Human Rights will be enshrined for every individual in the world, irrespective of their gender.

In line with the recommendations of the Special Rapporteur for Afghanistan of the Human Rights Council, however, we believe that the introduction of the crime of gender apartheid cannot be disjointed from the necessity of UN State Members to not recognize in any way the de facto government of Afghanistan , take urgent steps to ban Taliban fundamentalism, prevent  friendly States  from funding and supplying weapons there, exclude the representatives of the de facto government from international diplomatic  relationships and not invite them to United Nation meetings. Doing this would legitimate a regime that keeps violating women human rights and the international legal obligations of Afghanistan.

  • We enclose our proposal for the definition of gender apartheid , which has been drafted thanks to the legal expertise of Ms Laura Guercio, Lawyer and Professor, currently SG Universities Network for Children in Armed Conflict, Member of the Council of the European Law Institute, OSCE Expert
  • Ms Paolina Massidda, International Criminal Lawyer specialised in gender crimes and crimes affecting children. Principal Counsel of the independent Office of Public Counsel for Victims (OPCV) at the ICC. Member of the Advisory Board of the UNETCHAC.

 

Yours sincerely

C.I.S.D.A.

 

 

LETTER dated December 17, 2024 from Arnold N. Pronto, Secretary of the UN Commission VI acknowledging receipt of the documentation sent by CISDA

The Crime of Gender Apartheid as Crime Against Humanity

Gender equality is, first and foremost, a human right. It implies that women, men, boys and girls of all classes and races participate as equals and have equal value.

From a legal standpoint, it is defined as the principle that all people, regardless of their gender, must have the same rights, duties, opportunities, and access to resources.
This principle is enshrined in various international conventions, including:

  • The Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW), adopted by the United Nations General Assembly in 1979. CEDAW is considered one of the fundamental treaties for the protection and promotion of women’s rights. Article 1 defines “discrimination against women” as any distinction, exclusion, or restriction based on sex that has the effect or purpose of impairing or nullifying the recognition, enjoyment, or exercise by women, regardless of their marital status, on the basis of equality with men, of human rights and fundamental freedoms in political, economic, social, cultural, civil, or any other field.
  • The European Convention of Human Rights signed in Rome in 1950, where article 14  states the prohibition of discrimination based also on sex, “ birth or any other condition” and secures   the enjoyment of the rights and freedoms set forth in this Convention to every person without distinction.
  • The Equal Remuneration Convention (ILO – Convention No. 100), adopted by the International Labour Organization (ILO) in 1951, which requires member states to ensure equal pay for work of equal value, without discrimination based on gender.

International conventions place a clear responsibility on States not only to legislate in favour of gender equality but also to adopt all necessary measures to eliminate de facto discrimination. This includes access to justice, the availability of effective remedies, and the possibility of obtaining adequate reparations and assurances of non-repetition.

Why is the codification of the crime of gender apartheid necessary?

The concept of “gender apartheid” is not yet codified in international law as a crime, and the legal recognition of said crime will address what is a major gap in international law.

The importance of recognizing and defining “gender apartheid” as a specific crime against humanity, distinct from the crime of apartheid enshrined in the Rome Statute, lies in several fundamental considerations related to the protection of human rights, international justice, and the fight against systematic discrimination.

The crime of apartheid, as defined in the Rome Statute of the International Criminal Court (article 7 (1) (j)), focuses on racial discrimination. However, the dynamics of gender-based discrimination have unique characteristics that require specific legal attention. Human rights violations based on gender, such as sexual violence, rape, denial of reproductive rights, and gender segregation, are not always adequately addressed under the simple notion of racial apartheid.

A crime of “gender apartheid” would recognize the extent and severity of gender-based discrimination, specifically addressing the systematic violations affecting girls, women and gender non-conforming individuals, in particular LGBTQI+ people.

Incorporating “gender apartheid” into the corpus of  crimes  against humanity would strengthen the international legal framework, enabling more effective investigation and prosecution of crimes based on gender discrimination. It will increase efforts to combat institutionalised regimes of systematic oppression and domination imposed on grounds of gender. Indeed, the legal recognition would recognise the unique type of victimisation and expand opportunities for victims to seek justice and for international institutions to take actions against States, governments or entities that use and perpetuate such systems of oppression. Furthermore, it would create a legal precedent that could be used to build case law and provide means to address new forms of gender discrimination emerging in the contemporary world.

For instance, in Afghanistan, the historical context of gender discrimination and the continuation of oppressive practices under recent regimes illustrate how current actions are part of a prolonged system of gender apartheid.

Proposed definition for the crime of Gender Apartheid as a crime against humanity

Gender apartheid means any act, policy, practice, or omission that, in a systematic and institutionalized  manner, is committed by an individual, a state, organization, entity or group, with the purpose or effect of establishing, maintaining, or perpetuating the domination of one gender over another, through institutionalized segregation, oppression, or discrimination in political, economic, social, cultural, educational, professional or any other area of public and private life”.

These acts include, but are not limited to:

  • a) The enactment of laws or policies that deny, limit, or reduce the fundamental rights of individuals based on their gender;
  • b) The use of physical or psychological violence, arbitrary detention, or any other form of coercion to impose the control of one gender over another;
  • c) The systematic segregation and limitation of access to resources, education, employment, or political participation based on gender;
  • d) The promotion of ideologies or practices that justify or legitimize the domination and/or oppression of one gender over another”.

Explanation of the Proposal

The definition of gender apartheid in the proposed formula—acts, policies, or practices aimed at perpetuating the domination of one gender over another—is consistent with the legal understanding of apartheid as defined by the International Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid (1973) and expanded upon in the Rome Statute (1998), which includes the crime of apartheid as a crime against humanity. These legal frameworks define apartheid as institutionalized domination and systematic oppression, typically based on race. The proposed gender-based expansion of this principle is justified, as gender discrimination has historically been a pervasive and institutionalized form of oppression.

Key elements in this definition are institutionalized segregation, oppression, and discrimination, which have been core features of historical apartheid regimes. In this context, gender apartheid reflects policies that systematically exclude individuals based on gender from full participation in social, economic, and political life, reinforcing structures of dominance.

The listed acts—such as discriminatory laws, the use of violence to impose control, and systematic segregation in access to resources—correspond to similar practices recognized in racial apartheid systems. Each of these practices can be seen in gender-discriminatory regimes, both historically and presently, such as the Taliban regime in Afghanistan, where women have been denied access to education, employment, and freedom of movement. Said actions, when committed in a systematic and institutionalized manner, bear striking resemblances to the practices of apartheid.

The proposal emphasizes that said acts may be committed not only by State actors but also by non-state actors, such as organized groups, which reflects a growing recognition in international law of the role that non-state actors can play in committing and perpetuating egregious violations of human rights. The inclusion of omissions as a form of criminal conduct—where authorities fail to act to prevent or punish gender-based discrimination or violence—further broadens the scope of accountability. This aligns with the jurisprudence from cases like Opuz v. Turkey (2009) and Talpis v. Italy (2017), where the European Court of Human Rights found that a State’s failure to protect women from domestic violence violated human rights.

The concept of gender apartheid can be situated within the broader framework of intersectionality, which examines how various forms of oppression—such as race, class, and gender—interact and compound each other. Legal scholars such as Catharine MacKinnon have long argued that the oppression of women is systematic and should be understood as a form of political subordination akin to apartheid. In this sense, the proposed formula builds on feminist legal theory, which views gender discrimination as a form of social and legal stratification.

Moreover, the proposal aligns with international legal trends toward broadening the scope of crimes against humanity to include gender-based crimes. For instance, the International Criminal Tribunal for Rwanda (ICTR) and the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) have recognized sexual violence as constituting both crimes against humanity and acts of genocide when systematically used as a tool of oppression. These precedents support the inclusion of systematic gender-based discrimination as a form of apartheid.

1.         SUBJECTS OF THE CRIME

  • Active Subject

The inclusion of both individuals and collective entities, such as States and organized groups, aligns with developments in international criminal law, which recognises the liability of  individuals for crimes against humanity, while also recognizing the role that institutions or entities may play in enabling and enforcing such crimes. This dual recognition allows for accountability across both individual and systematic levels. In gender apartheid, both political regimes and cultural or religious groups can exert significant control over societal norms, and this proposal allows for a nuanced approach to prosecuting crimes committed by such entities.

  • Passive Subject

The definition of the passive subject as being any group of people identified by their gender, including women and gender non-conforming individuals, reflects modern understandings of gender as a social construct. This is particularly important as it expands the protections beyond the traditional binary of men and women, addressing discrimination and oppression faced by the LGBTQI+ community, which has been systematically oppressed in various contexts, from restrictive laws on gender expression to violent attacks.

2.         CONDUCT

The conduct refers to deliberate actions, policies, practices, or omissions that institutionalize and perpetuate systematic discrimination and oppression based on gender. The conduct should aim at creating, maintaining, or strengthening a system of domination and/or oppression of one gender over another.

a) Element of the conduct

The conduct should be part of a continuous system of discrimination and/or oppression. Such conduct can manifest through the following acts:

  1. Discriminatory Laws and Policies:

    • Laws restricting civil and political rights, such as denying women or other gender groups the right to vote, run for office, or participate in public life. For example, laws that prevent women or gender non-conforming individuals from holding certain positions or entering specific professions.
    • Policies limiting access to education and training, including educational practices that discriminate based on gender, preventing women or gender non-conforming individuals from accessing education or specific fields of study.
    • Laws enforcing dress codes or behaviour norms based on gender, such as requiring women to cover parts of their bodies or prohibiting them from driving or traveling without a male escort.

The adoption of discriminatory laws and policies serve as clear examples of systematic and institutionalized forms of gender apartheid, aimed at controlling, segregating, and oppressing individuals based on gender. These laws and policies often reflect deep-seated societal norms and values, further entrenching gender inequalities in both public and private life. In particular,

  1. Discriminatory Economic and Labour Practices:

    • Practices limiting access to employment and economic resources, such as wage gaps between genders for equal work or the systematic exclusion of women or gender non-conforming individuals from specific industries.
    • Laws and practices preventing women or other gender groups from owning, inheriting, or controlling property and economic resources.
    • Gender-based labour segregation, which relegates a gender to lower-paying or less-respected jobs.
  1. Social and Cultural Control:

    • Enforcement of traditional gender roles, promoting norms that confine women or other gender groups to domestic roles, limiting their autonomy and self-determination. This could include social pressure for forced marriage or motherhood.
    • Gender-based violence as a tool of control, such as tolerance or promotion of domestic violence, female genital mutilation, or violent “correction” of gender non-conforming individuals.

Gender-based violence is a powerful tool used to enforce gender hierarchies and control women and gender non-conforming individuals. This violence can take many forms, including domestic violence, sexual assault, female genital mutilation (FGM), and so-called “corrective” violence against those who do not conform to traditional gender roles. In many cases, these acts of violence are tolerated, normalized, or even promoted within society, further entrenching the subordination of one gender over another. This type of violence is not just an expression of individual aggression but is often condoned by societal norms or practices that view women and gender minorities as inferior or in need of control. It represents a severe form of gender apartheid, where violence is systematically used to enforce gender subordination and deny individuals their right to safety, autonomy, and equality.

  1. Systemic Exclusion from Rights and Services:

    • Denial of access to essential healthcare services, including reproductive health, sexually transmitted disease prevention, and mental health services.
    • Exclusion from justice systems that deny women or gender non-conforming individuals the opportunity to seek legal redress for crimes or rights violations, such as courts not recognizing their testimony or applying stricter proof standards for gender-based crimes.
    • Deprivation of personal freedom, including restrictions on movement, political organization, and participation in protests.

Systemic exclusion from essential rights and services is a key pillar of gender apartheid, where individuals—particularly women and gender non-conforming persons—are deliberately denied access to critical services and legal protections. These exclusions reinforce and sustain gender inequality by making it difficult or impossible for marginalized groups to live freely, access healthcare, seek justice, and participate fully in society. The following examples show three crucial areas where systemic exclusion manifests, namley healthcare, justice systems, and personal freedom.

  1. Propaganda and Hate Speech:

    • Promotion of ideologies that assert gender inferiority through media, propaganda, or political rhetoric, justifying discrimination, domination and /or oppression and spreading harmful stereotypes.
    • Normalization of gender discrimination, domination and/or oppression through education, popular culture, or official statements from political or religious leaders.

Propaganda and hate speech are powerful tools used to sustain gender apartheid by promoting ideologies that justify the subordination of one gender to another. Through the deliberate dissemination of harmful stereotypes, these tactics reinforce societal norms that legitimize gender-based discrimination and oppression. Such ideologies are often embedded in media, political rhetoric, education systems, and popular culture, fostering an environment where inequality is normalized and even celebrated. Propaganda and hate speech maintain gender apartheid through the promotion of gender inferiority and the normalization of gender discrimination.

b) Forms of the conduct

  • Direct imposition: the conduct may be directly imposed through legal or physical threat or force, such as enforcing discriminatory laws or using violence to uphold gender norms.
  • Institutional support or tolerance: the lack of action to repress discriminatory practices or policies may also integrate the conduct when a state, government or institution indirectly support gender discrimination, domination and/or oppression.
  • Systemic control: the conduct can be part of a systemic control framework that includes not only laws and policies but also selective enforcement, media control, and education to maintain gender superiority, domination and/or oppression.

c) Impact of the conduct

The goal of gender apartheid is to maintain and reinforce a gender hierarchy that perpetuates inequality and oppression so that individuals of a certain gender remain disadvantaged in all aspects of social, political, and economic life. The effects of the acts include:

  • Creation of a system of chronic structural inequality, causing psychological, physical, economic, and social harm to the oppressed group.
  • Perpetuation of gender stereotypes, which justify subordination and discrimination, causing  a long-term cycle of disempowerment and exclusion.

The conduct of gender apartheid has profound and far-reaching consequences on society, with its ultimate aim being the reinforcement and maintenance of a rigid gender hierarchy. This system ensures that certain genders, typically women and gender non-conforming individuals, remain disadvantaged in all areas of life—socially, politically, and economically. The impacts of this conduct are devastating, entrenching inequality and perpetuating cycles of oppression and disempowerment. In particular:

1.         Chronic Structural Inequality

Gender apartheid creates a system of chronic structural inequality that manifests in various forms of harm—psychological, physical, economic, and social. This structural inequality is woven into the fabric of society, ensuring that women and gender minorities face systemic barriers to opportunities and resources, while the dominant gender group (typically men) benefits from sustained privilege and power.

  • Psychological Harm: The constant reinforcement of inferiority and subordination causes long-term psychological damage.
  • Physical Harm: Gender apartheid also directly results in physical harm, particularly through the use of violence to enforce gender norms and maintain control. This can include domestic violence, honour killings, forced marriages, female genital mutilation, and physical punishment for gender non-conformity.
  • Economic Harm: Economic disempowerment is a critical component of gender apartheid, where women and gender minorities are systematically denied access to education, employment, and economic resources.
  • Social Harm: Gender apartheid fosters exclusion from public life, with women and gender minorities often barred from political participation, decision-making roles, and leadership positions. This exclusion leads to the marginalization of entire groups from societal progress and development.

2.         Long-Term Cycle of Disempowerment and Exclusion

The conduct of gender apartheid establishes a long-term cycle of disempowerment and exclusion, in which marginalized genders are systematically denied opportunities to escape oppression. Each generation inherits and perpetuates the inequality and stereotypes of the previous one, reinforcing the idea that the current gender hierarchy is natural or unchangeable.

  • Intergenerational Impact: Gender apartheid affects not only those living under it but also future generations.
  • Social and Economic Development: The long-term exclusion of women and gender minorities from critical roles in society also impedes overall social and economic development.. Studies have shown that increasing gender equality leads to greater economic prosperity, as more individuals are able to participate fully in the workforce and contribute to societal advancement.

 

  1. SUBJECTIVE ELEMENT: INTENT AND AWARENESS

a) Mens Rea (Intent)

The subjective element of the crime of gender apartheid goes beyond mere intent to discriminate. It involves an awareness and acceptance of the gravity and systematic nature of the discrimination, with the intention to maintain or strengthen the subordination of a group of people based on their gender. This means a conscious will to dominate, control, or subjugate a specific group based on gender. Typically, this involves maintaining a social and political structure that perpetuates the superiority of one gender—often male over female—through laws, policies, or practices that place one gender in a subordinated or marginalized position, depriving them of fundamental rights and opportunities.

Perpetrators must be aware that their actions or policies will result in discrimination, domination or oppression, and suffering of a group of people based on gender. Even if it is not the primary intent, the perpetrators must accept the resulting discrimination and inequality as inevitable or acceptable.

Therefore, mens rea, or subjective element, involves a specific awareness and acceptance of the gravity and systemic nature of the discrimination, with the intention to maintain or reinforce the subordination of a gender-based group.

b) Proof of the Subjective Element

To establish the subjective element in a judicial context, various forms of evidence can be used, including:

  • Official documentation: Laws, regulations, decrees, and official policies that explicitly or implicitly demonstrate the intention to perpetuate gender discrimination. These documents can serve as direct evidence of the intent to create and/or maintain a discriminatory system.
  • Public statements: Speeches, declarations, or other communicative acts by the perpetrators that express the intention to sustain a system of gender supremacy. These statements can highlight the perpetrator’s awareness of the effects of their actions and their deliberate intent to continue such practices.
  • Institutional practices: Evidence that state institutions or other organizations consistently implement discriminatory practices against a specific gender group. This can include records of how policies are applied in practice, demonstrating a systematic approach to gender-based exclusion and inequality.

 

Proposal by C.I.S.D.A. (Italian Coordination for the Support of Afghan Women) sent to the Sixth Commission of the General Assembly of the United Nations with the letter that you can read here, drafted with the help of the legal experts :

  • Ms Laura Guercio, Lawyer and Professor, currently SG Universities Network for Children in Armed Conflict, Member of the Council of the European Law Institute, OSCE Expert
  • Ms Paolina Massidda, International Criminal Lawyer specialised in gender crimes and crimes affecting children. Principal Counsel of the independent Office of Public Counsel for Victims (OPCV) at the ICC. Member of the Advisory Board of the UNETCHAC.

Afghanistan, Shakiba: “I Talebani hanno paura delle donne”

Articolo pubblicato da Luce il 30 ottobre 2024

Shakiba, esponente della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa), non ha dubbi: “La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani, il 15 agosto 2021, è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce“. L’attivista torna quindi a puntare i riflettori su una situazione, quella femminile in Afghanistan, che definire drammatica è riduttivo.

Shakiba, di cui non conosciamo il cognome e l’aspetto per questioni di sicurezza, è stata intervistata dall’agenzia Dire dopo la sua partecipazione a un panel nell’ambito del Festival Sabir a Roma, dedicato alla campagna internazionale che chiedere alle Nazioni Unite di aggiungere il reato di apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’attivista spiega le ragioni per cui l’Afghanistan è tra i Paesi simbolo per testimoniare la gravità di questo reato: “Alle donne è stato portato via tutto: il loro lavoro, la loro professione, la possibilità di accedere alle università e di andare a scuola. Non possono neanche andare nei parchi o nei bagni pubblici e devono viaggiare solo se accompagnate da un familiare maschio”, afferma.

Vietato parlare ad alta voce

L’ultimo affondo ai diritti femminili, già ridotti all’osso, è stata la dichiarazione del ministro per la Promozione delle virtù e la prevenzione dei vizi, Mohammad Khalid Hanafi, secondo cui alle donne è vietato recitare ad alta voce preghiere o versetti del Corano in casa, davanti ad altre donne adulte. “Se non possono pregare ad alta voce – ha detto il politico – come possiamo pensare che possano cantare?”. L’applicazione delle nuove norme, ha chiarito il ministro, “sarà implementata gradualmente”. Affermazioni che hanno scatenato una nuova ondata di critiche e polemiche a livello internazionale, soprattutto da associazioni per i diritti umani. Sebbene il ministro si riferisca alla preghiera, la sensazione è che il provvedimento si sommi alle disposizioni di agosto, secondo cui le donne non possono parlare ad alta voce in pubblico e mostrare il viso fuori delle mura domestiche.

L’emittente televisiva Amu Tv cita la testimonianza di Samira, un’ostetrica di Herat, secondo cui “negli ultimi mesi i controlli da parte dei talebani si sono intensificati. Non ci permettono di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”. Inoltre, alle donne è consentito studiare solo fino ai 12 anni. Un’altra testata locale, Tolo News, riporta i commenti seguiti alle dichiarazioni di Hanafi da parte di alcuni teologi che incoraggiano, invece, il governo di Kabul a permettere alle donne di studiare, evidenziando che il Corano lo consente, e che andrebbe a beneficio dell’intera società. Il discorso dell’esponente di governo, inoltre, è stato diffuso in formato audio perché la scorsa settimana il ministero ha adottato un decreto che vieta la trasmissione televisiva di immagini di esseri umani.

Le donne afghane protestano contro i talebani al potere

Le prime a resistere e a scendere in piazza contro i talebani

Shakiba riferisce di una realtà in cui “le donne che hanno provato a resistere alle decisioni dei talebani sono state torturate, arrestate, incarcerate, persino uccise. Ci sono così tante storie di donne picchiate a morte o scomparse. Coloro che avevano impieghi in polizia, nelle istituzioni di governo o all’interno delle ong sono state arrestate e spesso uccise segretamente. Le famiglie non hanno mai riavuto i corpi”. Questo ha costretto moltissime persone a lasciare il Paese, “soprattutto le donne – prosegue l’esponente di Rawa – perché non si può vivere in un paese guidato da fondamentalisti contrari al progresso, ai diritti umani e alla pace”. L’accanimento dei talebani contro le donne, secondo Shakiba, dipende dal fatto che “sono state le prime a resistere e scendere in piazza a Kabul per protestare contro il loro ritorno”. E spiega: “Nei 20 anni precedenti, avevano visto i talebani bombardare le case della gente comune e farsi esplodere negli ospedali, nelle scuole, o nei luoghi frequentati da donne e bambini. Le afghane sanno che i talebani hanno paura di loro, delle loro proteste, della loro istruzione, della loro coscienza politica”.

Le reponsabilità occidentali

L’esponente della Rawa cita anche le responsabilità della presenza Nato a guida americana in Afghanistan: “Dopo 20 anni l’Occidente ha deluso gli afghani perché ha lasciato che i talebani tornassero al potere. Gli Stati Uniti hanno invaso e occupato il mio Paese con la scusa di combattere il fondamentalismo terrorista e liberare le donne, ma non hanno mai smesso di dare armi e milioni di dollari al peggior gruppo fondamentalista al mondo. Perché – si chiede Shakiba –. Washington e i suoi alleati non hanno sostenuto le forze democratiche e progressiste che davvero volevano il cambiamento? È stata una scelta politica sbagliata, che dura da oltre 40 anni”.

Pertanto, l’attivista denuncia: “Si parla di portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale, bene, ma non deve restare su carta, deve essere fatto”. All’Europa e soprattutto all’Italia – che ad agosto ha nominato Sabrina Ugolino nuova ambasciatrice d’Italia in Afghanistan, che sarà operativa da Doha – chiede: “Supportate i movimenti come il nostro, ma anche tutti i movimenti politici di donne che stanno soffrendo le violenze, come quelle in Siria, facendo pressioni sui vostri governi e politici affinché taglino ogni sostegno ai fondamentalisti”. Infine, un cenno alla componente maschile della società afghana: “Ci sono tanti uomini dalla mentalità aperta, istruiti, democratici, che si oppongono all’oppressione subita dalle donne. Attraverso i social media si sono attivati in tanti modi, perché pubblicamente rischiano troppo: ai cortei indetti dalle donne, i talebani infatti sparano in aria per disperderle, ma se vedono degli uomini, gli sparano contro. Pensiamo che dovrebbero unirsi e alzare la voce tutti insieme. Se l’Afghanistan vuole cambiare, dobbiamo sollevarci tutti“.