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Benhaz e Sara

Pubblicazione: 4 Gennaio 2024

Ho 22 anni e vengo da Ghor, nella parte occidentale del paese, vicino ad Herat. All’inizio sono stata fortunata, più di tante altre. Mi sono sposata a 16 anni, lui ne aveva 20. Un uomo gentile, premuroso, ci volevamo molto bene. Non so come sia possibile che sia nato in una famiglia come quella. Siamo andati a vivere con loro. Mio marito mi ha sempre protetta, litigava spesso, soprattutto col fratello. Un anno fa, mio marito è morto.
Mi ha lasciata sola con le mie due bambine, adesso hanno 2 e 4 anni. Anzi, magari fossimo sole, noi tre. Essere vedova qui non è facile. Non ho soldi, non ho lavoro, non sono in grado di mantenerci. Una donna qui non è niente. Ci vuole un mahram, un uomo che si occupi di lei. La famiglia di mio marito ha deciso per me: devo sposare mio cognato che ha già due mogli e molti figli. Secondo la tradizione.
Così tutto sarebbe a posto. Non per me però. Io non voglio. Non mi piace, è un uomo violento, so bene come si comporta con le mogli. Così sono andata da mio padre. Ma lui non è disposto a prenderci con sé. Non riesce nemmeno a far mangiare gli altri figli, non può accollarsi anche noi. Mi ha rimandata a casa dei suoceri, devo fare come vogliono loro , è l’unica soluzione per vivere, dice. Ma qui, ogni volta che rifiuto di sposarlo, mio cognato mi picchia. Potrei essere libera, certo, scappare, andarmene. Ma dovrei dire addio alle mie figlie. Se non le posso mantenere o se mi sposo con qualcun altro devo rinunciare a loro.
Ecco, è questo il ricatto. Essere madre ti rende fragile. Quando non ce la faccio più torno da mio padre e lui mi rimanda indietro. E tutto ricomincia. Ogni tanto sto male, mi agito molto e perdo i sensi. Questa situazione non può durare ancora per molto. Sono giovane e vorrei tanto una vita tranquilla, crescere le bambine e mandarle a scuola… sì lo vorrei proprio.

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Il ricatto è chiaro: o Benhaz sposerà un cognato o perderà le figlie, non potrà vederle mai più. Il sostegno di Annalisa le permette di fare un passo importante. Finalmente il padre, ora che può mantenersi, le permette di abitare con lui insieme con le figlie. La famiglia del marito non demorde e Benhaz cerca disperatamente un lavoro.
Se dimostrerà di poterle mantenere forse la Corte le darà il permesso di tenerle con sé.
Può solo fare la cuoca o la donna di servizio, non ha istruzione, ma il padre non vuole e anche questo è un ostacolo. Non si lascia scoraggiare e può curare la sua depressione. Ora le figlie abitano con lei ma la vita a casa dei suoi genitori non è facile. Non le perdonano la sua scelta di lasciare la casa del marito. Riesce a mandare a scuola le figlie.
Questo è un grande successo. Sara, la maggiore, è molto brava e decisa a costruirsi una vita migliore. Così le abbiamo trovato uno sponsor, Enrico, che la sostiene nel suo percorso scolastico e le permette di integrare la scarsa qualità dell’istruzione con altri corsi. Benhaz è molto fiera di lei e della sorella, il loro entusiasmo per lo studio e per la vita l’aiuta a combattere i suoi problemi psicologici e a credere nel futuro.

Aggiornamento gennaio 2023

Benhaz

Benhaz manda tutto il suo amore al suo sponsor. Dice che il suo sponsor è la sua migliore amica, un’amica che è nella sua vita e che le sta accanto in ogni momento difficile. È orgogliosa della amica e spera che rimanga con lei. Ecco cosa dice:

“Mia figlia (v. Sara) è molto impegnata a studiare anche se non abbiamo nessuna speranza che le scuole possano riaprire nel prossimo futuro. Recentemente avevo deciso di mandarla a un corso di parrucchiera per poter lavorare in un salone, un mestiere che aveva delle possibilità per le ragazze, ma, sfortunatamente anche i parrucchieri sono spariti sotto le grinfie dei talebani. Prego cinque volte al giorno per il collasso del regime dei talebani. Spero che possa arrivare un buon regime che riapra al più presto le scuole per le ragazze.”

Chiede di accompagnare ancora la sua vita perché ha molto bisogno di aiuto.

Sara

Sara ringrazia tanto chi la sta sostenendo da lontano e gli manda tutto il suo affetto, non dimentica mai di pregare perché la sua vita sia felice. Dice Sara: “I talebani non potranno mai sbarrare completamente le porte all’educazione delle donne. Quando loro chiudono una porta, noi troviamo una nuova strada e continuiamo a studiare e imparare nuove cose per renderci sempre più forti e capaci e per resistere, con fermezza e con le nostre armi, all’oscurità. Oltre allo studio per potenziare le mie capacità seguo un corso di sartoria e uno di inglese. So bene che stiamo vivendo una situazione terribile e insopportabile per ogni donna ma noi facciamo del nostro meglio per andare avanti e non farci schiacciare.” Chiede di non dimenticarla e di continuate ad aiutarla come ha sempre fatto, perché per lei è indispensabile.

Aggiornamento gennaio 2024

Behnaz dice: “Io, come migliaia di altre madri afgane, assisto alla morte dei sogni delle mie figlie. Non hanno futuro, e temo che se ne stiano con le mani in mano a casa. Le mando a imparare la sartoria da uno dei nostri vicini, ma ogni giorno si scoraggiano di più. Una delle mie figlie, che aveva una grande passione per diventare avvocato, ora soffre di ansia ed emicrania a causa dell’angoscia. Anche io e la mia famiglia siamo angosciati, ma purtroppo non possiamo fare molto. Qualche tempo fa, l’ho portata in una clinica che forniva consulenza e servizi psicologici gratuiti. Tuttavia, quando ci siamo recati lì, i talebani l’avevano chiusa. I medici e i farmaci sono molto costosi e mi rattrista il fatto di non poter sempre portare mia figlia dal medico. I medici mi consigliano di cercare di renderla felice, ma la povertà e l’angoscia per aver dovuto abbandonare gli studi ci impediscono di essere felici. Questa volta, con l’aiuto della mia gentile sponsor, sono riuscita a procurarmi dei vestiti e delle medicine, e sono infinitamente grata alla mia generosa sponsor per aver aiutato me e i miei figli”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

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