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Deba

Pubblicazione: 1 Gennaio 2019

Mia figlia Deba ha adesso 17 anni. Ne aveva solo cinque quando suo padre è morto.
Mio marito è stato ucciso dai talebani. Da allora le cose non sono andate bene. La vita di una vedova è molto difficile qui.
Viviamo, io e due figlie, nella casa di mio cognato, qui a Kabul. Ci affitta una stanza in casa sua ma non ha mezzi per mantenere anche noi. Così cerchiamo di arrangiarci. Io vado in giro per il quartiere, raccolgo i panni sporchi e li lavo. In questo modo posso pagare la stanza e la nostra sopravvivenza. Deba ha cercato in tutti i modi di aiutarmi ma lo zio non le permette di uscire di casa per lavorare con me o per trovare qualcos’altro che ci sostenga. Non le permette nemmeno di studiare.
È prigioniera.
Ha sofferto molto per questa clausura e per il comportamento violento dello zio e adesso ha dei grossi problemi psicologici. Spesso, in casa, per strada, dovunque si trovi, cade per terra, grida, piange. Sono due anni che ha queste crisi. Dovrebbe essere curata e prendere delle medicine ma io non posso permettermelo e non abbiamo parenti che ci possano aiutare. Devo fare qualcosa per Deba, questo me lo dico ogni giorno.
Ma cosa? Pregare, certo, questo lo faccio. E mendicare per le strade di Kabul, come molte altre vedove nelle mie condizioni. È l’unico modo per trovare i soldi per le cure di cui mia figlia ha bisogno. Ma sono ancora giovane e mi vergogno. Chiedere i soldi per la strada mi fa sentire senza dignità e poi gli uomini non ti trattano bene.
Se Deba stesse meglio, se avessimo un aiuto, potrebbe iniziare qualche lavoretto a casa e le cose andrebbero meglio. È questo il mio pensiero ogni mattina quando mi sveglio.

Aggiornamenti

Quando Deba entra nel progetto, è sull’orlo della follia, le sue condizioni sono gravi.
Sono Donatella, Monica e Luciana a prendersi cura di lei. La madre la porta dal medico che le prescrive delle medicine e la vuole rivedere regolarmente. La cura sarà lunga.
Ora possono mangiare meglio, aver cura di loro stesse e far curare Deba. Vivono in una stanza più grande e comoda.
Poi, il testimone della staffetta di solidarietà passa a Rachele che da molti anni le sta accanto con il suo aiuto. La vittoria più grande è che Deba riprende a studiare.
È una delle studentesse più brillanti della scuola e passa gli esami con ottimi voti. La loro situazione purtroppo è ultimamente peggiorata e, senza l’aiuto di Rachele, non ce la farebbero a sopravvivere. La madre ha problemi di salute e, data la sua debolezza, ha perso il lavoro e non ha più la forza per pulire e lavare nelle case altrui. Deba non si fida a fare il lavoro di sua madre.
I suoi problemi psicologici non la rendono una buona candidata come donna di servizio e ha paura che gli uomini di casa approfittino di lei e della sua malattia.
Cerca di continuare a studiare, la speranza è nutrita dalla vicinanza di Rachele. Vorrebbe poter trovare il lavoro migliore e adatto a lei.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

 

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