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Suhaila, Nangarhar

Pubblicazione: 1 Gennaio 2019

Sono nata in una famiglia povera, sette sorelle e nessun fratello. Mio padre era un lavoratore a giornata e lavorava giorno e notte per poterci procurare il cibo.
Avevo capito che, a quel tempo, era una vergogna per una donna lavorare nelle case di altre persone ma mia madre lo faceva lo stesso, all’insaputa di mio padre, in una casa lontana, dove era difficile che si venisse a sapere. Spesso ci portava vestiti vecchi, scarpe consumate e pane secco e altre cose così. Mi ricordo che mio padre era molto violento ma si impegnava giorno e notte per noi. Naturalmente questa era la vita di tutti in quell’area (Chitral- Pakistan).
Anche solo parlare dell’educazione delle ragazze o mandarle fuori di casa per andare a scuola era proibito. Come migliaia di altre ragazze della mia età, i miei genitori hanno deciso il mio destino e mi hanno data in sposa, in cambio di qualche merce, non mi ricordo nemmeno cosa. Non mi ricordo quanto valevo per loro. Io sono la vittima di questa oscena usanza.

Quando mi sono sposata e sono andata nella casa di mio marito io non sapevo assolutamente niente dei rapporti tra marito e moglie. Spesso mio marito dava retta ai suoi genitori che mi accusavano e mi picchiava senza nessuna ragione. Il lavoro era tutto sulle mie spalle. Dovevo occuparmi delle mucche da latte, cucinare, lavare piatti e vestiti di tutta la famiglia, andare a prendere l’acqua, pulire la casa e un grande cortile, costruire case di fango e così via.

La mia prima figlia è nata quando avevo 20 anni. Mio marito non c’era. Era andato a lavorare in un’altra provincia, lontano, e veniva a trovarci una volta ogni due mesi. Durante la sua assenza ho avuto dei giorni molto difficili. Ogni membro della sua famiglia era terribilmente crudele con me.
Mi portavano via la mia bambina e la chiudevano nella loro stanza fino che, a forza di piangere, restava senza fiato. Sono stata picchiata da mia cognata e da mio cognato spesso perché, ad esempio, non avevo preparato in tempo il cibo. Il mio naso è rotto e ho avuto profonde ferite in tutto il corpo, di cui ho ancora le cicatrici.

Dopo un po’ di tempo siamo ritornati nel Kunar, in Afghanistan, e sono nati altri figli, tutte femmine. La mia vita è stata sempre difficile ma il periodo peggiore arriva ora, quando mio marito viene operato per un tumore al cervello e rimane cieco. Fino a quel momento ero stata responsabile della famiglia, essendo madre e anche padre per i miei figli. Vivevamo e lavoravamo in una fattoria e coltivavamo la terra, tutti insieme, con le mie figlie che mi aiutavano.
Questa era l’unica fonte di sopravvivenza per noi. Ho sempre immaginato per le mie figlie un futuro brillante e luminoso, avrei voluto dargli tutto quello di cui avevano bisogno, le necessità primarie per vivere, la sicurezza, la salute, l’educazione.
Purtroppo non sono mai riuscita a mandarle a scuola. Quattro di loro si sono sposate ragazzine, come me. Recentemente il padrone della terra ci ha cacciato via dicendo che eravamo tutte donne e non c’era un uomo che fosse responsabile di noi nel lavoro. Non voleva affidare la sua terra a delle donne.
Adesso vuole sposare una delle miei figlie ma io non sono d’accordo, non voglio, soprattutto perché è molto più vecchio di lei. So che i figli che ha avuto dalla prima moglie sono più grandi di mia figlia. Non voglio che la mia piccola diventi una vittima di violenza come me.

Recentemente mio marito è morto di Covid. Io e le mie tre figlie siamo rimaste sole.

Ho cercato in tutti i modi un lavoro ma non è facile per una donna sola con tre figlie. Ho dovuto scappare da alcuni luoghi di lavoro per le minacce e i pericoli che ci circondavano.

Tutto quello che desidero è che le mie figlie possano studiare e costruirsi una vita sicura e libera.

Per me non è affatto una vergogna lavorare, ma devo trovare un lavoro che possa essere sicuro senza minacce o pericoli. In una situazione come la mia, gli uomini si sentono liberi di approfittare di noi ed è molto difficile difendersi, siamo 4 donne.

Quando ero giovane ero una donna molto forte, una contadina e lavoravo sodo, ma ora sono diventata più vecchia e debole e la mia difficile vita mi ha consumato il corpo e l’anima. Sono diventata incapace di procurare sicurezza e rifugio per i mei figli e per questo ho bisogno di aiuto.

Aggiornamenti

L’aiuto immediato le permetterà di vivere più tranquilla e rilassarsi e Hawca cercherà di trovare un lavoro per la famiglia in un posto sicuro e lontano da pericoli di violenza.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

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