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Hayra, Bamjan

Pubblicazione: 1 Gennaio 2019

Ho 45 anni e sono di Bamjan. Sono stati i bombardamenti americani sul nostro paese, nel 2001, a portar via i piedi a mio marito. Gli hanno danneggiato gravemente anche le gambe e non può più camminare. Si sente inutile e ha sempre bisogno di medicine.
Da allora sono io a mantenere la famiglia. Faccio il pane per il mio quartiere, il nan, è molto buono. Ma i soldi se ne vanno quasi tutti per le cure di mio marito.
Non ne ho più abbastanza per mandare a scuola le mie due figlie.
Ho dovuto ritirarle, con la morte nel cuore. So bene che l’istruzione è la sola porta che hanno per entrare in un futuro migliore. Mi sento in colpa verso di loro, vorrebbero tanto andare a scuola. E invece devono aiutarmi nel lavoro, da sola non ce la faccio. Sono molto stanca di questa vita, a volte sono disperata e mi viene il pensiero di farla finita.
Ma poi vedo il sorriso delle mie ragazze e dimentico tutta la fatica. Avrei bisogno di un aiuto perché potessero finire i loro studi. Vorrei vederle ogni giorno con i libri sotto braccio, avviarsi verso il loro futuro, migliore del mio. Ne sarei davvero felice, nonostante tutto.

Aggiornamenti

La speranza ritorna con l’aiuto di Christiane che la segue per molti anni. Da sola non ce la farebbe, con il pane guadagna due dollari al giorno. Non può cercare un lavoro lontano da casa per non lasciare solo il marito disabile. Le figlie ora possono tornare a scuola, ’per noi donne, l’unica strada verso la libertà’ così dice Hayra.
È molto orgogliosa dell’aiuto di Christiane. La sua vita continua a essere difficile. Prova a vendere anche uova bollite perché il prezzo della farina è salito e guadagna troppo poco con il pane. Ha spesso momenti di sconforto ma continua a combattere giorno dopo giorno per il futuro delle sue figlie.
Poi, decidono una svolta nella loro vita. Hayra lascia Kabul con i figli e il marito disabile e torna nella sua città natale, Bamyan. Ecco come lo racconta: ‘Quando abbiamo preso la decisione di lasciare Kabul abbiamo condiviso il progetto con i nostri figli. All’inizio erano molto tristi di partire. Ma io gli ho spiegato che era necessario, per i problemi economici della nostra vita, per la disabilità del padre e, soprattutto, per le terribili condizioni di sicurezza della capitale. Eravamo molto spaventati dai quotidiani attentati.
Così, alla fine, hanno capito. Adesso, qui a Bamyan, siamo felici.
Viviamo vicino ai nostri parenti e lontano da Talebani e Isis e dai loro continui sanguinosi attacchi. Ho trovato anche qui un lavoro simile a quello che avevo a Kabul. E anche se quello che guadagno non è sufficiente, è poco, io sono ok moralmente, affronto le difficoltà con l’aiuto della mia sponsor e sorella e non sono preoccupata per il futuro dei miei figli.’
Ma la zona di Bamyan è una delle più povere del paese anche se relativamente sicura. Le condizioni economiche sono difficili. Anche qui cuoce il pane ma lo fanno tutti e non ha i mezzi per proporsi agli alberghi. Sta cercando un lavoro migliore. Ma intanto i figli continuano la scuola e questo è la parte più importante del suo sogno.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

 

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