Solidarietà con donne che resistono in paesi illiberali
29 Agosto 2024
15 mucche. È questo il prezzo della sua vita. Ha 12 anni Zahida, venduta in moglie a un uomo più vecchio di suo padre. Vive in Nuristan, un paese di foreste e montagne, dove si fermarono i soldati di Alessandro Magno, dove riti e religione animisti sono stati cancellati, alla fine dell’800, dall’islamizzazione.
Qui, la gente lavora nei campi. Soprattutto le donne, sulla propria terra o su quella degli altri. Un uomo si sposa per questo. Anche il marito di Zahida. Vuole una donna forte che possa lavorare senza tregua, al suo posto. Subito dopo il matrimonio obbligano la giovanissima moglie a lavorare fino allo stremo delle forze.
Del resto l’hanno pagata bene. Zahida non sa niente, né dei rapporti tra marito e moglie, né del lavoro che il marito pretende da lei. È ancora una bambina, magra, piccola, stupefatta. Non vuole andare nei campi a lavorare, si distrae, vuole giocare. Ha paura. Il marito si infuria. Ci pensa lui a farle capire come stanno le cose. La picchia e la insulta tutti i giorni. Ha una figlia, la mamma bambina. Un altro lo perde per le botte del marito.
Quando il marito muore, Zahida sospira di sollievo. Pensa che la sua vita sarà più facile. I beni del marito saranno ora suoi e potrà vivere bene. Ma non è così. I cognati si prendono tutto, pretendendo di aver fatto un prestito al fratello e di aver pagato per le 15 mucche che lei è costata. Zahida diventa proprietà dei cognati. Sta peggio di prima.
Dopo un anno la sbattono fuori di casa. Non sa dove andare, torna dai suoi. Vecchi, deboli, poverissimi. Così, è di nuovo nei campi, altrui, questa volta. È il solo sostegno della famiglia, dei genitori e della figlia di 6 anni, e deve lavorare sodo. La sua vita è durissima. Il suo padrone la tratta come una schiava, ricattandola con i pochi soldi che le dà. Anche d’inverno, quando i contadini possono riposare, non ha tregua. Spazza la neve dal tetto, lava i panni della famiglia con l’acqua gelata, sgobba tutto il giorno per loro. Si sente già vecchia a 23 anni.
Zahida ha bisogno di aiuto, per alzare la testa, per respirare, finalmente, dopo 11 anni, per riposare, per curare la sua fragile salute, per stare con la sua bambina, con la certezza di poterla sfamare e magari mandare a scuola, verso un destino migliore. Lucia e Mirella, da qualche mese, hanno cura di lei e la speranza ritorna. Potranno mangiare meglio, tutti, e la bimba potrà andare a scuola.
Intorno a Zahida, nel suo quartiere, le donne si organizzano. Lei adesso ha imparato a leggere e a scrivere in dari, con l’aiuto di una vicina. È felice per questo, perché così potrà insegnare a sua figlia quello che ha imparato e sostenerla nei suoi studi, che ormai può seguire solo a casa. Ci dice Zahida:
“Con il drammatico cambiamento della nostra situazione ho deciso di partecipare a un corso di sartoria e cucito. Lo sto seguendo da due mesi, regolarmente, e ho imparato a cucire vestiti. La mia insegnante dice che se avessi una macchina da cucire mia a casa, potrei imparare più velocemente e usarla per cominciare a lavorare.” È questo il suo programma. Ringrazia tanto le sue sponsor e dice che la presenza di queste persone nella sua vita l’ha cambiata completamente.
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Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.
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