Dove sono le donne afghane?
25 Novembre 2024
L’uguaglianza di genere è, prima di tutto, un diritto umano. Implica che donne, uomini, ragazzi e ragazze di tutte le classi e razze partecipino come pari e abbiano pari valore.
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ToggleDa un punto di vista legale, è definita come il principio secondo cui tutte le persone, indipendentemente dal loro genere, devono avere gli stessi diritti, doveri, opportunità e accesso alle risorse.
Questo principio è sancito in varie convenzioni internazionali, tra cui:
Le convenzioni internazionali attribuiscono agli Stati una chiara responsabilità non solo di legiferare a favore dell’uguaglianza di genere, ma anche di adottare tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione di fatto. Ciò include l’accesso alla giustizia, la disponibilità di rimedi efficaci e la possibilità di ottenere adeguate riparazioni e garanzie di non ripetizione.
Il concetto di “apartheid di genere” non è ancora codificato nel diritto internazionale come crimine e il riconoscimento legale di tale crimine affronterà quella che è una lacuna importante nel diritto internazionale.
L’importanza di riconoscere e definire “apartheid di genere” come uno specifico crimine contro l’umanità, distinto dal crimine di apartheid sancito nello Statuto di Roma, risiede in diverse considerazioni fondamentali relative alla protezione dei diritti umani, alla giustizia internazionale e alla lotta contro la discriminazione sistematica.
Il crimine di apartheid, come definito nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (articolo 7 (1) (j)), si concentra sulla discriminazione razziale. Tuttavia, le dinamiche della discriminazione di genere hanno caratteristiche uniche che richiedono un’attenzione legale specifica. Le violazioni dei diritti umani basate sul genere, come la violenza sessuale, lo stupro, la negazione dei diritti riproduttivi e la segregazione di genere, non sono sempre adeguatamente affrontate sotto la semplice nozione di apartheid razziale.
Un crimine di “apartheid di genere” riconoscerebbe l’entità e la gravità della discriminazione di genere, affrontando specificamente le violazioni sistematiche che colpiscono ragazze, donne e individui non conformi al genere, in particolare le persone LGBTQI+.
Incorporare “apartheid di genere” nel corpus dei crimini contro l’umanità rafforzerebbe il quadro giuridico internazionale, consentendo indagini e azioni penali più efficaci per i crimini basati sulla discriminazione di genere. Aumenterà gli sforzi per combattere i regimi istituzionalizzati di oppressione e dominio sistematici imposti per motivi di genere. In effetti, il riconoscimento legale riconoscerebbe il tipo unico di vittimizzazione e amplierebbe le opportunità per le vittime di cercare giustizia e per le istituzioni internazionali di intraprendere azioni contro Stati, governi o entità che utilizzano e perpetuano tali sistemi di oppressione. Inoltre, creerebbe un precedente legale che potrebbe essere utilizzato per costruire giurisprudenza e fornire mezzi per affrontare le nuove forme di discriminazione di genere emergenti nel mondo contemporaneo.
Ad esempio, in Afghanistan il contesto storico della discriminazione di genere e la continuazione delle pratiche oppressive sotto i regimi recenti illustrano come le azioni attuali facciano parte di un sistema prolungato di apartheid di genere.
“Apartheid di genere significa qualsiasi atto, politica, pratica o omissione che, in modo sistematico e istituzionalizzato, è commesso da un individuo, uno stato, un’organizzazione, un’entità o un gruppo, con lo scopo o l’effetto di stabilire, mantenere o perpetuare il dominio di un genere sull’altro, attraverso la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione o la discriminazione in ambito politico, economico, sociale, culturale, educativo, professionale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica e privata”.
Questi atti includono, ma non sono limitati a:
La definizione di apartheid di genere nella formula proposta (atti, politiche o pratiche volte a perpetuare il dominio di un genere sull’altro) è coerente con la comprensione giuridica dell’apartheid come definita dalla Convenzione internazionale sulla repressione e la punizione del crimine di apartheid (1973) e ampliata nello Statuto di Roma (1998), che include il crimine di apartheid come crimine contro l’umanità. Questi quadri giuridici definiscono l’apartheid come dominio istituzionalizzato e oppressione sistematica, in genere basata sulla razza. La proposta di ampliamento basato sul genere di questo principio è giustificata, poiché la discriminazione di genere è stata storicamente una forma di oppressione pervasiva e istituzionalizzata.
Gli elementi chiave di questa definizione sono la segregazione istituzionalizzata, l’oppressione e la discriminazione, che sono state caratteristiche fondamentali dei regimi storici di apartheid. In questo contesto, l’apartheid di genere riflette politiche che escludono sistematicamente gli individui in base al genere dalla piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica, rafforzando le strutture di dominio. Gli atti elencati, come le leggi discriminatorie, l’uso della violenza per imporre il controllo e la segregazione sistematica nell’accesso alle risorse, corrispondono a pratiche simili riconosciute nei sistemi di apartheid razziale. Ognuna di queste pratiche può essere osservata in regimi di discriminazione di genere, sia storicamente che attualmente, come il regime talebano in Afghanistan, dove alle donne è stato negato l’accesso all’istruzione, all’occupazione e alla libertà di movimento. Tali azioni, quando commesse in modo sistematico e istituzionalizzato, presentano sorprendenti somiglianze con le pratiche dell’apartheid. La proposta sottolinea che tali atti possono essere commessi non solo da attori statali, ma anche da attori non statali, come gruppi organizzati, il che riflette un crescente riconoscimento nel diritto internazionale del ruolo che gli attori non statali possono svolgere nel commettere e perpetuare gravi violazioni dei diritti umani. L’inclusione delle omissioni come forma di condotta criminale, in cui le autorità non agiscono per prevenire o punire la discriminazione o la violenza di genere, amplia ulteriormente l’ambito della responsabilità. Ciò è in linea con la giurisprudenza di casi come Opuz contro Turchia (2009) e Talpis contro Italia (2017) , in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’incapacità di uno Stato di proteggere le donne dalla violenza domestica violava i diritti umani.
Il concetto di apartheid di genere può essere situato nel quadro più ampio dell’intersezionalità, che esamina come varie forme di oppressione, come razza, classe e genere, interagiscono e si aggravano a vicenda. Gli studiosi del diritto come Catharine MacKinnon hanno a lungo sostenuto che l’oppressione delle donne è sistematica e dovrebbe essere intesa come una forma di subordinazione politica simile all’apartheid. In questo senso, la formula proposta si basa sulla teoria giuridica femminista, che vede la discriminazione di genere come una forma di stratificazione sociale e legale.
Inoltre, la proposta è in linea con le tendenze legali internazionali verso l’ampliamento della portata dei crimini contro l’umanità per includere i crimini di genere. Ad esempio, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (ICTR) e il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) hanno riconosciuto la violenza sessuale come crimine contro l’umanità e atto di genocidio quando viene sistematicamente utilizzata come strumento di oppressione. Questi precedenti supportano l’inclusione della discriminazione sistematica basata sul genere come forma di apartheid.
L’inclusione sia di individui che di entità collettive, come Stati e gruppi organizzati, è in linea con gli sviluppi del diritto penale internazionale, che riconosce la responsabilità degli individui per crimini contro l’umanità, riconoscendo anche il ruolo che istituzioni o entità possono svolgere nel consentire e far rispettare tali crimini. Questo duplice riconoscimento consente la responsabilità sia a livello individuale che sistematico. Nell’apartheid di genere, sia i regimi politici che i gruppi culturali o religiosi possono esercitare un controllo significativo sulle norme sociali e questa proposta consente un approccio sfumato per perseguire i crimini commessi da tali entità.
La definizione di soggetto passivo come qualsiasi gruppo di persone identificate dal loro genere, comprese le donne e gli individui non conformi al genere, riflette la moderna comprensione del genere come costrutto sociale. Ciò è particolarmente importante in quanto amplia le protezioni oltre il tradizionale binario di uomini e donne, affrontando la discriminazione e l’oppressione affrontate dalla comunità LGBTQI+, che è stata sistematicamente oppressa in vari contesti, dalle leggi restrittive sull’espressione di genere agli attacchi violenti. Il riconoscimento della costruzione sociale del genere in questi termini implica la necessaria abrogazione dell’art. 7 co 3 del trattato di Roma.
La condotta si riferisce ad azioni, politiche, pratiche o omissioni deliberate che istituzionalizzano e perpetuano la discriminazione e l’oppressione sistematiche basate sul genere. La condotta dovrebbe mirare a creare, mantenere o rafforzare un sistema di dominio e/o oppressione di un genere sull’altro.
La condotta dovrebbe essere parte di un sistema continuo di discriminazione e/o oppressione. Tale condotta può manifestarsi attraverso i seguenti atti:
L’adozione di leggi e politiche discriminatorie sono chiari esempi di forme sistematiche e istituzionalizzate di apartheid di genere, volte a controllare, segregare e opprimere gli individui in base al genere. Queste leggi e politiche spesso riflettono norme e valori sociali radicati, rafforzando ulteriormente le disuguaglianze di genere sia nella vita pubblica che in quella privata.
L’esclusione sistemica dai diritti e dai servizi essenziali è un pilastro fondamentale dell’apartheid di genere, in cui agli individui, in particolare alle donne e alle persone non conformi al genere, viene deliberatamente negato l’accesso a servizi essenziali e protezioni legali. Queste esclusioni rafforzano e sostengono la disuguaglianza di genere rendendo difficile o impossibile per i gruppi emarginati vivere liberamente, accedere all’assistenza sanitaria, cercare giustizia e partecipare pienamente alla società.
La propaganda e l’incitamento all’odio sono potenti strumenti utilizzati per sostenere l’apartheid di genere promuovendo ideologie che giustificano la subordinazione di un genere all’altro. Attraverso la deliberata diffusione di stereotipi dannosi, queste tattiche rafforzano le norme sociali che legittimano la discriminazione e l’oppressione basate sul genere. Tali ideologie sono spesso radicate nei media, nella retorica politica, nei sistemi educativi e nella cultura popolare, favorendo un ambiente in cui la disuguaglianza è normalizzata e persino celebrata. La propaganda e l’incitamento all’odio mantengono l’apartheid di genere attraverso la promozione dell’inferiorità di genere e la normalizzazione della discriminazione di genere. In particolare,
L’obiettivo dell’apartheid di genere è quello di mantenere e rafforzare una gerarchia di genere che perpetua la disuguaglianza e l’oppressione in modo che gli individui di un certo genere rimangano svantaggiati in tutti gli aspetti della vita sociale, politica ed economica. Gli effetti degli atti includono:
La condotta dell’apartheid di genere ha conseguenze profonde e di vasta portata sulla società, con il suo scopo finale di rafforzare e mantenere una rigida gerarchia di genere. Questo sistema garantisce che determinati generi, in genere donne e individui non conformi al genere, rimangano svantaggiati in tutti gli ambiti della vita, socialmente, politicamente ed economicamente. Gli impatti di questa condotta sono devastanti, radicano la disuguaglianza e perpetuano cicli di oppressione e privazione di potere. In particolare:
L’apartheid di genere crea un sistema di disuguaglianza strutturale cronica che si manifesta in varie forme di danno, psicologico, fisico, economico e sociale. Questa disuguaglianza strutturale è intessuta nel tessuto della società, assicurando che le donne e le minoranze di genere affrontino barriere sistemiche alle opportunità e alle risorse, mentre il gruppo di genere dominante (in genere gli uomini) beneficia di privilegi e potere duraturi.
La condotta dell’apartheid di genere stabilisce un ciclo a lungo termine di privazione del potere ed esclusione, in cui ai generi emarginati vengono sistematicamente negate le opportunità di sfuggire all’oppressione. Ogni generazione eredita e perpetua la disuguaglianza e gli stereotipi della precedente, rafforzando l’idea che l’attuale gerarchia di genere sia naturale o immutabile.
L’elemento soggettivo del crimine di apartheid di genere va oltre la semplice intenzione di discriminare. Comporta la consapevolezza e l’accettazione della gravità e della natura sistematica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo di persone in base al loro genere. Ciò significa una volontà consapevole di dominare, controllare o soggiogare un gruppo specifico in base al genere. In genere, ciò comporta il mantenimento di una struttura sociale e politica che perpetua la superiorità di un genere, spesso maschile rispetto a quello femminile, attraverso leggi, politiche o pratiche che pongono un genere in una posizione subordinata o emarginata, privandolo di diritti e opportunità fondamentali.
Gli autori devono essere consapevoli che le loro azioni o politiche si tradurranno in discriminazione, dominazione o oppressione e sofferenza di un gruppo di persone in base al genere. Anche se non è l’intento primario, gli autori devono accettare la discriminazione e la disuguaglianza risultanti come inevitabili o accettabili.
Pertanto, la mens rea, o elemento soggettivo, implica una consapevolezza e un’accettazione specifiche della gravità e della natura sistemica della discriminazione, con l’intenzione di mantenere o rafforzare la subordinazione di un gruppo basato sul genere.
Per stabilire l’elemento soggettivo in un contesto giudiziario, possono essere utilizzate varie forme di prova, tra cui:
Proposta del C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) inviata Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la lettera che puoi leggere qui, redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)
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