Dove sono le donne afghane?
25 Novembre 2024
Alla Sesta Commissione
Assemblea Generale delle Nazioni Unite
l’Associazione C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane) con la presente nota intende fornire un contributo ai lavori in corso nell’ambito della Sesta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Convenzione dei Crimini contro L’Umanità, per chiedere che venga presa in esame l’introduzione del crimine di “apartheid di genere” nella proposta di Convenzione sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità.
Vi inviamo pertanto in allegato la nostra analisi e proposta di definizione del reato di “apartheid di genere”, affinché la stessa possa essere presa in considerazione nelle modalità ritenute più opportune. Tale proposta, che vuole avere una valenza generale per ogni situazione che in essa vi rientri, trova però la sua origine nella crescente consapevolezza di governi, istituzioni internazionali, Associazioni della società civile ed attiviste per i diritti umani che ciò che si sta compiendo in Afghanistan è un crimine contro l’umanità la cui tipologia non è ancora pienamente riconosciuta dai Trattati esistenti e dalle Convenzioni internazionali.
Come emerge dal più recente Report dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council del giugno 2024, il Paese rappresenta il caso più emblematico di applicazione di un sistema pervasivo, metodico ed istituzionalizzato di oppressione e segregazione delle donne e delle ragazze, rafforzato da editti e politiche che le sanzionano violentemente e impongono privazioni dei diritti fondamentali. Le testimonianze delle attiviste per i diritti umani che operano nel Paese e con le quali CISDA è in contatto ci riportano lo stato di grave depressione mentale e il maggior numero di suicidi delle donne come unica possibilità di fuga da una vita condannata alla paura e alla reclusione.
Uniamo la nostra voce a quella del Relatore Speciale nel ritenere che l’inclusione del crimine di apartheid di genere nel “Trattato sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro l’Umanità” possa sostenere la comunità internazionale in una vigorosa azione di condanna e messa al bando di coloro – individui, governi di fatto, stati e regimi politici – che applicano violazioni sistematiche e istituzionalizzate di genere.
Il C.I.S.D.A. opera dal 1999 a stretto contatto con Associazioni di attiviste – tra le quali la principale è R.A.W.A. (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane) che, nel proprio Paese, attiva da decenni, in clandestinità, progetti umanitari a sostegno di donne, bambini e della popolazione civile in stato di necessità. Le attiviste di R.A.W.A. affiancano al lavoro umanitario la denuncia politica sulle gravi violazioni dei diritti umani e sui crimini commessi non solo dall’attuale regime dei talebani ma, – a partire dalla fine degli anni ‘70, – anche dai fondamentalisti e dai signori della guerra che hanno ricoperto incarichi di rilievo nei precedenti governi della Repubblica Islamica. E’ a partire da quel periodo che sono iniziati, e continuano tuttora, i finanziamenti e il sostegno da parte di potenze regionali e internazionali a criminali che hanno preso il controllo dell’intera società afghana per più di quaranta anni rendendo impossibile lo sviluppo di una società laica e democratica e un processo di reale autodeterminazione per il popolo afghano.
Per C.I.S.D.A. e per le donne di RAWA, l’apartheid di genere si sviluppa in Afghanistan proprio da questi fatti drammatici ed è frutto di una violenza sistemica che scaturisce dalla drammatica sinergia tra fondamentalismo religioso, conflitti armati, corruzione dilagante negli organi preposti al governo di fatto del Paese, traffico di armi, droghe ed esseri umani, cambiamento climatico, crisi umanitarie, migrazioni forzate e terrorismo.
Ciò che avviene oggi nell’Afghanistan governato dal regime talebano è ancor più grave per la comunità internazionale in quanto si assiste ad una normalizzazione in atto della condizione di totale negazione dei diritti umani nei confronti del popolo afghano e in particolare delle donne, delle bambine e degli individui LGBTQI+.
Per questi motivi, plaudiamo all’impegno e alla leadership del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel riconoscimento e la condanna a livello internazionale del grave crimine di apartheid in un’ottica di genere, consolidando così per tutti gli individui nel mondo, indipendentemente dal genere, il principio di eguali diritti tra donne e uomini sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti Umani delle Nazioni Unite.
In conformità alle raccomandazioni dello Special Rapporteur sull’Afghanistan del Human Rights Council, riteniamo però che tale processo non possa essere disgiunto dalla necessità che gli Stati membri delle Nazioni Unite non riconoscano in nessun modo il governo di fatto dell’Afghanistan, mettano al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti, impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici, estromettano rappresentanti del governo di fatto da incontri della diplomazia internazionale e non li convochino alle riunioni delle Nazioni Unite. Azioni queste che legittimano un regime che continua a violare i diritti umani delle donne e gli obblighi legali internazionali dell’Afghanistan.
La proposta che presentiamo in allegato è stata redatta con la collaborazione giuridica della Dot.ssa Laura Guercio, (avvocato e professoressa, attualmente SG Universities Network for Children in Armed Conflict, membro del Consiglio dell’European Law Institute, esperta OSCE) e della Dot.tssa Paolina Massidda, (avvocato penalista internazionale specializzata in crimini di genere e crimini che colpiscono i bambini. Avvocato principale dell’Office of Public Counsel for Victims (OPCV) indipendente presso la CPI. Membro del comitato consultivo dell’UNETCHAC)
Distinti saluti
C.I.S.D.A. (Coordinamento Italiano a Sostegno delle Donne Afghane)
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