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Autore: Patrizia Fabbri

Incontro a Roma Stop Apartheid di genere

Lunedì 13 ottobre a Roma presso Spazio Europa – gestito dall’Ufficio del Parlamento europeo in Italia – in collaborazione con la Commissione Pari Opportunità e l’Ufficio Politiche Diritti LGBT+ di Roma Capitale, il Cisda ha organizzato l’incontro “Stop Apartheid di genere”, con il contributo dell’associazione Costituente Terra e con la partecipazione di Michela Cicculli, Marilena Grassadonia, Laura Guercio e Luigi Ferrajoli.

In collegamento un’attivista afghana, che ha descritto la situazione di completo isolamento e annullamento che le donne afghane sono costrette a vivere nel loro paese.

Interessata anche la partecipazione del pubblico, che ha potuto porre questioni e fare proposte sul tema.

Ringraziamo le Istituzioni di Roma Capitale per il loro contributo e gli esperti intervenuti.

Il CISDA continua la propria azione di denuncia affinché gli organismi internazionali preposti riconoscano il reato di Apartheid di genere come crimine contro l’umanità.

Comunicato – Afghani deportati in Iran: non dimentichiamoli

Una delle associazioni afghane più accreditate nelle attività di soccorso umanitario, che CISDA sostiene da più di 20 anni, si è attivata per portare aiuto ai migranti afghani deportati forzatamente dall’Iran ed espulsi senza alcun giusto processo o considerazione umanitaria (vedi il nostro appello). Pubblichiamo una sintesi del Report della Missione Sanitaria Mobile che, per motivi di sicurezza, non può essere divulgato integralmente.

Il report evidenzia che la situazione al confine del Paese permane critica per il caldo estremo, la mancanza di acqua e riparo e l’assenza di servizi sanitari di base che creano alti rischi di epidemie di malattie infettive, malnutrizione e decessi.

Molti deportati erano originariamente fuggiti dall’Afghanistan a causa del crollo del precedente governo, del timore della persecuzione dei talebani o di gravi difficoltà economiche. Ora sono stati costretti a tornare senza nulla, spesso solo un cambio di vestiti e con il morale a pezzi.

Ripristinare dignità e speranza

Il Team Sanitario Mobile attivato era composto da 2 Medici (uomo e donna), 2 Infermieri (uomo e donna), 1 Ostetrica, 1 Consulente Nutrizionale e ha Fornito Servizi per 10 giorni a Islam Qala, e ha raggiunto 1.810 Persone: 685 Donne (≈%37,9), 675 Bambini (≈%37,3) e 450 Uomini (≈%24,9).

I servizi hanno incluso visite generali, trattamento di malattie comuni (diarrea, infezioni respiratorie, colpo di calore, problemi della pelle, ipertensione), consulenza per le donne (igiene mestruale, pianificazione familiare, anemia), visite pediatriche e sensibilizzazione nutrizionale. 17 pazienti (≈%0,9) sono state indirizzate all’Ospedale Pubblico Di Herat.

I generi di supporto sono stati così distribuiti:
• 298 donne hanno ricevuto kit igienici.
• 356 donne e bambini hanno ricevuto abiti (prodotti dai corsi di sartoria).
• 100 famiglie hanno ricevuto pacchi alimentari.

Questo intervento non solo ha ridotto malattie e sofferenze, ma ha anche contribuito a ripristinare dignità e speranza per le famiglie in crisi.

Le voci della sofferenza: alcune testimonianze

Shabnam – Una madre sull’orlo della disperazione
Shabnam, una madre di 25 anni, teneva in braccio il suo bambino febbricitante sotto il sole cocente. Ha detto: “Per due notti abbiamo dormito al confine. Niente medicine, niente dottori. Pensavo di perdere mio figlio.” Dopo aver ricevuto le cure, la febbre del bambino si è abbassata nel giro di poche ore. Con le lacrime agli occhi, Shabnam ha sussurrato: “Non dimenticherò mai che avete salvato la vita del mio bambino. Oggi, per la prima volta, sento di nuovo la speranza.”

Freshta – Una donna che lotta per la vita
Freshta, 30 anni, è entrata barcollando nella tenda, debole e pallida. Aveva avuto un aborto spontaneo e sanguinava copiosamente. Tremando ha detto:
“Pensavo che nessuno mi avrebbe aiutato qui. In Iran mi è stata negata l’assistenza ospedaliera. Temevo di morire.” La nostra ostetrica le ha immediatamente prestato le cure d’urgenza, ha stabilizzato le sue condizioni e l’ha indirizzata all’ospedale. Tenendo la mano dell’ostetrica, Freshta ha gridato: “Mi hai salvato. Mi hai trattato come un essere umano, non come un peso.”

Milad – Un bambino che voleva tornare a giocare
Milad, di dieci anni, è entrato con il braccio fasciato in modo rozzo. Suo padre ha spiegato:
“È caduto da un camion mentre tornava. Si è rotto il braccio, ma non avevamo soldi per un medico. Ha pianto tutta la notte per il dolore.” La nostra équipe ha stabilizzato il braccio di Milad e lo ha indirizzato a ulteriori cure. Mentre se ne andava, Milad ha sorriso e ha chiesto: “Ora non fa più così male. Pensi che possa tornare a giocare a calcio?” Quel piccolo sorriso è stata la più grande ricompensa per la nostra squadra.

Non dimentichiamoli

Le condizioni dei rifugiati deportati rimangono disastrose. I rifugiati sono entrati in Afghanistan con paura e spirito distrutto. Molti hanno riferito che i loro familiari sono stati arrestati dai talebani subito dopo l’arrivo e che i loro corpi sono stati successivamente restituiti privi di vita. Alcune famiglie non hanno informazioni sui loro cari.

Un tragico incidente stradale ha causato inoltre quasi 100 vittime accrescendo ulteriormente dolore e shock. Famiglie rimaste senza casa, senza reddito, costrette a lasciare l’Iran con nient’altro che un singolo cambio di vestiti.

L’Associazione conclude: “In mezzo a queste enormi difficoltà, con il supporto dei nostri fedeli partner – Frontline Women, CISDA e i sostenitori giapponesi – siamo riusciti ad alleviare in parte la sofferenza di molte persone e famiglie. Questo è stato incoraggiante e significativo per il team di assistenza.
Speriamo di mobilitare un maggiore supporto nel prossimo inverno e di garantire che queste famiglie non vengano dimenticate”.

CISDA ringrazia tutti coloro che hanno inviato e vogliono inviare fondi per sostenere le attività delle Associazioni in favore della popolazione afghana.

Appello. Il CISDA al fianco delle famiglie del Kunar

Nella notte tra il 31 agosto e il 1 settembre il terremoto è tornato a colpire l’Afghanistan nel territorio al confine con il Pakistan. Secondo l’ONU sono 6,8 milioni le persone che vivono nelle province colpite, tra cui 263.000 i bambini; i morti sono oltre 2205 e più di 3640 i feriti.
Le associazioni di donne afghane che il CISDA sostiene si sono immediatamente mobilitate per portare soccorso. Ci hanno rivolto un appello per chiedere il nostro sostegno.

APPELLO

Come saprete, un terremoto ha distrutto molti villaggi nelle province di Kunar e Nangarhar. Come al solito, vogliamo inviare le nostre squadre per aiutare le persone nelle zone colpite e perciò chiediamo fondi di emergenza per sostenere la popolazione.

La situazione attuale in Afghanistan è estremamente dolorosa e preoccupante. Le tragedie si susseguono, rendono la nostra gente ogni giorno più vulnerabile e riducono la loro speranza di vita.

Il terremoto nella provincia di Kunar ha causato la morte di migliaia di persone innocenti e ne ha lasciate molte altre ferite e senza casa. In molti sono ancora intrappolati sotto le macerie, bambini hanno perso la vita e donne rimangono bloccate sotto le rovine. Intere famiglie sono rimaste senza accesso a cibo, acqua e servizi medici.

Si tratta di una zona montuosa e difficile da raggiungere, il che rende estremamente problematica la distribuzione degli aiuti. La situazione è così critica che ogni ora di ritardo potrebbe significare la perdita di altre vite. Alcune persone hanno perso intere famiglie e non hanno ancora ricevuto alcun aiuto.

Hakeem Gul, uno dei sopravvissuti, ha dichiarato: “Desidero solamente morire perché ho perso tutta la mia famiglia e sono rimasto completamente solo. Non c’è nessuno che mi aiuti a seppellire i corpi dei miei cari”.

Il nostro team è attualmente sul campo e rileva una grave carenza di medicinali e beni di prima necessità, cibo e acqua potabile.

I bambini hanno urgente bisogno di pacchi alimentari e le donne hanno un disperato bisogno di kit igienici. Purtroppo, la mancanza di strutture mediche e farmaci ha già causato la morte di donne e bambini e, senza un’assistenza immediata, il numero delle vittime è destinato ad aumentare.

Anche la grave carenza di medici donne rappresenta una sfida importante, poiché i talebani non permettono ai medici uomini di curare le donne. Queste restrizioni hanno peggiorato ulteriormente la situazione, rendendo le condizioni di sopravvivenza a Kunar davvero orribili e inimmaginabili.

Uno dei nostri medici ha raccontato di come, una volta arrivati ​​nella zona, abbiano incontrato una donna che aveva visto morire i suoi quattro figli. Era in uno stato di shock così profondo da aver perso la ragione. L’assenza di personale medico femminile e le restrizioni imposte dai talebani, che impedivano ai medici uomini di assisterla, hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Fortunatamente, appena raggiunta la zona, la nostra équipe è riuscita a somministrarle un sedativo per calmarla e alleviare la sua sofferenza.

Un altro caso riguarda una donna semisepolta sotto le macerie. I talebani insistevano sul fatto che “toccare una donna non-mahram è peccato” e che avrebbe dovuto uscire da sola, nonostante avesse entrambe le gambe rotte. Ma il nostro team è riuscito a salvarla e a trasferirla in ospedale.

Il nostro ginecologo ci ha riferito che diverse donne incinte avevano subito gravi emorragie, ma le strutture disponibili per curarle sono estremamente limitate, così abbiamo potuto fornire loro solo un soccorso di base e un minimo di supporto psicologico. Purtroppo, una delle donne è morta davanti ai nostri occhi per l’emorragia troppo estesa. È stato uno dei momenti più devastanti e strazianti per la nostra équipe, soprattutto per il medico curante, consapevole che con risorse minime quella vita avrebbe potuto essere salvata.

Le strade sono bloccate e ciò rende molto difficile raggiungere gli ospedali. La debole connessione di rete e la mancanza di una comunicazione adeguata con il team hanno ulteriormente rallentato la raccolta di resoconti accurati. Ciononostante continueremo a impegnarci per raccogliere altre storie e testimonianze, soprattutto sulla sofferenza delle donne, e condividerle con voi.

Il peso psicologico sul nostro team è stato immenso. Molti di loro erano in lacrime mentre raccontavano questi episodi. Abbiamo fatto del nostro meglio per sostenerli emotivamente e alleviare il peso di queste esperienze dolorose.

In questi giorni strazianti, con il cuore pesante, vi chiediamo sinceramente di starci accanto come avete fatto in passato, affinché insieme possiamo soddisfare almeno una piccola parte dei bisogni urgenti della popolazione sofferente di Kunar e curare anche solo con una piccola benda le loro profonde ferite.

Ogni vostro contributo può salvare una vita proprio in questo momento. Vi preghiamo, come sempre, di stare al fianco della popolazione sofferente dell’Afghanistan.

Ancora una volta, apprezziamo profondamente la vostra preoccupazione e solidarietà. Ci auguriamo vivamente che, attraverso una cooperazione continua, possiamo contribuire ad alleviare, anche di poco, la sofferenza di donne e bambini così vulnerabili.
In molti stanno chiedendo contributi. Anche i Talebani hanno chiesto il sostegno internazionale.

Per essere certi che i soldi arrivino nelle mani delle associazioni realmente vicine alla popolazione e siano utilizzati per sostenere i bisogni di donne, uomini e bambini vi invitiamo a donare a COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE ETS (C.I.S.D.A)

IT74Y0501801600000011136660 indicando “TERREMOTO” nella causale. Grazie

Comunicato di RAWA nel quarto anniversario dell’Emirato talebano medievale a Kabul

Affiliamo il pugnale della lotta contro la piaga talebana-jihadista e i suoi padroni americani!

Sono passati quattro anni dalla conquista di Kabul da parte dei fascisti religiosi talebani, quattro anni in cui le catene dell’imperialismo, che da decenni soggiogano la nostra patria, si sono strette ancora di più attorno ai nostri corpi, alle nostre anime e alle nostre menti. Oggi i talebani, creature oscene dei servizi segreti pakistani e risultato di accordi tra Stati Uniti, Qatar, regime iraniano e forze reazionarie della regione, sono diventati una macchina di morte e repressione.

Nei primissimi giorni del loro governo, hanno privato migliaia di donne del lavoro e dell’istruzione; con le armi e la violenza hanno imposto un’inquisizione medievale; con le loro politiche sanguinose, le torture e la scomparsa degli oppositori, questi carnefici hanno trasformato l’intero Paese in una prigione terrificante. La disoccupazione diffusa, i prezzi elevati dei beni di prima necessità, la corruzione, la disperazione e decine di altre disgrazie hanno reso la vita completamente insopportabile per il nostro povero popolo.

Questo regime che ci hanno imposto è la continuazione di vent’anni dei governi inutili di Karzai e Ghani, che hanno iniettato la cultura del tradimento, della frode e della schiavitù nelle vene della società. La presenza dei talebani in Afghanistan non è una coincidenza: è un anello della catena della strategia coloniale degli Stati Uniti per controllare la regione e utilizzare gruppi fondamentalisti e terroristici per raggiungere i propri sinistri obiettivi strategici ed economici. La nostra terra oggi è come una carcassa su cui si accaniscono gli avvoltoi della regione e del mondo. Gli Stati Uniti continuano a controllare i talebani, anche se apparentemente hanno alcune divergenze con loro. Il Pakistan, dando forza ai suoi lacchè, pugnala alle spalle il nostro popolo; l’Iran invia le sue spie culturali e mediatiche, insieme alle sue milizie religiose; e la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita, ciascuno a modo proprio, sostengono le forze reazionarie e fondamentaliste, inquinando il nostro suolo.

Fin dai primi giorni, i talebani hanno colto l’occasione per prendere il controllo delle nostre ricchezze nazionali e delle risorse minerarie, saccheggiandole per arricchirsi. Gli sfollamenti forzati e la repressione delle proteste locali hanno aperto la strada al saccheggio, garantendo maggiori privilegi, intensificando le rivalità interne tra i talebani e le nostre diverse etnie, spingendo l’Afghanistan verso conflitti più profondi e una crisi senza precedenti. La maggior parte dei leader talebani controlla personalmente la coltivazione del papavero e il traffico di stupefacenti oppure, prende la propria parte dai contrabbandieri e dai gruppi mafiosi, diventando così una nuova forma di oligarchia jihadista.

L’Emirato sanguinario dei talebani, contrariamente a quanto sostiene, non è dedito a garantire la pace e la dignità umana, ma è determinato a distruggere gli ultimi brandelli dei diritti più fondamentali del nostro popolo. Anche alcuni ex “repubblicani” si sono trasformati in leccapiedi e lobbisti dei talebani. In Afghanistan, la CIA ha investito per decenni nei jihadisti, nei membri delle fazioni “Parcham e Khalq”, e in qualsiasi individuo debole e senza scrupoli, e li ha trasformati da intellettuali, giornalisti, attivisti della società civile privi di coscienza e patriottismo, presidenti, ministri, diplomatici e altri in quadri fedeli. Gli intellettuali separatisti, etnocentristi e compromessi col potere sono sempre stati apertamente o segretamente ostili alla democrazia e alla laicità, e hanno condiviso il tavolo con traditori e criminali fondamentalisti, mantenendo, in ultima analisi, il loro cordone ombelicale legato all’imperialismo e al sionismo.

Se le forze rivoluzionarie, patriottiche, progressiste e nazionaliste non riconosceranno la loro pesante responsabilità, se non strapperanno la maschera della “cultura” e della “mentalità” imperialista e fondamentalista che è stata calata sulle menti e sugli occhi del popolo, e se non impareranno la lezione dalle dolorose esperienze del passato… l’Afghanistan non riuscirà ad uscire dall’attuale terribile catastrofe. E diverse generazioni sprofonderanno e saranno distrutte. Impariamo dalle madri, dai giovani e dai bambini palestinesi che, nella loro ferma difesa e amore per la loro patria, non lesinano sacrifici o atti di coraggio. Le loro epiche storie di resistenza e perseveranza hanno commosso le coscienze risvegliate del mondo, suscitando ammirazione e sostegno.

Oggi, quando purtroppo non è presente sulla scena afghana alcuna forza seria, sostenuta dalle masse, nazionale, indipendente, democratica e antifondamentalista, è nostro dovere, senza alcuna aspettativa da parte dei governi stranieri, sensibilizzare noi stessi e le masse svantaggiate con ogni mezzo e metodo possibile. Dobbiamo respingere la politica vile dello “scegliere tra il male e il peggio”, che per anni ci è stata imposta dai governi occidentali e dalle forze reazionarie, lasciando il nostro popolo passivo e senza una visione del futuro. Fino all’alba della libertà, il movimento – in ogni forma, peso, luogo e livello possibile – deve rimanere vivo e tangibile; non dobbiamo permettere che i giovani si trasformino in esseri umani privi di forza, spaventati e distrutti.

L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane (RAWA) ha anche sottolineato che le nostre donne onorevoli e patriottiche devono ripulire le loro file dai burattini della reazione e dell’imperialismo e non devono permettere che figure odiose ed egoiste come Fawzia Koofi, Habiba Sarabi, Shukria Barakzai, Asila Wardak, Manizha Bakhtari, Sima Samar, Naheed Farid, Mahbouba Seraj e simili, di distogliere la lotta delle donne dal percorso rivoluzionario verso il compromesso e la sottomissione alla Casa Bianca e ai governi occidentali.

Se le donne del nostro Paese sono state le prime vittime del fascismo religioso, negli ultimi quattro anni – subendo catene, prigionia e sacrificando le loro vite – sono state anche in prima linea e il pilastro principale della lotta. Sono loro la leadership della lotta anti-talebana. La paura dei talebani di una rivolta delle donne ha una ragione ovvia: sanno che il nostro spirito di lotta e la nostra rabbia repressa, come quella delle coraggiose donne dell’Iran e della Turchia, possono scuotere le fondamenta stesse della tirannia religiosa. Per questo motivo, i talebani, attraverso attacchi e metodi brutali, cercano di cancellare completamente le donne dalla società. L’arresto delle ragazze con il pretesto di un “hijab improprio”, la loro umiliazione e le ingiurie subite dagli agenti armati di frusta del “Ministero per la Promozione della Virtù”, la loro sistematica privazione dell’istruzione e del lavoro, e altre forme di repressione e minacce sono tutte prove evidenti di questo terrore, perché i talebani hanno capito che se questo potenziale latente si risveglia e si organizza, il loro dominio inquisitorio non durerà.

Sorelle e madri in lutto,

oggi diciamo a gran voce e senza esitazione che i fondamentalisti, siano essi jihadisti, talebani o qualsiasi altro servitore traditore dei padroni imperialisti, devono essere rimossi dalla scena afghana. Non ci può essere alcuna riforma in questo sistema; nessuna salvezza arriverà attraverso il compromesso o la supplica. L’unica strada è quella di aumentare la consapevolezza politica, organizzarsi e rafforzare le forze combattenti in modo che le masse di tutti gli strati e le nazionalità del nostro popolo si sollevino unite e con una sola voce in una rivolta nazionale. Diversamente, non ci libereremo mai da queste catene e saremo condannati dalle generazioni future.

Solo la libertà, la giustizia sociale e la democrazia basate sulla laicità possono guarire le ferite del nostro popolo. Affiliamo quindi il pugnale della lotta contro il fascismo religioso dei jihadisti e dei talebani e dei loro sostenitori imperialisti!

Revolutionary Association of the Women of Afghanistan

14 agosto 2025

Dal riconoscimento del governo talebano all’affossamento dell’ONU

Nella corsa di tutte le potenze mondiali al miglior posizionamento in Asia centrale attraverso gli accordi con i talebani, la Russia è arrivata per prima. Ha infatti ufficialmente riconosciuto l’Emirato islamico dell’Afghanistan, rompendo il fronte dei paesi che ancora mantengono la difesa dei diritti umani e dei principi democratici come preliminari al riconoscimento. Posizione che peraltro l’ONU stesso è andato via via abbandonando in nome del realismo: di fronte alla resistenza dei talebani alle sue richieste e alle sanzioni, ha ben presto cercato una formula che permettesse di normalizzare il governo talebano senza perdere la faccia.

Così, in continuità con gli accordi di Doha del 2020, che avevano abbandonato l’Afghanistan in mano ai fondamentalisti in nome della sicurezza contro il terrorismo, l’ONU ha proceduto nella politica decisa con la Risoluzione  2721 del 2023  concretizzandola con gli accordi di Doha 2 e 3 del 2023-2024 che hanno riconosciuto ai talebani il diritto a partecipare a tutti gli effetti alle conferenze internazionali come unici rappresentanti dell’Afghanistan, escludendo invece le donne, i loro diritti e i diritti del popolo tutto.

Questa strategia di avvicinamento e dialogo è diventata più stringente nel 2025 con l’affidamento all’UNAMA delle trattative del Piano Mosaico, che ha permesso di spostare sul piano “tecnico” i colloqui diplomatici con i taleb, per arrivare nei giorni 31-6/1-7, nell’ambito e a compimento di Doha3, a due gruppi di lavoro segreti per discutere le richieste che fin da subito i talebani avevano posto sul tavolo come condizione per la partecipazione: nessuna intrusione nella politica interna dettata dalla Sharia, quindi nessun diritto riconosciuto a nessuno; rimozione della condanna dei talebani e del loro governo, quindi riconoscimento giuridico; sostegno economico, quindi restituzione dei fondi bloccati nella banca svizzera dagli Usa. Il tutto in cambio di niente.

Due strategie parallele

Ma mentre queste trattative venivano portate avanti in nome dell’ONU, gli stati membri erano tutti d’accordo con questa strategia?

No, non tutti. Gli stati e le potenze asiatiche che vogliono tener fuori gli Usa dall’influenza regionale hanno nel frattempo messo in atto una loro diplomazia, basata su accordi commerciali e aiuti economici e infrastrutturali, esplicitamente disinteressandosi ai problemi politici e democratici dell’Afghanistan. Infatti, proprio mentre i maggiori Paesi occidentali discutevano il Piano mosaico, questi altri si davano da fare con incontri economici e politici a vari livelli regionali invitando ufficialmente l’Afghanistan. Hanno cioè messo in atto una diplomazia parallela, che riconosce di fatto il governo talebano, in attesa di riconoscerlo anche giuridicamente.

La Russia, riconoscendo ufficialmente l’Emirato per prima, ha accelerato questo processo notevolmente e in modo imprevisto, sebbene fosse stato preannunciato da diverse azioni politiche e diplomatiche.

Ma questa mossa che ha scavalcato tutti gli altri Paesi avrà davvero delle ricadute pratiche, segnando una svolta nei privilegi economici e politici che l’Afghanistan riserverà alla Russia in questa fase, portando a progressi significativi nei loro rapporti?

Probabilmente no, per due motivi:

1) Innanzitutto, i rapporti tra i due paesi erano già buonissimi, avendo la Russia, come si è detto, curato di inserire già da tempo il governo talebano come rappresentante legittimo e unico dell’Afghanistan in tutti i vertici internazionali dell’area asiatica, quindi riconoscendolo già di fatto;

2) perché i talebani sembrano interessati a mantenere i rapporti aperti con il maggior numero possibile di Paesi – come loro stessi hanno affermato – senza legarsi a qualcuno in particolare. Quindi useranno questo riconoscimento giuridico più per fare pressione sugli altri Paesi, soprattutto occidentali, che per fare concessioni speciali alla Russia.

Contro l’ONU in quanto istituzione multilaterale

La Russia lo sa. Quindi, cosa l’ha spinta a questo passo precipitoso?

Quella di Putin, più che una dichiarazione di amicizia verso l’Afghanistan dei talebani, sembra essere una provocazione nei confronti degli Usa e dell’Occidente, la dimostrazione che non ha scrupoli, come non ne ha Trump, nella guerra per affermare il proprio predominio in Asia centrale – oltre a essere una dichiarazione di disponibilità verso i paesi grandi e piccoli dell’area a porsi senza esitazioni come capofila della fronda dell’ONU espressa da quei paesi, asiatici, che si oppongono al predominio Usa nell’ONU e alla sua presenza in Asia.

Ma soprattutto è una dichiarazione di guerra all’ONU in quanto istituzione, un boicottaggio della sua autorevolezza, un sabotaggio della sua capacità di gestire i conflitti nella difesa dei diritti umani, perché ha reso superato e inutile la sua strategia arrendevole e dilatoria nei confronti dell’Afghanistan.

L’ONU non ha perseguito con forza e coerenza la politica dei talebani di apartheid di genere e antidemocratica perché fin dall’inizio, dagli accordi di Doha del 2020, ha sostenuto e approvato la scelta degli Usa di accettare e mantenere al governo i talebani, perché questi, sebbene fondamentalisti e dittatori, sono visti come l’unica possibilità di governo in Afghanistan, male minore di fronte alle alternative terroriste. Ma aveva cercato di mimetizzare questo suo reale obiettivo con un approccio graduale nell’accettare le loro richieste, mantenendo formalmente i principi della restituzione della libertà alle donne e della formazione di un governo inclusivo.

In questa strategia che vuole essere democratica e multilaterale, l’ONU in realtà vuole tenere tutti gli stati sotto la direzione degli Usa e dell’Occidente, o almeno viene percepita come tale.

La Russia, con il riconoscimento del governo talebano in barba e al di fuori degli accordi che l’ONU sta perseguendo, ha reso ridicola la tattica di mediazione internazionale. Ha affossato l’ONU non tanto per la gravità e i pericoli dell’atto in sé – perché il riconoscimento è comunque lo scopo finale anche dell’ONU stesso – ma perché l’ha fatto unilateralmente.

In questo Putin fa il pari con Trump e gli Usa.

Infatti gli Usa sono stati tra i pochissimi stati che non hanno votato la dichiarazione finale dell’Assemblea delle Nazioni Unite sull’Afghanistan volta a salvaguardare i principi su cui è basata la convivenza umana del mondo.

Che cosa accomuna queste due decisioni apparentemente lontane e dissimili? Il disprezzo per le istituzioni internazionali conciliative e di garanzia, per l’ONU come organismo sovranazionale di governo e risoluzione dei conflitti fra gli stati.

L’obiettivo di Usa e Russia non è più quello di darsi battaglia all’interno dell’ONU per avere l’egemonia così da orientarlo e manovrarlo a loro favore: vogliono svuotare questa istituzione di significato e potere, perché puntano ormai a competere direttamente per l’egemonia e spartizione del mondo, senza intermediari e impedimenti.

Cambiare la percezione, non la sostanza

Siamo quasi all’anniversario della presa del potere dei talebani del 15 agosto 2021, che ha portato in Afghanistan a una precipitazione dei diritti delle donne e delle condizioni di democrazia e di vita per tutti per la svolta estremamente fondamentalista che l’interpretazione restrittiva della Sharia dei talebani ha comportato.

In questi giorni il poco interesse che i media esprimono per l’Afghanistan si concretizza in una notizia che rimbalza praticamente uguale in tutti i brevi articoli che la narrano: esiste una nuova possibilità per le donne afghane rappresentata dalla ripresa del turismo, poichè a Kabul si possono fare tour gestiti da donne e rivolti alle donne.

In realtà si tratta di un’unica esperienza di questo genere  e riguarda la visita al museo di Kabul  guidata da una giovane donna e fruita da un piccolo gruppo di straniere, tutte con il velo in testa ma, sorprendentemente – e la cosa salta agli occhi nel grigio panorama delle strade frequentate prevalentemente da uomini e da poche donne nascoste in lunghi vestiti neri – vestite con abiti colorati, come mostra un servizio di Rai News.it.

Significa che sta cambiando qualcosa nel fondamentalista e repressivo Afghanistan dei talebani? E’ proprio come la racconta il servizio di Rai News, che commenta il suo documentario con un giudizio positivo e quasi entusiasta sulla possibilità di “cambiare, un passo alla volta, la percezione del Paese”?

In realtà, l’ingenuo commento non afferra il vero significato di questi tour, e cioè l’interesse dei talebani di cambiare la percezione negativa che il mondo ha dell’Afghanistan senza cambiare la sostanza delle condizioni di segregazione e privazione dei più elementari diritti delle donne, che continua invece a essere raccontata da innumerevoli testimonianze e dalle più svariate fonti.

Permettere a una manciata di donne di usare un briciolo di libertà serve ai talebani per mostrare il presunto “volto umano” del loro governo, che invogli il resto del mondo al riconoscimento della “normalità” del loro sistema di governo, in realtà fondamentalista, violento, liberticida e di apartheid verso le donne.

Non si tratta, quindi, di avere il coraggio di sfidare i divieti, ma invece di essere strumento, più o meno consapevole, di un’operazione pubblicitaria di camuffamento della realtà.