Sorelle senza confini – Mama Mercy
30 Ottobre 2024
Eravamo sedute in mezzo al nulla, quattro anni fa, in un villaggio di polvere e fango dello stesso colore ocra delle montagne, nell’Ovest dell’Afghanistan, dove seguivamo un progetto per le donne. A pochi chilometri c’era una postazione talebana e a una trentina una dell’Isis Khorasan. Non si poteva restare più di due o tre ore nello stesso posto, per non lasciare loro il tempo di organizzare un attacco o un rapimento. Narges mi spiegava la geografia politica del suo Paese: una pelle di leopardo, dove ogni villaggio, ogni città, ogni angolo aveva il suo padrone in lotta con gli altri.
C’erano i distretti completamente in mano ai Talebani, altri contesi con le armi al governo, altri ancora formalmente in mano a Kabul, ma con un “esecutivo ombra” degli studenti coranici. E poi l’Isis Khorasan contro tutti. Una quantità di poteri diversi che esercitavano una pressione violenta e quotidiana sulla popolazione. Una vita in cui si poteva solo scegliere il male minore.
Oggi il palcoscenico si è svuotato: gli unici attori rimasti, i Talebani, governano nell’indifferenza del mondo. La guerra non c’è più, la delinquenza nemmeno, la produzione di droga diminuisce, è vietato portare armi e si può circolare anche di notte. Se ti comporti secondo le regole non hai problemi, ma se sei una donna puoi solo sparire. Narges oggi vive a Kabul con la sua famiglia. Riesce a lavorare in un ufficio privato, segretamente, quasi sempre da casa. “Esco il meno possibile. Adesso ho davvero paura. Da circa un mese la strada è diventata molto pericolosa”.
Perché?
Narges: Gli agenti della polizia morale, uomini e donne, girano come cani affamati per le strade, in cerca delle loro prede. Fino a qualche tempo fa ti arrestavano se manifestavi o se l’hijab [il velo, ndr] non era in regola; adesso lo fanno anche se sei completamente coperta accanto al tuo mahram [l’accompagnatore di sesso maschile, ndr]. Lo fanno senza motivo. Perché? Non si sa e non si può sapere. Tutto è diventato arbitrario, casuale e imprevedibile. Non sai come proteggerti: ogni passo all’esterno costa un’ansia infinita.
Che cosa succede se ti arrestano?
Narges: Ti prendono, ti picchiano, ti infilano in macchina e ti portano, in genere, a Pul-e-Charkhy, la più grande prigione di Kabul. Lì puoi essere vittima di qualsiasi violenza. A volte non si sa più niente delle ragazze che vi vengono portate, altre vengono invece rilasciate. Ma non c’è nessun sospiro di sollievo. Per le famiglie l’arresto è una vergogna, un grave disonore che ricade interamente sulla ragazza. La loro vita diventa un calvario, vengono isolate, biasimate e persino vendute. So di due giovani che si sono suicidate dopo essere uscite di prigione, non so se per quello che hanno passato tra le mani dei Talebani o tra quelle dei loro familiari.
Come mai questo ulteriore giro di vite?
Narges: La paura è la più forte delle restrizioni, il più economico sistema di controllo. Arriva ovunque e chiude i pochi spazi rimasti. Ho notato alcune cose negli ultimi anni. Da quando è diventato obbligatorio l’hijab, soprattutto qui a Kabul, le più giovani hanno iniziato a vestirsi in modo tradizionale, strettissimo.
Mi chiedevo il perché, poi ho capito: era l’unica concessione che avrebbero fatto ai nuovi governanti del Paese. Protette da un hijab perfetto potevano andare nei locali, nei ristoranti, passeggiavano con gli uomini, fumavano l’hookah, la pipa ad acqua, e si divertivano. Insopportabile per i Talebani, che hanno inasprito i divieti. Molte sono state arrestate, ma le guerriere della normalità non si sono arrese.
La vita delle donne è diversa nelle province?
Narges: Sì, molto. Gran parte del nostro Paese è stato “talebanizzato” molto prima del loro arrivo a Kabul. Nelle zone rurali, le donne non hanno mai avuto libertà, né diritti. Nei villaggi dell’Helmand, ad esempio, né le ragazze che incontro né le loro madri hanno mai frequentato la scuola. Durante i vent’anni di occupazione delle forze occidentali era possibile studiare, c’erano i servizi per il contrasto alla violenza, i rifugi e la possibilità di lavorare.
Ma tutto questo riguardava una parte limitata della società femminile. Se fossero stati cambiamenti strutturali, non sarebbe stato così facile spazzarli via in un giorno. Per noi che viviamo nelle città, che abbiamo studiato e avevamo un lavoro, l’arrivo a Kabul dei Talebani è stato uno shock ma nella gran parte del Paese non c’è stato alcun cambiamento. La situazione tragica dell’Afghanistan non è solo colpa dei Talebani, questa è una versione comoda per gli ex occupanti, ma è responsabilità di chi per vent’anni non ha fatto nulla.
Perché i Talebani odiano tanto le donne?
Narges: Sono uomini a cui è stato fatto il lavaggio del cervello molto in profondità e molto presto. I bambini nelle madrase vengono lasciati soli, lontani dalla famiglia, da sorelle, madri e zie. Non hanno alcun rapporto con le donne. Non sanno niente di loro se non quello che dice il mullah. Da adulti, sono a disagio, ne hanno paura e non sanno fare altro che opprimerle, diventano così uno strumento politico dell’Islam estremo.
Le donne che incontri hanno qualche speranza per il futuro?
Narges: No, nessuna. Tutti vogliono andarsene, lasciare il Paese. Affrontano qualsiasi pericolo per questo.
Che consenso ha il governo talebano?
Narges: Adesso molto poco. Nei vent’anni di occupazione la popolazione ha sofferto molto e ha sviluppato un profondo risentimento verso le forze straniere. Quando queste se ne sono andate, gli afghani erano pronti ad accettare i Talebani, ma adesso non ce la fanno più.
Con chiunque tu parli, anche con gli sconosciuti, il primo argomento di conversazione sono le critiche nei confronti degli attuali governanti. Farlo è molto pericoloso, ci sono spie ovunque, ma le persone si lasciano andare lo stesso. Sono esasperati, hanno fame e si impedisce alle madri di famiglia di nutrire i propri figli. I divieti per le donne, infatti, creano difficoltà a tutti.
I Talebani resteranno a lungo al governo?
Narges: Loro stessi non hanno speranza di durare molto. Molti si stanno preparando per quando perderanno il potere politico: avviano business, comprano case, preparano una sicurezza per il loro futuro. Mio marito, che è negli affari, lo vede ogni giorno.
Per ora sono stabili però. Che appoggi hanno?
Narges: Principalmente il denaro che gli arriva regolarmente dagli Stati Uniti, che faceva parte degli accordi di Doha. Senza questi soldi non ce la farebbero. Cercano di aumentare gli introiti con le tasse e cresce la corruzione: ma non basta. Non sarà mai abbastanza per sostenersi.
Quali altri sponsor hanno oltre agli Usa?
Narges: Il governo precedente dipendeva al 100% da Washington. Se altri Paesi volevano entrare nel “grande gioco” afghano dovevano rivolgersi ai ribelli. Allo stesso modo, anche oggi ci sono i Talebani iraniani, pakistani, russi. Ognuno ha le sue pedine. E questo non piace agli Stati Uniti: finché non avranno la sicurezza che i Talebani resteranno una forza mercenaria a loro leale continueranno a tenerli sulla corda. Trattano, dialogano ma ancora non vengono ufficialmente riconosciuti. La strada per Kabul è stata aperta all’interno di un piano prestabilito nel quale gli Usa devono mantenere la posizione preminente e limitare le influenze di altri Paesi.
Se gli americani volessero, quindi, potrebbero far cadere il governo talebano?
Narges: Hanno smantellato il governo di Ashraf Ghani in una settimana, potrebbero deporre questo in tre giorni.
E con chi potrebbero sostituirli? Con i vecchi signori della guerra, con un governo condiviso, con il giovane Ahmad Massud, il figlio di Ahmad Shah?
Narges: Potrebbero. Massud e gli altri sono in cerca di sponsor, ma non li trovano. Nessuno vuole sostenerli per ora. I signori della guerra aspettano pazientemente di ritornare in campo e riprendere gli affari. Sanno che non sono esclusi per sempre, ma aspetteranno a lungo. Nessuno ha interesse in questo momento a far cadere i Talebani, soprattutto agli americani non conviene: controllano i governanti di Kabul con il denaro e mantengono la loro influenza. Del nostro inferno non si vede la fine, ma le donne afghane sono molto forti. Abbiamo fatto una cura drastica a base di guerre, violenze, soprusi. Dobbiamo solo impegnarci a sopravvivere.
Pubblicato su Altreconomia
Cristiana Cella, giornalista, scrittrice, sceneggiatrice. Segue le vicende afghane dal 1980, quando entrò clandestinamente a Kabul, vietata ai giornalisti, per documentare la resistenza della città contro l’invasione russa. Dal 2009 fa parte del Direttivo dell’Associazione Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno donne afghane), ha partecipato a diverse delegazioni in Afghanistan. Ha pubblicato un libro: ‘Sotto un cielo di stoffa. Avvocate a Kabul’, edito da Città del Sole Edizioni.
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