Lena
Sono di Herat. Ho 45 anni, qui sono tanti. Un tempo stavamo meglio. 40 anni di guerra si sono portati via tutto quello che avevamo. Ora abitiamo in una casa diroccata per la quale paghiamo l’affitto. Mio marito è debole e malato e non è in grado di lavorare.
I miei figli, due maschi, ancora ragazzini, vanno tutto il giorno a chiedere l’elemosina e a frugare nelle discariche. È così che campiamo. Ma qualcosa di peggio può sempre succedere. Mio marito un giorno mi ha detto: ‘Non è vero che non abbiamo niente, abbiamo una figlia in età da marito.’
Ha 14 anni. Adesso ogni volta che la guardo ho paura. Ho paura che lui la venda a qualche uomo sconosciuto. Non è cattivo mio marito, lo ha deciso per farci vivere un po’ meglio. Per la famiglia bisogna sacrificarsi, dice. Lo so che da noi succede così ma non posso accettarlo. Non si vende una figlia a qualche diavolo di passaggio per campare qualche mese.
Voglio salvare la mia bambina, e convincere mio marito a costruire una vita più decente, a trovare un lavoro per smettere di mendicare e per poter mandare a scuola i nostri figli.
Aggiornamenti
Lena trova l’aiuto di Francesca che la segue per molti anni. Il denaro che riceve e le pressioni delle assistenti di Hawca convincono il marito a non vendere la bimba.
Il padre promette di lasciarle finire gli studi e anche gli altri bambini vanno a scuola invece che a mendicare. Lena lavora come donna delle pulizie ma il marito è un osso duro.
Il denaro non gli basta e la picchia perché ne trovi di più.
Manderà di nuovo i figli a mendicare, minaccia. Lena è forte e resiste con le unghie e con i denti perché lui non rovini la vita dei figli. Il denaro che riceve diventa la sua arma di ricatto. Dice al marito che, se non li lascerà andare a scuola, i soldi non arriveranno più.
Pian piano il comportamento del marito migliora, è lei a portare i soldi a casa e non può permettersi di picchiarla. Lena con forza e dignità difende le sue conquiste. Ma la salute del marito peggiora gravemente. Qualche mese fa muore e Lena è convinta che sia a causa di medicine sbagliate.
Il giorno del funerale non va a lavorare e il datore di lavoro la licenzia. Nuovi problemi dunque. Ma non deve affrontarli da sola.
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Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.
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