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Autore: Patrizia Fabbri

Staffetta Femminista Italia – Afghanistan

CISDA ha tessuto in oltre vent’anni di lavoro fra Italia e Afghanistan, una preziosa rete di relazioni per il sostegno alle attiviste locali e ai loro progetti di aiuto alle donne che fuggono dalla violenza patriarcale e dal fondamentalismo religioso.

Volontarie, operatrici impegnate nella lotta alla violenza contro le donne e nel supporto alle donne migranti in Italia, attiviste per i diritti umani, hanno deciso di sostenere questo impegno, lanciando l’iniziativa Staffetta Femminista Italia – Afghanistan.

Cos’è Staffetta Femminista

7.000 chilometri e tante trappole mortali nel passaggio delle frontiere, separano l’Italia dall’Afghanistan: affiancando l’azione che CISDA svolge da anni, Staffetta Femminista li percorre idealmente per combattere gli stereotipi e la sottocultura sessista e patriarcale nella sua dimensione transnazionale.

Attiviste per i diritti umani, volontarie e operatrici impegnate nella lotta alla violenza di genere e nel supporto alle donne migranti, si uniscono in gruppi aperti al contributo di chiunque si riconosca negli obiettivi comuni.

Passandoci il testimone, di tappa in tappa, costruiamo un ponte di corpi, saperi e pratiche, per unirci alle attiviste afghane delle organizzazioni laiche e progressiste che lottano in gravissime difficoltà contro la guerra, il fondamentalismo e la violenza. Insieme, per abbattere tutte le frontiere costituite da quanto priva le donne del diritto alla vita e alla libertà, e testimoniare che un altro mondo è possibile.

Staffetta Femminista Italia – Afghanistan si unisce al progetto Vite Preziose per sostenere le donne afghane soggette a situazioni violenza. Queste donne ricevono ancora oggi, un aiuto dalle organizzazioni partner di Cisda al fine di concretizzare i loro progetti di vita e uscire dalla schiavitù.

Crea la tua squadra!

Sconfiggi la cultura della violenza dall’Italia all’Afghanistan (e ritorno).

Chiunque può entrare a far parte di Staffetta, creare una squadra con amiche e amici e colleghe e colleghi, anche se non è impegnata/o in nessuna associazione. Oppure, può scriverci a staffettafemminista@cisda.it  e realizzeremo noi un inserimento in una squadra attiva o in formazione. Anche associazioni, enti e scuole possono creare una propria squadra.

Non ci sono limiti minimi o massimi nel numero di componenti di una squadra: chiediamo solo l’impegno a sostenere economicamente per tutto il tempo possibile, l’azione svolta dalle organizzazioni afghane partner di CISDA che continuano a organizzare classi segrete, distribuzione di cibo, accoglienza e supporto alle vittime di violenza e ai loro bambini. Oppure a impegnarsi a realizzare iniziative (vedi sotto) di sensibilizzazione contro la violenza e di raccolta fondi a favore delle donne afghane inserite in percorsi di autodeterminazione, in collaborazione con il collettivo promotore di Staffetta.

Vuoi aiutarci a far crescere il progetto? Partecipa al collettivo promotore (vedi sotto).

Collettivo promotore

Staffetta Femminista è nata, in stretto raccordo con CISDA, da un gruppo di attiviste, operatrici e volontarie che operano impegnate contro la violenza maschile contro le donne e in aiuto alle migranti, in stretta connessione con le reti nazionali ed europee che richiedono un cambio delle politiche attualmente in vigore. Insieme a loro, attiviste impegnate nel campo dei diritti umani e del supporto allo sviluppo, anche in paesi in guerra, e nel movimento femminista.

Oggi Staffetta è parte integrante di Cisda, ma il collettivo promotore è sempre composto da volontarie interne ed esterne all’associazione, perché ci piace raccogliere sensibilità diverse rendendo Staffetta sempre più incisiva nella sua azione politica e sociale.

Se vuoi partecipare alla costruzione del progetto e delle diverse azioni, scrivici a staffettafemminista@cisda.it

Perché è nata Staffetta Femminista

La nostra azione solidale è azione politica: parte da un lavoro di base, quotidiano, a fianco di chi subisce violenza e vuole contribuire a cambiare la rotta.

L’attacco all’autodeterminazione femminile e ai diritti civili fondamentali avviene attraverso connessioni internazionali che moltiplicano i conflitti armati e valicano frontiere chiuse alla libera circolazione delle persone. Il sistema confinario europeo, sempre più violento, finanzia governi autoritari, sovranismi e fondamentalismi di ogni genere che operano per restringere i diritti conquistati dalle donne in Europa e nel resto del mondo, e costituiscono una minaccia per la democrazia.

Staffetta Femminista nasce dall’urgenza di contribuire a rispondere alle sfide contemporanee poste all’autodeterminazione delle donne in Europa e ovunque.

L’incapacità crescente, da parte del nostro paese e dell’Europa tutta, di condividere l’aspirazione alla pace e allo sviluppo con coloro che da noi cercano rifugio, si traduce in una difesa strenua e inutile delle frontiere e in un livello crescente di violazione dei diritti fondamentali dell’essere umano, trascinandoci in una guerra condotta da eserciti e da polizie europee contro donne, bambini e uomini disarmati. Si registra un incremento complessivo del clima di violenza e delle diverse forme in cui si manifesta.

Chi è impegnato nell’aiuto umanitario lungo le rotte, e chi opera nei centri antiviolenza europei si confronta con una violenza di genere resa ancora più feroce dalle condizioni in cui donne e persone vulnerabili sono costrette a viaggiare.

Mentre sviluppano nuove strategie di aiuto, attiviste, volontarie e operatrici sono sempre più consapevoli della dimensione transnazionale del patriarcato all’origine delle guerre e della violenza di genere: occorre combatterlo, allo stesso tempo in Italia, in Europa e nei paesi d’origine delle donne costrette a migrare.

Una strada che CISDA mantiene aperta da vent’anni con lucidità e impegno costante.

Perché Femminista?

Perché, come nella tradizione di CISDA, si mettono in gioco corpi e idee per attraversare e abbattere le frontiere, portando solidarietà per curare le ferite, senza dimenticarne le cause: una battaglia da fare insieme, donne e uomini, per combattere gli stereotipi e la sottocultura sessista e patriarcale nella sua dimensione transnazionale. Staffetta Femminista è un’iniziativa inaugurata da donne e aperta a tutti.

Perché dall’Italia all’Afghanistan (e ritorno)?

Perché è alla lotta per la pace e contro il fondamentalismo condotta dalle donne che praticano la democrazia più avanzata, di villaggio in villaggio, in questo paese martoriato da 40 anni di guerra, che vogliamo unire il nostro impegno in Europa, testimoniando che un altro mondo è possibile, e contribuendo ad abbattere idealmente tutte le frontiere costituite da quanto priva le donne del diritto alla vita e alla libertà.

  • curiamo le ferite, senza dimenticarne le cause
  • attraversiamo le frontiere perché si aprano alle migrazioni e allo scambio tra i popoli come condizione fondamentale del progresso comune
  • sosteniamo i diritti umani a partire dalla lotta contro le discriminazioni e la violenza di genere in un’ottica transnazionale

Sette, dieci, … tante squadre dall’Italia all’Afghanistan (e ritorno)

Staffetta nasce nel 2021, prima dell’avvento del nuovo governo Talebano, quando ogni possibilità di arrivare in Afghanistan è stata sospesa. Ci siamo quindi immaginate un percorso virtuale, lungo il quale unirci all’azione di informazione e di denuncia delle violazioni dei diritti umani e dei diritti delle donne, portata avanti da CISDA e dalle numerosissime associazioni attive in Europa e nei paesi posti lungo il percorso fino all’Afghanistan, dove le donne non cessano di sperare e lottare. I circa 7000 km che ci separano da Kabul attraverso Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Grecia, Turchia, Iran, Afghanistan erano così stati suddivisi in 7 tappe, ma Staffetta ha avuto un grande successo e le squadre sono diventate 10!

Recarci oggi in Afghanistan, in pieno regime Talebano, per fare visita alle nostre compagne è ancora più difficile. Abbiamo allora messo in atto tante strategie alternative per continuare a sostenerle e – con Staffetta – abbiamo ridefinito e rilanciato il progetto con l’indispensabile flessibilità, in una situazione in cui il regime ha distrutto tutti i dispositivi di aiuto alle donne: case protette e norme poste a tutela vittime di violenza, tribunali, giudici, avvocate, operatrici di accoglienza e psicologhe non esistono più, o sono sotto attacco.

Il nostro sogno e il nostro impegno è che Staffetta Femminista si possa presto trasformare in una delegazione in grado di raggiungere Kabul.  Nel frattempo, le attiviste e gli attivisti di Staffetta potranno contribuire con CISDA a realizzare una delle pratiche femministe più giuste e necessarie: sostenere le donne che sono rimaste nel paese per lottare per la propria autodeterminazione e per quella del proprio popolo, amplificandone la voce; e unirsi alle organizzazioni impegnate a tutelare i diritti di tutte le donne costrette a mettersi in viaggio o impegnate ad uscire dalla violenza in Italia e in Europa.

  • Squadra 1 dedicata a Meena (Kabul) – CADOM Monza
  • Squadra 2 dedicata a Hakima (Kapisa) – ANPI Seregno
  • Squadra 3 dedicata a Shamsia (Kabul) – sostenitori di varie associazioni ed enti, singoli/e
  • Squadra 4 dedicata a Malalai Nangarhar – sostenitori di varie associazioni ed enti, singoli/e
  • Squadra 5 dedicata a Lailuma – Teatro elfo Puccini Milano
  • Squadra 6 dedicata a Farzana – sostenitori di varie associazioni ed enti, singoli/e
  • Squadra 7 dedicata a diverse donne di Vite preziose – ANPI Monza, CREI e IC Via Correggio Monza; sostenitori di varie associazioni ed enti, singoli/e
  • Squadra 8 dedicata a diverse donne di Vite preziose – ARCI Scuotivento Monza, Casa delle Donne Desio
  • Squadra 9 dedicata a diverse donne di Vite preziose – CGIL Sicilia
  • Squadra 10 dedicata a diverse donne di Vite preziose – CGIL Sicilia

Enti e associazioni promotori insieme a CISDA

CADOM (Centro Aiuto Donne Maltrattate) – Monza

CREI (Centro Risorse Educazione Interculturale) – MONZA

Istituto Comprensivo di via Correggio – Monza

Casa delle Donne di Desio (MB)

Elfo Puccini – Teatro d’Arte Contemporanea – Milano

ANPI sez. Gianni Citterio – Monza

ANPI sez. Livio Colzani  – Seregno

Coordinamento Nazionale Donne ANPI

Distribuzione di capre a vedove e famiglie bisognose

Il progetto creato dall’associazione “Insieme si può” nel 2010 è ora sostenuto da Costa Family Foundation e CISDA , promosso da due delle associazioni che sosteniamo.

Si rivolge alle donne e alle famiglie più povere di varie province dell’Afghanistan.

La stragrande maggioranza della popolazione afghana vive in povertà, soprattutto le vedove e le famiglie particolarmente colpite dal conflitto devono lottare ogni giorno per guadagnarsi da vivere.

Le capre permettono a queste donne, in particolare vedove, in condizioni di estrema povertà, emarginazione e discriminazione di avere un sostentamento per la famiglia.

Ad ognuna di loro viene affidata una capra da latte. Questo consente di avviare delle micro attività generatrici di reddito.

Ogni donna beneficiaria si impegna a donare, a sua volta, una delle caprette che nasceranno dalla propria ad un’altra donna bisognosa della comunità/villaggio.

Centro culturale polivalente

Inaugurato nel marzo 2008 a Kabul. Realizzato in collaborazione con un’associazione afghana, ICS e CISDA e finanziato per un triennio da MAE (2007-2009 per un totale di 800.000 euro).
Il centro accoglie: una biblioteca accessibile a tutti gli studenti e gli uffici dell’Associazione.

CISDA sostiene le spese del sito Internet.

Le restrizioni alle donne peggiorano un sistema già fragile

Nel 2022, il 95% della popolazione non ha avuto abbastanza cibo per nutrirsi. Si prevede che nel 2023, oltre 3 milioni di bambini e bambine e 840.000 donne incinte e madri che allattano soffriranno di malnutrizione acuta. Basterebbero questi dati per immaginare quali possono essere le condizioni di salute degli afghani. Ma la malnutrizione si innesta in una situazione sanitaria estremamente fragile e i dati sono spaventosi:

  •  la tubercolosi provoca circa 13.000 morti ogni anno;
  •  nel 2022 si sono registrati 78.441 casi di morbillo, più del doppio rispetto al 2022, con 394 decessi;
  •  a metà del 2022 si è diffusa una grave epidemia di colera che nel 55,4% dei casi ha riguardato bambini con meno di 5 anni;
  • sono stati registrati 208.771 casi di Covid-19 con circa 8.000 decessi, cifre che l’OMS valuta in difetto a causa della limitata attività di tracciamento e diagnosi;
  •  negli ultimi anni i talebani hanno reso impraticabile la vaccinazione contro la poliomielite in ogni territorio che occupavano, mettendo a rischio di infezione fino a tre milioni di bambini;
  •  l’Afghanistan ha uno dei più alti tassi di mortalità infantile del mondo con 638 morti ogni 100.000 nati vivi (dati 2017, gli ultimi disponibili).

Alle malattie vanno aggiunte le migliaia di feriti per attentati, scontri armati e disastri naturali. Il sistema sanitario pubblico afgano è sottofinanziato, a corto di personale e disfunzionale, mentre quello privato, per via degli alti costi, risulta proibitivo per la maggior parte della popolazione.

Fino all’agosto 2021, il progetto Sehatmandi, finanziato dalla Banca Mondiale, ha sostenuto circa i due terzi di tutte le strutture pubbliche. Con la sospensione dei finanziamenti il sistema è collassato e gli operatori sanitari hanno smesso di ricevere gli stipendi: “Questo è avvenuto” si legge nel report 2023 di Medici Senza Frontiere “dopo che molti non erano stati pagati per mesi a causa di un mix di fondi insufficienti e cattiva gestione, compreso l’uso improprio dei fondi stessi”.

Nel giugno 2022, Unicef, Banca mondiale e OMS hanno concordato un finanziamento di 333 milioni di dollari per la fornitura di servizi sanitari emergenziali, ma permangono preoccupazioni sulla gestione di questi fondi.

Di fatto, le organizzazioni umanitarie, come Medici Senza Frontiere, Croce Rossa Internazionale, Emergency e le agenzie dell’ONU, sostituiscono da anni il sistema sanitario pubblico.

La cronica carenza di personale sanitario qualificato si è acutizzata dopo il ritorno dei talebani a causa delle restrizioni imposte alle donne, la cui presenza tra gli operatori sanitari era molto elevata. Per lo stesso motivo, la maggior parte delle entità che sostengono le persone con disabilità ha chiuso o ridotto i propri servizi.

Se è molto complesso e costoso per tutti gli afghani che vivono nelle zone rurali raggiungere i presidi sanitari, per le donne, a causa delle limitazioni imposte agli spostamenti, è diventata un’impresa quasi impossibile. Di conseguenza la salute di donne e bambini è ulteriormente compromessa.

Come segnalato nel rapporto dell’Human Rights Council dell’ONU del giugno 2023, le donne devono abitualmente partorire senza assistenza professionale o incorrere in debiti significativi per partorire presso strutture sanitarie private. Alle donne che cercano di entrare da sole nelle farmacie è stato negato l’accesso.

Altra piaga è il disagio mentale: contrariamente alle affermazioni dei talebani secondo cui i suicidi sono diminuiti e la salute mentale è migliorata dall’agosto 2021, le segnalazioni di depressione e suicidio sono diffuse, soprattutto tra le ragazze adolescenti a cui è stato impedito di proseguire gli studi.

Ma si sta verificando un altro grave sopruso nei confronti delle donne, come segnala il Rapporto annuale dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani: i funzionari del Ministero per la virtù e la prevenzione del vizio effettuano controlli presso le strutture mediche per verificare che medici maschi non stiano curando donne. Un veto che corrisponde, di fatto, a una condanna a morte visti gli ostacoli posti all’attività dei medici donna, il cui numero verrà ulteriormente ridotto in futuro a causa del divieto di accesso all’università per le donne.

 

Stop a bambine e ragazze

A giugno 2021, due mesi prima della presa del potere da parte dei talebani e venti anni dopo l’occupazione USA-NATO, il sistema scolastico afghano presentava già notevoli criticità.

La popolazione scolastica, secondo l’UNICEF, ammontava a 6,6 milioni nella scuola primaria (di cui 2,6 milioni di bambine, circa 4 su 10) e 3,1 milioni nella scuola secondaria (di cui 1,1 milioni di ragazze), mentre 4,2 milioni di bambini, di cui il 60% femmine, non frequentavano alcuna scuola.

Ma alla fine del ciclo primario, il 93% degli studenti non aveva comunque raggiunto il livello minimo di competenze.

Questo insuccesso va correlato alla permanente situazione di guerra, alla miseria e alla fame, alla mancanza di trasporti, al rischio di aggressioni e rapimenti durante il tragitto scuola-casa, ai matrimoni precoci, ai ruoli tradizionali, alla carenza e inadeguatezza degli edifici, spesso occupati da milizie armate, alla pesante corruzione, che ha vanificato i finanziamenti esteri, ma anche alla scarsa formazione del personale: solo il 38% degli insegnanti maschi e solo il 34% donne, destinate alle classi femminili, sono in possesso del titolo di studio richiesto (14° grado).

Brevi i turni di lezione, eccessivo il numero degli studenti per classe: tra 40 e 60.

Tra il 2001 e il 2021 il tasso di alfabetizzazione è raddoppiato (dal 17% a quasi il 30%), ma è rimasto fortemente disomogeneo per genere (l’analfabetismo femminile è tra l’84% e l’87%) e per aree geografiche, con le aree rurali fortemente penalizzate.

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, nell’agosto 2021, la riapertura graduale delle scuole ha escluso le ragazze a partire dal 7° grado (12 anni di età), causando forti proteste interne e condanne internazionali. Le pressioni dei donatori esteri, interessati a normalizzare le relazioni con il governo di fatto, si sono concretizzate in esenzioni da alcune sanzioni imposte precedentemente, come per esempio la risoluzione 2615 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 22 dicembre 2021, sostenuta da tre “General licences” USA, che si è concretizzata in donazioni per l’emergenza umanitaria e a favore dell’educazione delle ragazze: il 13 settembre 2021 ECW (il fondo ONU per emergenze educative), Italia e USA hanno versato 12 milioni di dollari; il 18 gennaio 2022 l’Unione Europea ha versato 50 milioni di euro per pagare gli insegnanti; il 25 gennaio 2022 l’Asian Development Bank ha versato 405 milioni di dollari per cibo, salute, educazione; il 1° marzo 2022 la Banca Mondiale un miliardo di dollari e così via.

Le pressioni per limitare l’oppressione di genere hanno inasprito il conflitto interno tra le fazioni al governo, da una parte coloro che vogliono trattare per ottenere fondi e dall’altra gli intransigenti. Malgrado determinate province abbiano riaperto alcune scuole alle ragazze, nel dicembre 2022 è stata vietata loro l’istruzione universitaria, e oltre 100.000 studentesse sono state espulse anche dallo studio di discipline (come medicina e pedagogia per la scuola primaria) in cui l’occupazione femminile viene parzialmente tollerata.

Intanto, la qualità dell’istruzione è totalmente compromessa: le discipline religiose in chiave fondamentalista sostituiscono in gran parte le altre materie, specie quelle scientifiche. Insegnanti e alunne sono sottoposte a misure vessatorie che scoraggiano la frequenza scolastica.

Infine, le istituzioni educative sono oggetto di attacchi terroristiche che colpiscono principalmente donne e ragazze: l’attacco contro il Kaaj Educational Center il 30 settembre 2022 a Kabul ha causato la morte di 54 persone e il ferimento di altre 114; la maggior parte delle vittime erano giovani donne e ragazze hazara che si stavano preparando per l’esame di ammissione all’università.

 

Informazione – Giornaliste e giornalisti bersaglio dei talebani

Dopo la presa del potere da parte dei talebani, la raccolta di notizie in Afghanistan da parte dei media locali è pressoché inesistente. Migliaia di giornalisti afgani, tra cui centinaia di donne i cui volti erano noti, sono stati bersaglio immediato della rappresaglia delle milizie talebane, costringendo molti di loro alla clandestinità o alla fuga.

Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa di Reporters Sans Frontières del 2020, l’Afghanistan era al 122° posto tra 180 paesi e nella mappa globale di Freedom House era classificato come paese non libero.

Già nel precedente governo di Ashraf Ghani però, si era tentato di limitare il lavoro indipendente dei reporter con una proposta di legge che avrebbe voluto obbligare alla rilevazione delle fonti. Proteste da parte delle categorie coinvolte avevano bloccato il tentativo di ingerenze dell’autorità, giustificato dal timore di ritorsioni. La situazione oggi si è ulteriormente aggravata.

Il 20 luglio 2022 Unama ha pubblicato un rapporto sui diritti umani in Afghanistan  nel quale, a proposito di informazione, si legge: “Nei 10 mesi trascorsi da quando hanno preso il controllo dell’Afghanistan, le autorità de facto hanno chiarito la loro posizione sui diritti alla libertà di riunione pacifica, alla libertà di espressione e alla libertà di opinione. Hanno limitato il dissenso reprimendo le proteste e limitando la libertà dei media, anche arrestando arbitrariamente giornalisti, manifestanti e attivisti della società civile e imponendo restrizioni ai media”. Sempre secondo il rapporto Unama, sono stati colpiti 173 giornalisti e operatori dei media, 163 dei quali sono stati attribuiti alle autorità de facto. Tra questi vi sono stati 122 casi di arresto e detenzione arbitrari, 58 casi di maltrattamento, 33 casi di minacce e intimidazioni e 12 casi di detenzione. Durante il primo anno di regime sono stati uccisi anche sei giornalisti (cinque da parte dell’ISIS-K, uno da autori sconosciuti).

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) l’11 agosto 2022 ha pubblicato un report  in cui viene denunciata la situazione dell’informazione in Afghanistan a un anno dalla presa del potere da parte dei talebani. Censure, arresti, aggressioni, restrizioni alle donne giornaliste, fuga di giornalisti esperti hanno ridotto in modo allarmante la libertà di informazione.

Il Rapporto di Human Rights Watch del 2023 nella sezione Eventi 2022 – Libertà di stampa e parola, a proposito della libertà dei media e dell’informazione dichiara: “Le autorità talebane hanno attuato un’ampia censura e messo in atto restrizione e violenze contro i media afghani a Kabul e nelle province. Centinaia di media sono stati chiusi e si stima che l’80% delle giornaliste in tutto l’Afghanistan abbia perso il lavoro o lasciato la professione dalla presa del potere da parte dei talebani nell’agosto 2021”.

Attualmente la situazione è peggiorata. I giornalisti e le giornaliste afghani che vogliono restare nel loro paese e non andare via devono essere aiutati, perché l’evacuazione non può essere la soluzione. Le minacce che provengono dal regime talebano repressivo e rigido non possono impedire che esca la verità su ciò che sta accadendo nel paese.  A tale proposito abbiamo raccolto la testimonianza di chi dall’interno resta e continua a resistere.

 

Ci sono ancora emittenti radiofoniche o televisive che trasmettono a livello nazionale? Se sì, quanti e quali sono?

Sebbene molti canali radiofonici e televisivi siano stati chiusi dopo la presa del potere da parte dei talebani, molti sono ancora operativi. Naturalmente, c’è una severa censura imposta dai talebani e molti giornalisti, conduttori di notizie ed editori sono stati arrestati e minacciati. Pertanto, tutti i media sono molto attenti ai loro rapporti.

Che tipo di programmi vengono trasmessi, e in che lingua?

La maggior parte dei programmi di intrattenimento sono stati chiusi. Non viene messo in onda alcun film o serie, anche se a tema religioso. In passato venivano messe in onda molte soap opera dalla Turchia e dall’India tradotte in dari e pashto. La TV nazionale sta agendo secondo l’agenda dei talebani. Ma ora sono vietati.

I telegiornali possono trasmettere immagini?

Sì, i telegiornali trasmettono immagini, ma invece la maggior parte delle immagini dai cartelloni pubblicitari e dai negozi della città sono state rimosse.

È vero che non si possono più fare foto o video?

Ufficialmente, non è vietato. Diversi gruppi di talebani agiscono secondo i loro metodi. Mentre alcuni gruppi fermano le persone, controllano i loro telefoni cellulari e cancellano immagini e video, mentre altri gruppi non se ne preoccupano.

Ci sono giornaliste che possono lavorare? Dovrebbero coprirsi completamente?

Alla maggior parte delle giornaliste donne è vietato apparire sugli schermi televisivi, e poche appaiono, ma devono seguire rigorosamente gli le imposizioni dei talebani sull’hijab. Devono vestirsi di nero dalla testa ai piedi e persino indossare una maschera nera. Solo i loro occhi sono visibili.

Ci sono giornali o stampa clandestina?

Alcuni giornali e canali televisivi operano dall’estero, mentre hanno i giornalisti segreti all’interno dell’Afghanistan o acquistano la maggior parte del materiale dalle agenzie di stampa internazionali. Usano anche il materiale dei social media, condiviso dai netizens all’interno del paese.

Che tipo di media utilizza il regime talebano per la sua propaganda?

La TV e la radio nazionali.