Skip to main content

Cronologia Afghanistan

A partire dagli eventi più recenti, questa cronologia ripercorre la storia dell’Afghanistan fino agli anni delle guerre di indipendenza.

2024

  • 4 gennaio: un portavoce del Ministero del Vizio e della Virtù dei Talebani annuncia l’arresto di un numero imprecisato di donne per aver indossato l’hijab in modo non corretto.
  • 6 gennaio: l’Isis-K ha rivendicato la responsabilità dell’esplosione di un minibus avvenuta nel quartiere occidentale di Dasht-e-Barchi a Kabul, in cui sono morte almeno due persone.
  • 18 febbraio – 19 febbraio: si è tenuta la II Conferenza di Doha sull’Afghanistan, organizzata dall’ONU. Il primo giorno si è svolto l’incontro di inviati speciali e gruppi provenienti dall’Afghanistan, tra cui rappresentanti delle donne e della società civile. I talebani sono stati invitati all’incontro ma hanno rifiutato di partecipare, adducendo condizioni non soddisfatte. Hanno partecipato all’incontro rappresentanti speciali di almeno 25 paesi. Quattro membri, tra cui Shah Gul Rezaee, Mahbouba Seraj, Mitra Mehran e Lotfullah Najafizada, rappresentano la società civile afghana. Antonio Guterres ha annunciato l’intenzione di avviare le consultazioni per la nomina di un inviato delle Nazioni Unite per facilitare le interazioni tra i talebani e la comunità internazionale. Il Segretario Generale dell’ONU ha espresso la speranza che i funzionari talebani partecipino a futuri incontri di questa natura.
  • 19 febbraio: una frana nella provincia del Nuristan seppellisce il villaggio di Nakre nella valle del Tatin e provoca la morte di almeno 25 persone.
  • 20 febbraio – 13 marzo: almeno 60 persone vengono uccise e altre 23 ferite a causa di inondazioni e condizioni meteorologiche avverse che coinvolgono neve e pioggia a livello nazionale.
  • 22 febbraio: le autorità talebane hanno eseguito due condanne a morte pubbliche. Le esecuzioni hanno avuto luogo nello stadio di Ghazni, nel sudest dell’Afghanistan, nei confronti di due uomini responsabili di due accoltellamenti mortali: di fronte a migliaia di spettatori, sono stati uccisi dai parenti delle vittime a colpi d’arma da fuoco.
  • 2 marzo: il Fronte per la Libertà ha affermato che i suoi membri hanno attaccato un avamposto talebano nella zona di Tahia-e Maskan, a nord di Kabul, sostenendo che nell’attacco sono stati uccisi alcuni membri talebani e che altri due sono rimasti feriti. In una precedente dichiarazione, il Fronte di Resistenza aveva affermato di aver ucciso un membro dei talebani e di averne feriti altri tre in un attacco avvenuto il giorno prima nel distretto di Farkhar, nella provincia nordorientale di Takhar.
  • 18 marzo: cinque donne e tre bambini vengono uccisi durante due attacchi aerei pakistani nelle province di Khost e Paktika in seguito alle accuse secondo cui dall’Afghanistan sarebbero partiti attacchi contro il Pakistan. In risposta, i talebani aprono il fuoco sulle truppe pakistane al confine.
  • 21 marzo: un attentato suicida, rivendicato dall’Isis-K, all’interno di una banca a Kandahar uccide 27 persone e ne ferisce oltre 50.
  • 23 marzo: Hibatullah Akhundzada, “leader supremo” dei talebani, ha annunciato alla radio afghana la reintroduzione della lapidazione, anche in pubblico, per le donne accusate di adulterio.
  • 12-14 aprile: almeno 33 persone vengono uccise e altre 27 ferite in inondazioni improvvise causate da forti piogge in 20 province.
  • 17 aprile – I Talebani ordinano la sospensione dei canali televisivi Noor TV e Barya TV con l’accusa di non aver “considerato i valori nazionali e islamici”.
  • 20 aprile: una persona viene uccisa e altre tre rimangono ferite in un attentato, con una bomba piazzata sotto un minibus, in un quartiere a maggioranza Hazara di Kabul. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 29 aprile: sei persone vengono uccise dopo che un uomo armato ha aperto il fuoco all’interno di una moschea sciita nel distretto di Guzara, nella provincia di Herat.
  • 3 maggio: forti proteste dei residenti del villaggio di Qarloq nel distretto di Darayim; Alcuni manifestanti hanno chiesto la “cacciata” dei talebani dalle loro zone. Almeno una persona è stata uccisa e diverse altre sono rimaste ferite quando i talebani hanno aperto il fuoco sui residenti. La portata di queste proteste si è estesa al distretto di Argo, nel Badakhshan, dove il giorno successivo decine di persone si sono radunate per protestare contro i talebani, scandendo slogan anti-talebani.
  • 7 maggio: un rapporto dell’United States Institute of Peace (USIP) rivela una minaccia crescente da parte dell’ISIS-K con capacità più ampie rispetto a prima del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Il Senior Study Group on Counterterrorism in Afghanistan and Pakistan ha valutato che l’ISIS-K ora “rappresenta una minaccia crescente con una portata che va oltre la regione immediata, maggiore rispetto al periodo precedente al ritiro”. Il rapporto mette in guardia dalle implicazioni regionali più ampie delle attività terroristiche incontrollate in Afghanistan, in particolare per quanto riguarda l’India.
  • 8 maggio: una motobomba uccide tre membri del personale di sicurezza talebani a Faizabad, nella provincia di Badakhshan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 9 maggio: nella provincia di Nangarhar, durante la manifestazione dei residenti contro la demolizione delle loro case, tre civili sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti quando i talebani hanno sparato per disperdere i dimostranti. L’incidente è avvenuto mentre i residenti stavano manifestando. Durante le proteste, alcuni residenti di Nangarhar hanno bloccato per due ore l’autostrada Jalalabad-Torkham per protesta.
  • 10 maggio – 25 maggio: 21 distretti nel Nord-Est dell’Afghanistan vengono colpiti da devastanti alluvioni. Save the Children fa sapere che, nella sola provincia di Baghlan, la più colpita, 40mila bambini sono rimasti senza casa. Il bilancio dei morti è di oltre 300 persone, secondo le stime del Programma alimentare mondiale (Wfp) delle Nazioni unite, tra cui si contano almeno 51 bambini, ha aggiunto l’Unicef. 80mila circa le persone colpite; ponti, strade, scuole e ospedali sono crollati; i servizi sanitari sono stati sospesi in almeno 11 cliniche delle province di Baghlan e Takhar. Dilagano gravi malattie come polmoniti e diarrea tra i bambini, a causa dell’assenza di acqua potabile. Un disastro aggravato da decenni di guerra e dall’incapacità del governo talebano di far fronte alle emergenze climatiche. Le vittime delle inondazioni a Baghlan hanno criticato i talebani per aver trascurato la loro situazione e non aver risposto adeguatamente alle loro esigenze. I residenti hanno riferito che gli sforzi di salvataggio dei talebani sono stati insufficienti, lasciando soli gli abitanti del villaggio nelle operazioni di salvataggio di che erano rimasti intrappolati dalle inondazioni.
  • 17 maggio: sei persone, tra cui tre cittadini spagnoli, vengono uccise e altre sette rimangono ferite in un attacco a fuoco a Bamiyan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 21 maggio: la Turkish Airlines riprende i voli per l’Afghanistan per la prima volta dalla presa del potere dei talebani nel 2021.
  • 3 giugno: il Kazakhistan ha rimosso i talebani dalla lista delle organizzaizoni terroristiche.
  • 4 giugno: un gruppo di manifestanti afghane ha pubblicato una risoluzione di dieci articoli che chiede il boicottaggio della partecipazione dei talebani al prossimo incontro di Doha e la fine dell’impegno globale con i talebani. Rivolgendosi alle Nazioni Unite, hanno sottolineato la necessità di includere nella riunione “figure non talebane” e rappresentanti di “fronti anti-talebani”. In rappresentanza dell’“Afghan Women’s Political Participation Network”, le donne hanno affermato che la nomina del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan dovrebbe “essere in linea con gli standard e le richieste del popolo afghano, in particolare delle donne”. Durante l’incontro di Doha hanno sollecitato il riconoscimento dell’“apartheid di genere” in Afghanistan e hanno chiesto la difesa dei diritti delle donne nel Paese.
  • 14 giugno: i talebani hanno frustato quasi 150 persone, tra cui 14 donne, in varie province negli ultimi 44 giorni, secondo i dati raccolti da Amu TV. La provincia di Sar-e Pul ha registrato il numero più alto di incidenti, seguita da Kandahar, Paktika, Ghazni, Nimroz, Ghor, Kunduz, Badakhshan, Khost, Bamyan, Kabul, Paktia, Parwan, Kapisa, Panjshir e Jawzjan. Le critiche pubbliche alle misure repressive dei talebani stanno crescendo. Molti afghani vedono queste punizioni come una continuazione della brutalità storica dei talebani. “I talebani di oggi non sono diversi dai talebani del passato. Erano soliti frustare le persone allora, e stanno facendo lo stesso ora. Il mondo non dovrebbe rimanere in silenzio nei confronti dei talebani”, ha affermato un residente di Kabul.
  • 30 giugno – 1 luglio: si tiene la III Conferenza di Doha, organizzata dall’Onu per normalizzare i rapporti con il governo de facto dell’Afghanistan e riaprire ufficialmente le relazioni economiche e politiche con le economie occidentali, che in realtà non si erano mai interrotte per alcuni paesi come Cina, India, Asia centrale, Russia, Iran. La novità è stata la partecipazione diretta dei talebani, che nelle due precedenti Conferenze di Doha non avevano accettato di partecipare, grazie all’accoglimento delle loro condizioni, finora sempre escluse, che hanno imposto di invitare solo loro come rappresentanti del popolo afghano (escludendo le donne e le organizzazioni per i diritti umani) e di non affrontare il problema dell’oppressione e dell’esclusione sistematica delle donne dall’istruzione e dalla società. Per approfondire leggi Doha 3: la “prima volta” dei talebani.
  • 8 luglio: almeno 217 persone, tra cui 180 membri dei talebani, sono state uccise e altre 212 sono rimaste ferite in attentati nel paese negli ultimi tre mesi, secondo un rapporto di Afghanistan Security Watch. Il rapporto dell’organismo di controllo ha elencato dettagliatamente 94 attacchi alla sicurezza registrati in 18 province durante questo periodo; Kabul ha registrato il numero più alto di incidenti, 47, seguita da Herat con 11, Baghlan con nove e Takhar con cinque; il Fronte della Resistenza ha rivendicato 57 attacchi, il Fronte della Libertà 19 e il gruppo Isis-K 6, mentre nove attacchi sono stati attribuiti a entità ignote. Il rapporto aggiunge che molti di questi attacchi hanno preso di mira le forze talebane, provocando la morte di 180 membri talebani e il ferimento di altri 168.
  • 10 luglio:
    • il Pakistan ha annunciato una proroga di un anno per i rifugiati afghani registrati, attenuando i timori di un rimpatrio immediato in Afghanistan. Il governo pakistano aveva già annunciato nell’ottobre dell’anno scorso il rimpatrio di tutti i migranti irregolari, adducendo motivi di sicurezza. Il rimpatrio degli afghani senza documenti è iniziato il 1° novembre, con i funzionari che ora segnalano che fino a 500.000 sono stati rimpatriati. Inizialmente, le autorità hanno dichiarato che c’erano circa 1,7 milioni di afghani senza documenti, la maggior parte dei quali risiedeva in Pakistan da 40 anni. “Il gabinetto federale ha approvato un’estensione di un anno della validità delle carte PoR (Proof of Registration) per 1,45 milioni di rifugiati afghani. Le loro carte PoR erano scadute il 30 giugno 2024. L’estensione è stata concessa fino al 30 giugno 2025”, ha affermato una dichiarazione dell’ufficio del Primo Ministro. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, in Pakistan vivono ancora circa 1,3 milioni di afghani registrati.
    • i talebani hanno frustato due individui con l’accusa di “falsificazione di documenti” nella provincia meridionale di Kandahar. Nelle ultime due settimane, i talebani hanno pubblicamente frustato almeno 38 persone in diverse province. Da quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno applicato punizioni corporali a centinaia di persone, comprese le esecuzioni.
  • 15 luglio – Almeno 40 persone muoiono a causa di una tempesta nella provincia di Nangarhar.
  • 30 luglio – I talebani sospendono le relazioni con 14 missioni diplomatiche afghane all’estero e annunciano che non accetteranno più documenti consolari emessi da queste missioni.
  • 5 agosto – I talebani consentono agli stranieri all’interno del paese con visti emessi dal precedente governo di rimanere, mentre coloro che hanno visti ma si trovano fuori dall’Afghanistan non potranno entrare senza documenti emessi da una missione diplomatica approvata dai talebani.
  • 11 agosto – Almeno una persona viene uccisa e altre undici rimangono ferite in un’esplosione di IED a Dasht-e-Barchi, Kabul, rivendicata dallo Stato Islamico.
  • 13 agosto – Tre civili afghani vengono uccisi durante scontri tra i talebani e le forze pakistane al valico di frontiera di Torkham.
  • 17 agosto – Il primo ministro uzbeko Abdulla Aripov diventa il più alto funzionario straniero a visitare l’Afghanistan dall’ascesa al potere dei talebani nel 2021.
  • 20 agosto
    • I talebani vietano l’ingresso nel paese al relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, accusandolo di diffondere “propaganda”.
    • Il ministero per la virtù dei talebani licenzia 281 membri delle forze di sicurezza per non aver fatto crescere la barba e annuncia di aver distrutto 21.328 strumenti musicali nell’ultimo anno, impedendo anche a migliaia di operatori informatici di vendere film “immorali e non etici” nei mercati.
  • 21 agosto – I talebani emanano nuove leggi sulla moralità e la virtù, limitando gravemente i diritti delle donne.
  • 29 agosto – I talebani vietano le arti marziali miste, dichiarando che sono troppo violente e presentano un rischio di morte, oltre a essere incompatibili con la legge islamica.
  • 2 settembre – Sei persone vengono uccise e altre 13 ferite in un attentato suicida nel quartiere di Qala Bakhtiar a Kabul. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco il giorno seguente.
  • 12 settembre – Quindici hazara vengono uccisi e altri sei feriti in un attacco armato nella provincia di Daykundi. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco.
  • 16 settembre – Le Nazioni Unite annunciano la sospensione del programma di vaccinazione contro la poliomielite nel paese a causa dei talebani.
  • 17 settembre – I talebani annunciano la riapertura dell’ambasciata afghana a Mascate, in Oman.
  • 22 settembre – L’Iran convoca il capo ad interim dell’ambasciata afghana dopo aver affermato che un funzionario afghano in visita non ha mostrato rispetto per l’inno nazionale del paese rimanendo seduto durante la sua esecuzione, pochi giorni dopo un episodio simile avvenuto in Pakistan. Il delegato afghano si scusa, sostenendo che ciò è avvenuto perché la performance pubblica di musica è vietata dai talebani.
  • 27 settembre – L’ambasciata afghana a Londra chiude in seguito a una “richiesta ufficiale” dell’Ufficio per gli Affari Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo del Regno Unito, secondo l’ambasciatore Zalmai Rassoul. Tuttavia, il FCO afferma che la decisione di chiudere l’ambasciata è stata presa dallo “Stato dell’Afghanistan”.
  • 23 ottobre – Undici persone rimangono ferite in un’esplosione in un mercato nel quartiere del Cinema Pamir a Kabul.
  • 24 ottobre – La provincia di Helmand impone un divieto sulla trasmissione, ripresa e creazione di immagini di esseri viventi.

2023

  • 1° gennaio: un attentato all’aeroporto di Kabul provoca un numero imprecisato di vittime
  • 11 gennaio: un attentatore suicida dell’ISIS-K uccide almeno 20 persone a Kabul.
  • 9 marzo: tre persone, tra cui Mohammad Dawood Muzamil, il governatore nominato dai talebani della provincia di Balkh, vengono uccise da un’esplosione nel suo ufficio.
  • 27 marzo: sei persone vengono uccise e molte altre ferite quando un attentatore suicida si fa esplodere nei pressi della sede del Ministero degli Affari Esteri a Kabul.
  • 4 aprile: i talebani vietano alle donne afghane di lavorare per le Nazioni Unite e i relativi fondi, programmi e agenzie.
  • 29 aprile: nonostante l’evidente pericolo e sfidando le forze di sicurezza talebane, a Kabul si svolge una manifestazione spontanea di un gruppo di donne che chiedono alla comunità internazionale di non riconoscere il governo dei talebani. L’iniziativa arriva in vista dell’incontro internazionale sull’Afghanistan convocato dalle Nazioni Unite a Doha.
  • 4 maggio: si chiude la conferenza ONU a Doha preceduta dalle forti polemiche scatenate dalle precedenti dichiarazioni della vice-segretaria, Amina Mohammed, che aveva accennato alla necessità di fare «piccoli passi» per un dialogo politico con i Talebani. Antonio Guterres ha riportato le conclusioni: nessun riconoscimento dell’Emirato, denuncia delle politiche discriminatorie, ma “non possiamo disimpegnarci”. Quindi l’ONU continuerà a lavorare in Afghanistan anche se il Consiglio di sicurezza è spaccato sullo stesso mandato di Unama, la missione Onu a Kabul (il cui termine è attualmente fissato al 17 marzo 2024), come sono divise tra loro le diverse agenzie ONU dopo che i talebani, ad aprile, hanno vietato alle donne afghane di lavorare per loro.
  • 8 giugno: muoiono 15 persone e sono oltre 50 i feriti in un attentato in una moschea di Faizabad, nel nord dell’Afghanistan, durante la celebrazione dei funerali del vicegovernatore della provincia di Badakhshan, il talebano Mawlawi Nisar Ahmad Ahmadi, ucciso in un attentato il 6 giugno.
  • 7 ottobre – Il Pakistan annuncia che, entro il 31 ottobre 2023, tutti gli stranieri irregolari, privi di documenti certificati dalle autorità dovranno lasciare il paese. Anche se l’annuncio riguarda tutti i cittadini stranieri, la misura colpisce principalmente gli afghani, circa 1 milione e 700mila rifugiati che, spesso, vivono in Pakistan da decenni o vi sono addirittura nati. Un numero alimentati anche dagli oltre 700mila che sarebbero arrivati nel paese dopo il ritorno al potere dei talebani.
  • 7 e 15 ottobre: tre forti terremoti di magnitudo 6.8 hanno squassato l’Afghanistan. L’epicentro è stato localizzato a 30 km a nord-est del distretto di Zinda Jan, nella provincia di Herat che conta poco meno di due milioni di abitanti. Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dello scorso dicembre, i terremoti hanno impattato circa 275.000 persone, in distretti dove il 23% della popolazione è composto da bambini di età inferiore ai 5 anni; anche se avere dati affidabili non è facile, il sisma dovrebbe avere provocato la morte di circa 1.500 afghani e il ferimento di oltre 2.100. Gravissimo l’impatto sulle infrastrutture con centinaia di abitazioni distrutte, danni a una rete idrica già fortemente compromessa e a circa 40 strutture sanitarie.
  • 29 dicembre: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato quasi all’unanimità una delibera che darà l’avvio a un nuovo corso nei rapporti del mondo con l’Afghanistan dei Talebani il cui obiettivo è “un Afghanistan in pace con se stesso e con i suoi vicini, pienamente reintegrato nella comunità internazionale e che onori i suoi obblighi internazionali”. Un provvedimento che cambia la strategia finora adottata dall’ONU e confermata nella Conferenza di Doha dello scorso maggio che stabiliva di non trattare direttamente con i Talebani finché non avessero riconosciuto i diritti alle donne.

2022

  • Marzo: è definitivamente vietato l’accesso alle donne alla scuola secondaria.
  • 7 maggio: alle donne viene ordinato di coprirsi integralmente, visi compresi, in pubblico, e, in genere, di starsene a casa. È inoltre loro vietato di compiere viaggi interurbani senza essere accompagnate da un uomo.
  • Novembre: alle donne è vietato l’ingresso in parchi, luna park, palestre e bagni pubblici.
  • 7 dicembre: riprendono esecuzioni e fustigazioni pubbliche.
  • 20 dicembre: alle donne è vietato l’accesso all’università.
  • 24 dicembre: è vietato alle ONG di impiegare personale femminile.

2021

  • 1° maggio: ha inizio l’offensiva dei talebani che li porta a controllare, nei giro di 3 mesi, 223 distretti contro i 73 pre-offensiva.
  • 2 luglio: Germania e Italia ritirano le loro truppe. Le truppe USA lasciano l’aeroporto di Bagram, consegnandolo alle forze armate afghane.
  • 6 agosto: i talebani lanciano l’assalto alle principali città dove le forze dell’esercito afghano si arrendono senza combattere.
  • 13 agosto: i talebani prendono Herat, Kandahar e Lashkargah.
  • 15 agosto: Ashraf Ghani fugge dal Paese e Kabul viene conquistata dai talebani.
  • 6 settembre: viene conquistata la provincia del Panjshir; i talebani dichiarano il controllo territoriale su tutto il Paese e reinstaurano l’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
  • 12 settembre: i talebani annunciano che le donne possono frequentare le università solo utilizzando ingressi e aule separate; gli studenti e le studentesse possono avere insegnanti solo del proprio sesso o uomini anziani.

2020

  • 18 febbraio: a distanza di quasi 6 mesi dalle elezioni, Ashraf Ghani viene formalmente dichiarato vincitore e quindi presidente; Abdullah Abdullah contesta i risultati e annuncia la formazione di un proprio governo.
  • 29 febbraio: viene siglato l’Accordo di Doha tra USA e talebani che chiude formalmente il conflitto armato e prevede il totale ritiro dal paese delle forze NATO entro il 31 agosto 2021; parti degli accordi vengono secretate. Contestualmente viene siglato a Kabul un accordo diplomatico con il governo che serve solo a rassicurare Ghani.
  • 12 settembre: i talebani incominciano a negoziare a Doha con i rappresentanti del fronte “repubblicano” di Kabul che comprende un’ampia schiera di attori politici, legati ai precedenti governi e a varie fazioni fondamentaliste.

2019

  • Febbraio: a Mosca incontro infra-afgano tra i talebani e altre figure afgane, fra cui Karzai, ma non membri del governo di Ghani. Proseguono i colloqui tra americani e talebani.
  • UNAMA: il numero di morti e feriti civili nel primo trimestre del 2019 è paragonabile a quello dell’anno precedente, ma per la prima volta dal 2009 le morti civili attribuite a governo afghano, USA e forze internazionali hanno superato quelle attribuite ai talebani e all’ISIS-K.
  • 28 settembre: dopo innumerevoli rinvii, si tengono le elezioni presidenziali.

2014

  • Aprile e giugno: elezioni presidenziali. Il risultato viene contestato con l’accusa di brogli e a settembre una commissione elettorale indipendente dichiara nuovo presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani Ahmadzai. Sotto le pressioni internazionali, viene sancito un travagliato accordo per un governo di unità nazionale, nel quale lo sconfitto al ballottaggio, Abdullah Abdullah, è nominato primo ministro.

2015

  • L’Institute for the Study of War documenta la presenza dell’ISIS nel Paese, in particolare nelle zone al confine con il Pakistan.
  • UNAMA: 3.545 morti e 7.457 feriti civili causati da scontri e bombe nel conflitto tra signori della guerra, talebani, esercito e polizia afghani e forze NATO.
  • La FAO dichiara che il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno.

2016

  • Continuano gli attentati dei talebani e dell’ISIS e gli scontri diretti tra forze USA/forze armate afghane e talebani/ISIS.
  • 22 settembre: dopo un negoziato di due anni sotto l’egida del “Comitato quadrilaterale”, Afghanistan-Pakistan-Cina-USA, il governo afghano firma accordi di pace con il movimento armato Hezb-e-Islami di Hekmatyar, responsabile di crimini contro l’umanità.

2017

  • Il paese è sempre più instabile con quotidiani attentati e scontri armati.

2018

  • Luglio: ufficiali americani iniziano colloqui segreti con i talebani presso il loro ufficio politico di Doha.
  • UNAMA: morti e feriti civili sono aumentati rispettivamente del 5% e del 11% rispetto al 2017.
  • Transparency International: l’Afghanistan è al 172 posto (su 180) dei paesi più corrotti al mondo.

2010

  • 16 marzo: viene varata una legge che prevede l’amnistia per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti dell’uomo compiuti prima del 2001.
  • 18 settembre: terze elezioni parlamentari. Ottengono la maggioranza dei seggi tre partiti fondamentalisti che erano stati protagonisti della guerra fazionale 1992-1996, guidati rispettivamente dai signori della guerra Rabbani, Mohaqiq e Dostum.

2009

  • I talebani controllano tre quarti del paese e sono ormai alle porte di Kabul. Si moltiplicano gli attentati, in cui perdono la vita soprattutto civili innocenti. Viene convertito in legge un decreto che legalizza la discriminazione contro le donne sciite.
  • 20 agosto: si tengono le seconde elezioni presidenziali. Dopo alterne vicende e accuse di brogli, la presidenza viene confermata a Hamid Karzai.

2007

  • La NATO estende di altri 12 mesi il mandato ISAF. Continuano le violenze, il Paese non vede segnali tangibili di ricostruzione. Il Parlamento emana la Legge sulla riconciliazione nazionale, l’amnistia generale e la stabilità nazionale, che garantisce la completa impunità ai responsabili di atroci crimini.
  • 21 maggio: Malalai Joya viene illegalmente sospesa dalla carica di deputata.

2005

  • 18 settembre: si tengono le prime elezioni parlamentari. Viene eletto un Parlamento formato per la maggior parte dai leader di fazioni fondamentaliste responsabili di crimini di guerra. L’attivista Malalai Joya viene eletta con migliaia di voti.
  • Si intensificano gli atti della resistenza talebana. La NATO espande la presenza dell’ISAF nell’ovest del Paese.

2004

  • 25 gennaio: il presidente Karzai promulga il testo della nuova Costituzione, che sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna “davanti alla legge” (art. 22). Il testo costituzionale afferma però che “nessuna legge potrà essere contraria ai princìpi e ai precetti della sacra religione dell’Islam in Afghanistan” (art. 3).
  • 9 ottobre: si tengono le prime elezioni presidenziali che confermano Karzai alla guida del paese.
  • Il paese è leader mondiale nella produzione di oppio.
  • Viene fondato il Partito afgano della solidarietà, Hambastagi, di ispirazione laica e democratica, che apertamente denuncia la corruzione e i crimini dei principali esponenti del governo e della politica afghana.

2003

  • Kabul è ancora sotto il controllo del governo solo grazie alla presenza di un contingente militare internazionale (ISAF), ma il resto del Paese è già attraversato da lotte di potere e attentati.
  • 17 dicembre: Malalai Joya, giovane operatrice sociale della provincia di Farah, prende la parola alla Loya Jirga, denunciando la presenza di signori della guerra responsabili della distruzione del Paese.

2002

  • 8 marzo: prima celebrazione della Giornata internazionale della donna a Kabul.
  • Giugno: la Loya Jirga, assemblea generale dei capi tribù, indetta dopo gli accordi di Bonn, elegge Hamid Karzai alla guida del governo di transizione formato dai signori della guerra che hanno devastato il paese negli anni della guerra civile.

2001

  • Marzo: a Bamiyan i talebani fanno saltare le grandi statue di Buddha.
  • 9 settembre: Ahmad Shah Massud, capo dell’Alleanza del Nord, viene assassinato in un attentato di al Qaeda.
  • 11 settembre: al Qaeda dirotta quattro aerei negli USA, distruggendo il World Trade Center a New York e colpendo il Pentagono.
  • 7 ottobre: gli USA si pongono alla guida di un’ampia coalizione e lanciano un attacco contro i talebani, appoggiando le forze dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord. I talebani vengono cacciati da Kabul in poche settimane.
  • 5 dicembre: nella Conferenza di Bonn, quattro delegazioni afghane siglano, sotto l’egida dell’ONU, un accordo per la ricostruzione di uno Stato rappresentativo. Hamid Karzai viene nominato presidente ad interim dell’Afghanistan.

1996

  • I talebani conquistano Kabul e instaurano un regime oscurantista, basato sulla sharia, che nega ogni diritto alle donne. Osama bin Laden organizza campi di al Qaeda in Afghanistan.

1995

  • I talebani conquistano Herat e Kandahar.

1994

  • La guerra civile riduce Kabul in rovine. In Pakistan si formano i primi gruppi di talebani.

1993

  • La guerra civile tra i signori della guerra Burhanuddin Rabbani, Abdul Rashid Dostum e Gulbuddin Hekmatyar provoca decine di migliaia di vittime.

1992

  • Aprile: i mujaheddin prendono Kabul e spodestano Najibullah.

1989

  • Febbraio: le truppe sovietiche si ritirano dall’Afghanistan, lasciando al potere il regime fantoccio di Najibullah contro il quale i mujaheddin continuano a combattere.

1987

  • I mujaheddin ottengono importanti vittorie.

1982

  • Osama bin Laden si trasferisce in Pakistan.

1980

  • I mujaheddin, gruppi anticomunisti e ribelli islamici, cominciano la lotta di resistenza contro gli occupanti sovietici. Massicce manifestazioni studentesche antisovietiche a Kabul.

1979

  • Febbraio: l’ambasciatore degli USA è rapito e ucciso. Il nuovo regime firma accordi con l’URSS. Due presidenti afghani vengono uccisi l’uno dopo l’altro.
  • Dicembre: le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan.

1978

  • Aprile: il PDPA compie un colpo di stato e uccide Daud. Migliaia di intellettuali e democratici afghani vengono incarcerati o uccisi.

1977

  • L’attivista Meena Keshwar Kamal fonda RAWA.

1973

  • Re Zahir è spodestato da Daud e da membri del PDPA. La monarchia viene abolita. Daud si proclama presidente.

1965

  • Prime elezioni nazionali. Votano gli uomini e le donne. Nasce il Partito democratico del popolo afghano (PDPA), filosovietico.

1964

  • Viene varata una nuova Costituzione democratica che sancisce il voto per le donne.

1963

  • Re Zahir rimuove il primo ministro Daud.

1959

  • Daud e altri ministri appaiono in pubblico con le loro mogli senza velo. Portare il velo diventa facoltativo. L’università di Kabul apre alle donne. Le donne entrano nel mondo del lavoro e nelle istituzioni.

1955

  • Daud si rivolge all’URSS per chiedere appoggi e aiuti.

1953

  • Il principe Mohammed Daud diventa primo ministro dell’Afghanistan sotto re Zahir, suo cugino.

1947

  • La Gran Bretagna si ritira dall’India: separazione del Pakistan dall’India.

1933-1973

  • Regno di Mohammed Zahir, sovrano aperto al mondo occidentale.

1921

  • Terza guerra anglo-afghana. L’Afghanistan ottiene la piena indipendenza. Re Amanullah avvia la modernizzazione sociale e politica del paese. L’istruzione delle donne riceve particolare attenzione.

1878-1880

  • Seconda guerra anglo-afghana, nella quale si distingue l’eroina afghana “Malalai of Maiwand”.

1839-1842

  • Prima guerra anglo-afghana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese, l’Afghanistan. Noi resistiamo, oltre il silenzio”

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.

La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. 

La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.

Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa?
Shakiba: È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio. 

Come vi proteggete?
Shakiba: Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere. 

Una condizione psicologica molto faticosa.
Shakiba: Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia. 

Come vi spostate quando andate fuori città?
Shakiba: Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.

Non è una novità per Rawa.
Shakiba: Infatti. Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere. 

Dove sono queste telecamere? 
Shakiba: Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.

Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte?
Shakiba: Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore. 

I Talebani hanno sostegno nelle province?
Shakiba: Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.

L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli?
Shakiba: In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno. 

Quindi è possibile, nel futuro?
Shakiba: Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali. Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese. 

Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani.
Shakiba: Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.

Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro.
Shakiba: Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.

Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni?
Shakiba: Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.

Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne?
Shakiba: Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.

Hanno paura delle donne?
Shakiba: Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.

Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto.
Shakiba: C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.

Di quali crimini parliamo?
Shakiba: Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara, violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.

Anche una guerra tecnologica con i Talebani?
Shakiba: Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere. 

Organizzate ancora manifestazioni?
Shakiba: Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.

L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare?
Shakiba: Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. La presa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.  

La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare?
Shakiba: Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata 

Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani?
Shakiba: I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile. 

I Talebani hanno rivali sul territorio?
Shakiba: Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai. 

Qual è il messaggio più forte per la vostra gente?
Shakiba: Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.  

A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.

Afghanistan, Shakiba: “I Talebani hanno paura delle donne”

Articolo pubblicato da Luce il 30 ottobre 2024

Shakiba, esponente della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa), non ha dubbi: “La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani, il 15 agosto 2021, è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce“. L’attivista torna quindi a puntare i riflettori su una situazione, quella femminile in Afghanistan, che definire drammatica è riduttivo.

Shakiba, di cui non conosciamo il cognome e l’aspetto per questioni di sicurezza, è stata intervistata dall’agenzia Dire dopo la sua partecipazione a un panel nell’ambito del Festival Sabir a Roma, dedicato alla campagna internazionale che chiedere alle Nazioni Unite di aggiungere il reato di apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’attivista spiega le ragioni per cui l’Afghanistan è tra i Paesi simbolo per testimoniare la gravità di questo reato: “Alle donne è stato portato via tutto: il loro lavoro, la loro professione, la possibilità di accedere alle università e di andare a scuola. Non possono neanche andare nei parchi o nei bagni pubblici e devono viaggiare solo se accompagnate da un familiare maschio”, afferma.

Vietato parlare ad alta voce

L’ultimo affondo ai diritti femminili, già ridotti all’osso, è stata la dichiarazione del ministro per la Promozione delle virtù e la prevenzione dei vizi, Mohammad Khalid Hanafi, secondo cui alle donne è vietato recitare ad alta voce preghiere o versetti del Corano in casa, davanti ad altre donne adulte. “Se non possono pregare ad alta voce – ha detto il politico – come possiamo pensare che possano cantare?”. L’applicazione delle nuove norme, ha chiarito il ministro, “sarà implementata gradualmente”. Affermazioni che hanno scatenato una nuova ondata di critiche e polemiche a livello internazionale, soprattutto da associazioni per i diritti umani. Sebbene il ministro si riferisca alla preghiera, la sensazione è che il provvedimento si sommi alle disposizioni di agosto, secondo cui le donne non possono parlare ad alta voce in pubblico e mostrare il viso fuori delle mura domestiche.

L’emittente televisiva Amu Tv cita la testimonianza di Samira, un’ostetrica di Herat, secondo cui “negli ultimi mesi i controlli da parte dei talebani si sono intensificati. Non ci permettono di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”. Inoltre, alle donne è consentito studiare solo fino ai 12 anni. Un’altra testata locale, Tolo News, riporta i commenti seguiti alle dichiarazioni di Hanafi da parte di alcuni teologi che incoraggiano, invece, il governo di Kabul a permettere alle donne di studiare, evidenziando che il Corano lo consente, e che andrebbe a beneficio dell’intera società. Il discorso dell’esponente di governo, inoltre, è stato diffuso in formato audio perché la scorsa settimana il ministero ha adottato un decreto che vieta la trasmissione televisiva di immagini di esseri umani.

Le donne afghane protestano contro i talebani al potere

Le prime a resistere e a scendere in piazza contro i talebani

Shakiba riferisce di una realtà in cui “le donne che hanno provato a resistere alle decisioni dei talebani sono state torturate, arrestate, incarcerate, persino uccise. Ci sono così tante storie di donne picchiate a morte o scomparse. Coloro che avevano impieghi in polizia, nelle istituzioni di governo o all’interno delle ong sono state arrestate e spesso uccise segretamente. Le famiglie non hanno mai riavuto i corpi”. Questo ha costretto moltissime persone a lasciare il Paese, “soprattutto le donne – prosegue l’esponente di Rawa – perché non si può vivere in un paese guidato da fondamentalisti contrari al progresso, ai diritti umani e alla pace”. L’accanimento dei talebani contro le donne, secondo Shakiba, dipende dal fatto che “sono state le prime a resistere e scendere in piazza a Kabul per protestare contro il loro ritorno”. E spiega: “Nei 20 anni precedenti, avevano visto i talebani bombardare le case della gente comune e farsi esplodere negli ospedali, nelle scuole, o nei luoghi frequentati da donne e bambini. Le afghane sanno che i talebani hanno paura di loro, delle loro proteste, della loro istruzione, della loro coscienza politica”.

Le reponsabilità occidentali

L’esponente della Rawa cita anche le responsabilità della presenza Nato a guida americana in Afghanistan: “Dopo 20 anni l’Occidente ha deluso gli afghani perché ha lasciato che i talebani tornassero al potere. Gli Stati Uniti hanno invaso e occupato il mio Paese con la scusa di combattere il fondamentalismo terrorista e liberare le donne, ma non hanno mai smesso di dare armi e milioni di dollari al peggior gruppo fondamentalista al mondo. Perché – si chiede Shakiba –. Washington e i suoi alleati non hanno sostenuto le forze democratiche e progressiste che davvero volevano il cambiamento? È stata una scelta politica sbagliata, che dura da oltre 40 anni”.

Pertanto, l’attivista denuncia: “Si parla di portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale, bene, ma non deve restare su carta, deve essere fatto”. All’Europa e soprattutto all’Italia – che ad agosto ha nominato Sabrina Ugolino nuova ambasciatrice d’Italia in Afghanistan, che sarà operativa da Doha – chiede: “Supportate i movimenti come il nostro, ma anche tutti i movimenti politici di donne che stanno soffrendo le violenze, come quelle in Siria, facendo pressioni sui vostri governi e politici affinché taglino ogni sostegno ai fondamentalisti”. Infine, un cenno alla componente maschile della società afghana: “Ci sono tanti uomini dalla mentalità aperta, istruiti, democratici, che si oppongono all’oppressione subita dalle donne. Attraverso i social media si sono attivati in tanti modi, perché pubblicamente rischiano troppo: ai cortei indetti dalle donne, i talebani infatti sparano in aria per disperderle, ma se vedono degli uomini, gli sparano contro. Pensiamo che dovrebbero unirsi e alzare la voce tutti insieme. Se l’Afghanistan vuole cambiare, dobbiamo sollevarci tutti“.

Non di solo fondamentalismo vivono i Talebani: tra oppressione, corruzione e un fiume di denaro

È risaputo: il governo talebano si sostiene con gli aiuti che i Paesi occidentali donatori, e gli Stati Uniti in particolate, inviano in Afghanistan.

I rapporti dell’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) l’hanno mostrato più volte. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani in vario modo e trattenuti, con le buone o le cattive, per il sostegno diretto dell’apparato statale e per foraggiare il consenso e la fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote, senza che le organizzazioni preposte alla distribuzione abbiano la capacità o la volontà di controllo o rifiuto.

Ma come hanno fatto i Talebani a mettere in piedi in così breve tempo questo modello di governanceIn realtà, l’apparato era già pronto: l’economia afghana era già abituata a mantenersi grazie ai finanziamenti esterni e alla corruzione. Nei vent’anni di dominio statunitense la Repubblica islamica non aveva sviluppato un’economia indipendente e autosufficiente perché la politica Usa era stata quella di usare i “soldi come arma”, inondare cioè l’Afghanistan con un’enorme quantità di denaro per “tenere buoni” i terroristi e le possibili ribellioni senza dover intervenire direttamente con soldati e armi.

Quando gli Stati Uniti e la coalizione hanno lasciato il Paese, tutti coloro che si erano mantenuti e arricchiti grazie a questo sistema di corruzione sono scappati dall’Afghanistan o si sono nascosti ma nulla è mutato: sono semplicemente cambiati i destinatari, sono stati sostituiti dai Talebani, dai loro miliziani e sostenitori, che si sono infilati ovunque hanno potuto per accaparrarsi le fonti di reddito e di ricchezza. 

Quindi le tasse, le tangenti, i balzelli che sistematicamente e in grande quantità vengono richiesti non solo alle ricche Ong e alle istituzioni internazionali che forniscono gli aiuti ma finanche agli strati più poveri della popolazione affamata e alle più povere fra le donne, quelle senza marito e senza lavoro, vanno ad arricchire non tanto le tasche dello Stato quanto quelle personali dei ministri talebani, il loro patrimonio personale e quello dei loro affiliati, così facendo dell’Afghanistan uno Stato cleptocratico in piena regola. 

In che modo i Talebani producono la loro ricchezza? Innanzitutto attraverso le tasse, “un sistema fiscale tanto rigoroso ed efficiente da aver ricevuto gli elogi delle agenzie internazionali, che è in realtà un sistema di estorsione che mettono in atto con la loro autorità per consolidare il loro potere, sostenere la macchina repressiva, costruire madrase e moschee, promuovere la talebanizzazione della società, senza fornire alcun servizio alla popolazione. Di fatto di un sistema di estorsione rivolto a una delle popolazioni più disgraziate del Pianeta”, spiega Zan times.

Ma raccolgono le loro entrate anche attraverso la distribuzione di varie licenze e servizi per i quali possono addebitare tariffe ufficiali e tangenti non ufficiali, come per i passaporti e le carte d’identità. Nel 2022 per un passaporto venivano chiesti tra gli 800 e i tremila dollari, così raccogliendo in spese di emissione un totale di circa 50 milioni di dollari. Il prezzo delle carte d’identità è arrivato a cinque dollari, un costo significativo per più della metà dei cittadini afghani che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, e finora i Talebani ne hanno distribuito circa quattro milioni. 

Le tasse vengono riscosse anche in modo informale, attraverso visite porta a porta, con incarcerazioni, minacce e atti di violenza in caso di mancato pagamento dei dazi doganali e fiscali e delle sempre nuove tasse richieste al settore privato, esorbitanti anche per gli imprenditori. 

E poi ci sono le tangenti che vengono richieste alle donne e ai loro famigliari. Grazie alle leggi che tolgono le libertà alle donne, chi ha in mano il potere può lucrare sulle concessioni rilasciate di volta in volta. Le restrizioni per le donne a viaggiare da sole o all’estero, l’imposizione di indossare l’hijab, il divieto di lavorare sono state trasformate in fonti di guadagno per chi gestisce il potere, per quanto piccolo: molte donne hanno testimoniato che sono riuscite a passare la frontiera o a viaggiare solo grazie alle tangenti o alle multe che hanno dovuto pagare. 

Si scopre così che tutte le limitazioni imposte alla popolazione e in particolare alle donne non sono dettate solo dal furore fondamentalista dei religiosi talebani che vogliono diffondere la sharia ma di più dalla ricaduta economica che i funzionari che le applicano possono trarne in termini di tangenti, imposte per qualsiasi servizio indispensabile alla sopravvivenza della popolazione. 

Anche l’assoluta subordinazione cui sono costrette le donne e che le costringe a lavorare in condizioni di schiavitù, mentre le rende lo strato più povero della popolazione -gli aiuti umanitari arrivano per ultimi o mai alle donne e ai bambini- permette ai Talebani di arricchirsi sfruttando il loro lavoro.

Dove non bastano le tasse arriva la corruzione. Alcuni testimoni hanno raccontato a 8AM Media che la corruzione è aumentata enormemente rispetto al primo emirato. “I funzionari sono coinvolti in iniziative commerciali, nell’acquisto di terreni e case, nella costruzione di serbatoi petroliferi e nella conduzione di scambi commerciali. Inoltre si vedono casi di traffico di droga e la maggior parte dei comandanti locali, una volta insediati, prendono la seconda, la terza e la quarta moglie, organizzano nozze sontuose e comprano auto costose. Gli stessi funzionari ammettono che la corruzione, particolarmente dilagante nelle dogane, è incontrollabile, perché ogni comandante o membro talebano ha affiliazioni con il regime ed è intoccabile”. 

Nella struttura di potere talebana, dove le mogli sono considerate uno status symbol, leader, funzionari e combattenti stanno alimentando la pratica di offrire “prezzi per la sposa” superiori a quelli di mercato, sfruttando il desiderio di ingraziarsi i Talebani con un legame di sangue o la paura di ritorsioni in caso di rifiuto. 

Anche l’impiego nel governo è un mezzo con cui premiano combattenti e lealisti e allo stesso tempo puniscono chiunque non sia d’accordo con loro, perciò è stato fin da subito oggetto delle loro “attenzioni” per assicurarsene il controllo attraverso diversi assurdi decreti, come la sostituzione delle dipendenti pubbliche del ministero delle Finanze con i membri maschi della famiglia, indipendentemente dalla qualifica, o l’introduzione di un test religioso, arbitrariamente utilizzato per licenziare i lavoratori negli ospedali pubblici e a tutti i livelli del ministero dell’Istruzione.

A maggior ragione, le posizioni di potere sono state affidate ai parenti: le accuse ai leader talebani di aver nominato i propri figli e altri parenti maschi a posizioni governative sono diventate così gravi che il leader supremo Akhundzada ha emesso un decreto nel marzo 2023 che ordinava ai funzionari di smettere.

Ma se i privilegi dei piccoli funzionari servono ai Talebani per garantirsi la loro indiscussa fedeltà, i leader più potenti hanno fonti di reddito più consistenti e soprattutto si organizzano per mettere al sicuro, all’estero, le ricchezze ottenute, seguendo strade già ben consolidate dal precedente governo, cioè attraverso i viaggi.

Motivi di salute” è la scusa per aggirare le sanzioni internazionali che vietano ai Talebani al governo -tutti accusati di terrorismo internazionale già da molti anni- di viaggiare. Ma in realtà il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e la Turchia sono sempre stati disposti a fornire ai singoli leader talebani un rifugio sicuro per i loro beni o per le loro famiglie, per spostare risorse finanziarie personali all’estero.

Pur facendo bilanci pubblici, il governo è riluttante a spiegare come le risorse economiche vengono usate. Per i contratti governativi, le vendite di proprietà, le licenze e le varie concessioni non esistono una contabilità e criteri per l’assegnazione pubblici, nè meccanismi di responsabilità esterna. Secondo il presidente dell’Afghan peace watch, i familiari stretti di almeno due attuali ministri ad interim talebani hanno uffici privati attraverso i quali i firmatari afghani e stranieri possono ottenere contratti governativi e altri favori per una tariffa extra.

Più che preoccuparsi per il riconoscimento internazionale, i Talebani sembrano interessati ad aumentare il loro accesso al denaro contante, e le entrate doganali sono una fonte importante di valuta, dato che la comunità internazionale ha tagliato l’accesso alle riserve di valuta estera. 

Le esportazioni e i dazi doganali legati alle risorse naturali hanno aumentato notevolmente le loro entrate. I leader talebani hanno un’influenza praticamente incontrollata sui diritti, sull’estrazione e sull’esportazione delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Specialmente il carbone -che si basa sul lavoro dei bambini -, ma un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato che contrabbandano anche pietre preziose e metalli semipreziosi verso l’Asia centrale, l’Europa e il Golfo Persico. Allo stesso modo, il disboscamento illegale e le esportazioni di legname sono diventati molto redditizi.

Anche il contrabbando è una fonte di ricchezza. Un’importante via per il commercio illecito, il traffico di droga e altre pratiche corrotte è l’Accordo commerciale di transito tra il Pakistan e l’Afghanistan (Aptta) che vede dirottare nel mercato nero del Pakistan un’immensa quantità di prodotti aggirando tariffe e dazi, secondo alcune stime per miliardi di dollari, senza che vengano imposti controlli: funzionari e agenti di frontiera vengono corrotti o costretti a non intervenire.

Ma i Talebani sono stati identificati anche come direttamente coinvolti nel traffico di armi. Con il loro permesso, i trafficanti di armi hanno fondato bazar nelle regioni di Helmand, Kandahar e Nangarhar, con armi importate da Austria, Cina, Pakistan, Russia e Turchia. 

Anche il traffico degli esseri umani a opera delle reti di trafficanti è fonte di guadagni: mentre gli alti leader talebani ne hanno annunciato il divieto, le singole guardie non disdegnano di accettare tangenti pur di guardare dall’altra parte ai posti di frontiera, secondo quanto riferito. 

E poi c’è il commercio dell’oppio, da sempre la principale fonte di ricchezza per i Talebani. Il governo ne ha proibito la coltivazione, così i prezzi dell’eroina sono aumentati in modo significativo a tutto vantaggio dei più ricchi che possono trarre profitto dalla pasta di oppio accumulata. I leader hanno vietato la coltivazione dell’oppio perché vogliono imporre la loro autorità, decidere se può essere coltivato o meno e dove farlo, cioè quali sono i trafficanti autorizzati a gestire, coltivare e trattare i narcotici. 

Infine ci sono le organizzazioni umanitarie che operano in Afghanistan: sono spesso costrette a pagare tasse, presumibilmente per garantirsi la sicurezza. I Talebani arrivano a pretendere il 15% degli aiuti delle Nazioni Unite. Ma non basta: si sono inseriti con loro affiliati in molte organizzazioni occupando posizioni strategiche così da manovrare l’assistenza indirizzando i fondi verso loro sostenitori, membri della famiglia, soldati disabili, veterani e madrasse, a volte con la mediazione dei mullah che ricoprono il ruolo di leader comunitari in cambio di una tangente. E chi riesce a ottenere gli aiuti viene tassato anche fino al 66% di quanto ricevuto. Inoltre hanno costituito e registrato Ong proprie, che controllano direttamente e attraverso le quali possono ricevere gli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali e distribuirli nelle località con maggiori affinità politiche, etniche, regionali e religiose.

Ma quanti soldi sono riusciti a ottenere in questo modo? Se guardiamo ad esempio agli aiuti inviati dagli Stati Uniti, che sono di gran lunga il principale donatore, il Sigar rivela che dall’agosto 2021 i partner attuatori statunitensi hanno pagato al governo talebano in tasse, commissioni, servizi almeno 10,9 milioni di dollari. Ma il Sigar ritiene che, poiché i pagamenti delle agenzie Onu che ricevono fondi statunitensi non sono soggetti a controlli, l’importo effettivo potrebbe essere molto più alto, se consideriamo che dall’ottobre 2021 al settembre 2023 le Nazioni unite hanno ricevuto 1,6 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, su un totale di aiuti statunitensi di 2,9 miliardi di dollari nel triennio. Tutti soldi che mantengono i Talebani al potere perché pagano i privilegi e la corruzione dei loro fedeli funzionari corrotti e dei loro sostenitori per assicurandosi il loro appoggio.

Che cosa accadrebbe se questi aiuti smettessero di arrivare? 

Buona parte della documentazione a supporto di questo articolo è tratta dal Report del George W. Bush presidential center “Corruption and kleptocracy in Afghanistan under the Taliban”.

Beatrice Biliato è un’attivista di CISDA

L’articolo è uscito il 22 ottobre 2024 su Altreconomia.it