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Il patriarcato non è morto, ma c’è di peggio

Pubblicazione: 7 Dicembre 2024
di Ugo Fanti – Presidente della Sezione Anpi di Roma Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini”

Articolo pubblicato su Abitare a Roma

Dopo le infauste dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara sul patriarcato e sui femminicidi (di cui, secondo il politico leghista, avrebbero colpa – per la parte maggiore – i migranti che arrivano da noi), rilasciate durante un intervento videotrasmesso alla presentazione, presso la Camera dei Deputati, della costituenda Fondazione intitolata alla Memoria di Giulia Cecchettin, molto si continua a discutere della condizione della donna nel nostro Paese, anche in relazione alla piaga sociale (meglio al crimine) delle donne picchiate, abusate e uccise (99 dall’inizio del 2024 ad oggi),  per l’83% da maschi bianchi, italiani e di buona famiglia, che con quelle donne vivevano, avevano convissuto o intrecciato una relazione sentimentale.

Ma ci sono luoghi nel mondo – come, ad esempio, l’Afganistan – dove la situazione delle donne è di molto peggiore che da noi; peggiore in un modo che è difficile immaginare anche se chi quella condizione ce la racconta è davanti a noi, in carne ed ossa, deve vivere anonimamente per non rischiare la vita e per testimoniare della condizione barbara in cui lei stessa e le sue sorelle vivono deve uscire clandestinamente dal suo Paese, anche per questo rischiando la vita.

Ma lo fa perché anche la Memoria è resistenza e perché questa Memoria sia conosciuta e trasmessa, dovunque ed in qualunque modo sia possibile, azione di cui lei e le donne del suo Paese, l’Afganistan oggi talebano, hanno un estremo (e disperato) bisogno.

Ne hanno bisogno perché nonostante tutto, nelle Scuole clandestine, che hanno creato e gestiscono (e di cui appresso leggerete) continuano a lottare costruendo, giorno dopo giorno, momenti di conoscenza e coscienza del proprio essere persone e dei propri diritti; momenti questi molto importanti per le donne afgane.

La donna afgana, la militante politica, di cui in particolare scrivo qui si chiama Shakiba (alias di sicurezza per la sua esistenza in vita), un’attivista di RAWA e appresso trovate una sua intervista, pubblicata qualche giorno fa sul Quotidiano Domani.

Per “capire e capirci”, come spesso scrivo, leggere attentamente le righe che seguono e riflettere a lungo, cercando di non dimenticare quanto apprenderete.

E se potete – e ne avete (o vi costruite) l’occasione – anche voi fate sentire la vostra voce per queste donne che, certo, lottano per i loro diritti ma, nello stesso momento, lo fanno – rischiando la vita quotidianamente – anche per i nostri diritti, che spesso pratichiamo distrattamente, poiché ci paiono acquisiti per sempre, anche se potremmo perderli in ogni momento. Dunque: alziamo la nostra voce per chi non può parlare!

Le Scuole clandestine in Afghanistan: «Insegniamo alle donne a resistere ai Talebani»

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo:

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza:

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan.

È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione:

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

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