LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE TRA STORIE, DIRITTI E CULTURE
4 Ottobre 2024
Ho 32 anni vivo alla periferia di Kabul. Sono nata quando i russi sono entrati nel mio paese.
La pace non so cosa sia, è un tempo lontano, nei ricordi di mia madre. Sembra una favola, finta. Era il ’96 quando mio marito è morto.
Da quattro anni i capi mujahiddin si sbranavano come cani rabbiosi intorno a un osso, Kabul. Si moriva anche solo per andare a cercare un po’ d’acqua.
Vivevamo come topi, chiusi, terrorizzati, nelle nostre case. Allora sono arrivati i talebani, dicendo, come dicono tutti prima di sparare, di portare la pace.
Nel mio quartiere, eravamo tagiki, lì si era installato Massud per attaccare i talebani.
I combattimenti erano feroci. Massud ha perso, è scappato nella sua roccaforte del Panshir. Lui e i suoi sono scappati. Ma noi siamo rimasti, da soli, a subire la vendetta talebana. Molte persone innocenti sono state massacrate, bastava la nostra faccia, bastava che venissimo dal Panshir.
Mio marito è stata una di queste vittime. Ero giovane allora, e avevo già tre figli, molto piccoli. Per i bambini vivere era una scommessa
Il mio figlio maschio si è ammalto. Tubercolosi. Due anni fa è morto. Finché c’era lui, vivere con la famiglia di mio cognato era sopportabile, mi difendeva. Ma da due anni, io e le mie figlie siamo prigioniere di questa famiglia. Mio cognato non vuole che vadano a scuola, né che io lavori fuori casa.
Mia cognata mi grida tutto il giorno: ’Fino a quando dobbiamo darvi da mangiare?’ Minaccia continuamente di buttarci fuori casa. Quando mio cognato torna dal lavoro, ci accusa di qualsiasi sciocchezza e lui ci picchia, ogni sera.
La mia speranza sono le mie figlie. Che possano avere un’altra vita, che non debbano sentirsi vecchie a 30 anni. Se avessi un po’ di soldi miei, potrei mandarle di nuovo a scuola, potrei lasciare questa casa, dove non ci vogliono, e cercare un piccolo lavoro. Trovare almeno la pace dentro.
È una madre coraggiosa, Safia. Sono le sue figlie la sua speranza. Per loro combatte ogni giorno, con l’aiuto di Paola che le sta accanto da molti anni.
Può provvedere a se stessa e alle figlie e non deve subire più le violente e continue umiliazioni della famiglia del marito. Ma i problemi sono sempre dietro l’angolo per lei. Il cognato si è messo in mente di sposare la figlia, ancora una bimba. Safia si oppone con tutte le sue forze. Le sue figlie non devono conoscere il suo inferno. Ha dalla sua il sostegno di Paola e la presenza delle assistenti di Hawca. Il felice ricatto è sempre lo stesso.
Se la bimba non andrà più a scuola i soldi finiranno e lui dovrà di nuovo mantenerle. Così cambia strategia e programma. Ora vuole sposare la bimba di Safia con suo figlio. La piccola, che ha già imparato a difendersi, rifiuta, sostenuta dalle sue alleate. Safia riesce a trovare un lavoro, va a fare le pulizie fuori casa e guadagna qualcosa. Ma in famiglia non la prendono bene e adesso il cognato vuole sposare Safia a tutti i costi. Forte dell’aiuto che riceve, riesce finalmente a dire basta e a scappare da quella casa.
Trova una stanza in affitto per lei e le figlie, lavora molto, fa le pulizie e continua a mandare le figlie a scuola, con l’aiuto di Paola.
La famiglia non smette con le sue minacce e Safia ha paura di lasciare le figlie da sole, cerca sempre di lavorare vicino casa. Le condizioni d’insicurezza della città non aiutano di certo. Questa vita diventa troppo difficile e Safia trova un parente che le dà una stanza in casa sua.
Così risparmia l’affitto e ha qualcuno accanto per proteggere lei e le figlie dalle ossessionanti pressioni della famiglia. Si sente più tranquilla e decide di adottare un bimbo, forse per riempire il vuoto del suo figlio maggiore, morto anni prima. Il piccolo cresce bene ed è la gioia di madre e sorelle.
È molto felice e le figlie continuano la scuola con la speranza di diplomarsi e lavorare presto per un futuro più luminoso. Ultimamente hanno celebrato la sua circoncisione. Le sorelle lo hanno riempito di regalini.
Safia sembra molto contenta ma anche preoccupata per la figlia che si è appena sposata. È andata all’estero col marito e spera che, una volta sistemati, possano aiutarla economicamente.
Dice Safia, rivolta alla sua sponsor: “Tu mi sostieni da molti anni e davvero non so come ringraziarti per tutto quello che fai. Hai salvato la mia vita e quella delle mie figlie. Se puoi sostenermi ancora per qualche mese ne sarò felice. Appena mia figlia sarà in grado di aiutarmi potrai dare questo denaro a un’altra donna in difficoltà che ne avrà bisogno. Spero che questo possa accadere ma non sono sicura che mia figlia sia in grado di farlo.” Così chiede ancora aiuto finché potrà essere autonoma con l’aiuto della figlia sposata.
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Una storia del progetto Vite preziose.
La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.
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