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Autore: Patrizia Fabbri

Nazbo, Kapisa

Nazbo nasce in un villaggio rurale, Najrab, nella provincia di Kapisa. Ha 15 anni quando la sua famiglia la vende in matrimonio, contro la sua volontà, a un mullah di 45, con due mogli e svariati figli. È la più giovane e le toccano sempre i lavori più pesanti. Le botte arrivano, tutti i giorni, per qualsiasi sciocchezza. Non solo il marito ma anche le due mogli più vecchie fanno a gara per picchiarla e insultarla.
Passa 20 anni così, fronteggiando e sopportando violenze di ogni tipo. Ha 5 figli, dei quali il padre non si occupa mai.
4 di loro muoiono in tenera età per la malnutrizione e la mancanza di cure. Racconta Nazbo: ”I miei bambini erano piccoli e io non avevo tempo per prendermi cura adeguatamente di loro, dovevo sempre lavorare sotto la minaccia delle botte. Dovevo lavare, cucinare, pulire, fare il bucato per tutti e nessuno si prendeva cura dei miei piccoli”.

Per loro, non c’era mai abbastanza cibo.” Una sola figlia sopravvive alla famiglia, ma, a 13 anni, il padre la sposa a un uomo di 40 anni. Lo stesso destino di sua madre, la storia infinita. Rimane subito incinta, ma è troppo giovane per avere una gravidanza normale.
L’assistenza medica non esiste. Muore durante il parto, insieme al suo bambino. La vita di Nazbo precipita. Il marito e le mogli la insultano, la picchiano, la umiliano, le dicono che porta male, che è lei la responsabile delle sue sventure. In quel periodo ha seri problemi mentali, i cui effetti continuano ancora oggi. Dopo qualche anno, il marito si ammala e muore. Le mogli più anziane la sbattono fuori di casa.

Trova rifugio da alcuni parenti che la accolgono e la portano in ospedale. Le cure le fanno bene e, quando sta un po’ meglio, decide di adottare un bambino.
Restano a vivere con queste persone per parecchio tempo. Per fortuna, la sua strada, un giorno, incrocia quella di Hawca e comincia a lavorare per loro, nel Centro di Peace Building, come cuoca. Trova una stanza vicino al Centro e comincia una nuova vita con suo figlio. Purtroppo, al Centro, tutto lo staff è minacciato dai talebani.

La situazione si fa sempre più pericolosa e Hawca è costretta a cambiare zona e a trasferire il Centro in un’altra parte della città, lontano dall’abitazione di Nazbo. Spostarsi, per grandi distanze, nella città è difficile e rischioso, Nazbo deve lasciare il lavoro.
Gli anni passati a lavorare con Hawca, dove ha trovato l’affetto che non aveva mai conosciuto, sono stati i migliori della sua vita ma, adesso, è di nuovo senza lavoro. Ogni giorno è una scommessa. Di nuovo, la sua vita è difficile e le tracce del suo passato riemergono rendendola fragile.

Aggiornamenti

Entra nel progetto un anno fa. Ora non è più sola, ha accanto a sé il sostegno di Maurizio. Potrà curarsi e cercare, senza ansia, insieme ad Hawca, il lavoro di cui ha bisogno. Nazbo è stata incredibilmente felice quando ha saputo di avere uno sponsor e del denaro per vivere, lo ringrazia con tutto il cuore.

Non sapeva dove andare a vivere e Hawca le ha trovato una stanza nella casa di un insegnante della scuola di Peace Building che hanno dovuto chiudere a causa delle minacce talebane. Potrà stare lì fino a quando non avrà trovato un lavoro per pagarsi una stanza autonoma.
Sta cercando un lavoro come domestica, magari anche tra i vicini di casa. Ma il quartiere dove vive è abitato da gente molto povera che non può permettersi una domestica.
Per questo è difficile, per lei, trovare lavoro.

Dice Nazbo al suo sponsor:’ Sono molto felice, non avrei mai pensato che ci potessero essere persone, in giro per il mondo, così amorevoli come te, che si occupano degli altri e si aiutano l’un l’altro. Il tuo aiuto sta cambiando la mia vita. Grazie a te sono viva, potrò vivere e stare ancora per molto tempo con il mio bambino.’

Aggiornamento gennaio 2023

Nazboo è una donna in grave difficoltà. Ringrazia tanto il suo sponsor e spera nel suo aiuto per la sua sopravvivenza. “Al telefono la sua voce , dice Shafiqa, era fievole e oppressa. Non ha mezzi di sussistenza e il denaro del progetto serve per le medicine e le cure che deve fare. Ha problemi per procurarsi la legna e, senza aiuto, non sa come superare l’inverno.” Dice: “I miei vicini conoscono la mia situazione, e, ogni tanto, quando possono, dividono il loro cibo con noi. La loro solidarietà e la vostra è tutto quello che abbiamo.”

È importante continuare a sostenere questa donna, di cui, comunque, Hawca si sta prendendo cura.

Aggiornamento gennaio 2024

Nazbo dice: “Che cosa posso dire della mia vita dolorosamente difficile? Ogni giorno affronto pressioni strane e insolite, e a volte mi chiedo quando è stata l’ultima volta che ho riso veramente. La vita in Afghanistan era dura, ma lo è diventata ancora di più con l’arrivo dei talebani. Non vediamo alcuna speranza per condizioni migliori. Tutti fuggono e nessuno è soddisfatto di questa situazione. I sogni e le aspirazioni delle ragazze e delle donne sono stati sepolti. Nonostante l’estrema povertà, speravo che mio figlio potesse ricevere un’istruzione in modo da non soffrire come me. Ma ora ho perso la speranza per il suo futuro e temo che subirà lo stesso mio destino e le mie stesse miserie. Uno dei nostri parenti, vedendo le mie condizioni di vita, si è dispiaciuto per me e si è offerto di presentarmi al loro datore di lavoro nella speranza che potessi trovare lavoro. Fortunatamente, ha accettato e ora lavoro in un laboratorio di cucito. Anche se il reddito è molto scarso e i miei occhi sono diventati estremamente deboli, sono ancora contenta. Rimango sveglia fino a tarda notte per lavorare un po’ di più. Sono felice del mio lavoro. Questa volta, con l’aiuto del mio gentile sponsor e del mio magro stipendio, sono stata in grado di provvedere ad alcune cose essenziali per la casa e al cibo per mio figlio. Esprimo la mia più sentita gratitudine al mio gentile e solidale sponsor che è al mio fianco e ci aiuta in questa situazione. Auguro loro tutto il meglio”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

Nahida

Nahida ha due sorelle più piccole e un fratello di 8 anni.
Siamo una famiglia povera ma fino a un anno fa ce la facevamo a vivere decentemente. Poi c’è stato quell’attacco suicida, uno dei tanti.
Ma quel giorno c’era anche mio marito. Ha perso i piedi e le mani e non può più lavorare. Sono io a mantenere la famiglia, faccio il bucato per i vicini.
Ma Nahida è la mia preoccupazione più grande.
Ha un‘infezione alle orecchie che ha attaccato anche l’osso. Quando mio marito stava bene, ha cercato di curarla. Il medico ha detto che deve essere operata al più presto altrimenti sarà sorda per sempre e avrà problemi anche con la gola. Ma i soldi adesso non ci sono per curarla. L’unico modo per trovarli è andare a mendicare.
A volte, i problemi che ho sulle spalle mi sembrano troppi e mi manca il coraggio.

Aggiornamenti

Nahida ha sei anni quando entra nel progetto. Albalisa, che è considerata dalla famiglia una seconda mamma, si prende cura di lei fin dall’inizio e le è sempre vicina per tutti questi anni.
La bimba soffre molto d’inverno, gli inverni qui sono durissimi, gelidi e riscaldarsi costa molto. Deve anche mangiare bene per sostenersi.
Pian piano migliora le sue condizioni, si cura e riprende la scuola con molto successo. È brava anche se deve fare parecchie assenze.
Il suo problema non è di facile soluzione e va spesso in Pakistan per le cure. Ora Hawca le ha trovato un apparecchio per sentire meglio e la sua vita è molto migliorata.

Aggiornamento gennaio 2023

Nahida è sempre tanto grata alla sua sponsor per tutto l’aiuto che le hanno dato in questi anni. È sempre una ragazza forte e non smette mai di andare avanti e di imparare nuove competenze e abilità. “Nonostante i miei problemi fisici, adesso, tengo dei corsi di Dari e matematica per i bambini dei miei vicini. Naturalmente la maggior parte dei miei allievi sono ragazze e io sono felice di passare del tempo insieme a loro. Con quello che guadagno dai miei allievi mi pago i corsi di Inglese e Scienze (che organizza Hawca)” È sempre sotto trattamento regolare per i suoi problemi alle orecchie.

Manda tutto il suo amore alla sua sponsor che le sta accanto da tanto tempo e anche adesso, in questi tempi così difficili.

Aggiornamento gennaio 2024

Nahida dice di aver perso la speranza. I talebani hanno chiuso il corso che teneva per i bambini del vicinato a casa sua e hanno minacciato la prigione per chi si azzarderà a farlo. Hanno persino annunciato nella moschea che, a meno che non sia una scuola religiosa, chiunque inizi un corso privato sarà arrestato insieme a tutti gli uomini del villaggio. Di conseguenza, Nahida è stata costretta a chiudere il suo corso, ed è molto a terra. A volte le sue studentesse la contattano, piangendo e dicendo che le loro speranze si basavano su questo corso. Due sue studentesse, di circa quindici e sedici anni, si sono sposate. Quando parlano con Nahida, dicono: “Maestra, i nostri sogni sono stati sepolti per sempre”. Da un lato, Nahida ha perso tutte le sue entrate e, dall’altro, si sente immensamente dispiaciuta e preoccupata per i suoi studenti. Tutte queste preoccupazioni e stress l’hanno resa profondamente depressa e senza speranza. È rattristata dal fatto che il mondo non ascolti le voci delle donne afghane e che siano costrette a rinunciare ai loro diritti umani. Si sente angosciata e triste, ma è grata che ci siano ancora sponsor gentili come l’amica che sostiene lei e altre donne afghane. Con l’aiuto della sua amorevole sponsor, è riuscita a visitare un medico e a pagare parte dell’affitto della sua casa. Esprime profonda gratitudine per il suo aiuto e spera che verrà un giorno in cui potrà stare in piedi da sola e coprire le sue spese.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

Freshta Khatera

Ero ancora una bambina quando mi sono resa conto di essere una pedina nel gioco d’azzardo di mio padre. Quando ero ancora nel ventre di mia madre, mi aveva promessa in sposa al figlio di un uomo che gli aveva vinto al gioco molto denaro.
A dieci anni sono stata fidanzata e a 13 anni ero sposata.
Giocavo con le bambine della mia età, quando mi è stato detto che sarei diventata la sposa di un uomo. La nostra situazione finanziaria non era buona da quando mio padre aveva perso al gioco tutto quello che il nonno gli aveva lasciato in eredità.
Non avevo ancora raggiunto la pubertà quando mi sono sposata, è successo dopo tre anni che vivevo con lui. Io non sapevo niente del sesso e delle relazioni tra marito e moglie. Mio marito non ha avuto nessun rispetto per me e per la mia età.
Adesso ho capito che venivo regolarmente violentata, tutto era terribile per me, piangevo per giorni ma non potevo dirlo a nessuno. Credevo che tutte le ragazze avessero queste difficoltà nel matrimonio. Ogni tanto pensavo alla crudeltà dei miei genitori e alla fine arrivavo sempre alla conclusione che tutti i genitori erano così, come i miei e in questo modo riuscivo a calmarmi.
La mia vita era molto brutta ma crescendo è diventata anche peggiore. Per fortuna non sono diventata madre a quell’età! Pensavo, tra me, che se fossi rimasta incinta, non sarei sopravvissuta al parto o, anche se fossi sopravvissuta, avrei avuto molte difficoltà a prendermi cura del bambino e di tutti gli altri lavori. Ho dovuto sopportare ogni tipo di violenza durante il mio matrimonio. Per queste condizioni di vita disumane, ho perso tre figli.
Mio marito era un maniaco sessuale e se rifiutavo le sue avances mi legava mani e piedi e faceva quello che voleva. Ho passato 12 anni con lui senza che ci fosse il minimo cambiamento nel suo comportamento , anzi, diventava ogni giorno più selvaggio. Adesso ho 5 figli, l’ultimo è nato dopo il divorzio. Sono malata e non ho mai potuto vedere un dottore.
Ho avuto il mio divorzio dopo un lungo e difficile lavoro, sono stata capace di liberare me stessa dalla violenza e dall’umiliazione. I miei bambini sono tutto per me. Adesso il mio desiderio più grande è quello di vedere i miei figli istruiti e crescerli perché siano di mente aperta e rispettosi verso le donne. Mio marito ancora mi minaccia, vuole portarmi via i miei figli. Io so bene che se i miei ragazzi andassero a vivere con lui diventerebbero delle bestie come lui, sarebbero ignoranti e crudeli come il loro padre.
Ho lavorato per tre mesi nell’ufficio di Hawca e mi hanno incoraggiato a studiare. Ho chiesto aiuto a una mia vicina di casa e adesso lei insegna a leggere e scrivere a me e ai miei figli. Purtroppo l’ufficio di Hawca in Mazar-e- Sharif è stato chiuso e io ho perso il lavoro. Cucinavo e facevo le pulizie per loro e sto cercando di trovare un altro lavoro. Per ora non l’ho trovato e ho davvero bisogno urgente di sostegno per poter continuare la mia strada e superare questi ostacoli.

Aggiornamenti

Freshta, che è entrata nel progetto qualche mese fa, ha ora il sostegno di Antonella, Mimmo e Marco. Accanto a loro affronterà le sue grandi sfide con un po’ di pace nel cuore.

Aggiornamento gennaio 2023

Khatera è molto felice di avere accanto i suoi sponsor. Ci dice: “Sono grata dal profondo del cuore ai miei sponsor. Sono persone davvero gentili. Per favore, continuate a tenere stretta la mia mano e quella dei miei bambini in questa orribile situazione.” Freshta era molto brava a ricamare, i bellissimi ricami afghani, ma questo oggi non basta affatto a sopravvivere. Nessuno ha soldi per comprare stoffe e vestiti. Così ha cominciato a cuocere dolci. Ci racconta: “Ho imparato a fare dei dolci molto speciali tra i ‘Mazari sweets’. Quando le persone fanno delle feste, come un compleanno oppure un matrimonio, io vado a casa loro e gli cucino i miei dolci. Ovviamente vado nelle case degli amici e di persone che mi sono presentate da loro, è questa la mia clientela. Ma anche se lavoro una o due volte al mese, è per me una buona opportunità andare nelle case a cucinare dolci e ne sono felice, perché penso che, così, potrò farmi pubblicità e espandere il mio lavoro in futuro. Quello che per me è importante è che le persone apprezzino i miei dolci fatti a mano e che io possa continuare a fare questo lavoro anche nei prossimi anni. Anche se guadagno poco, posso contribuire alle spese per i miei figli. Spero, con l’aiuto dei miei sponsor, di potere un giorno far rendere bene il mio lavoro e creare un futuro pieno di luce per i miei bambini. Abbraccio forte i miei sponsor.”

Aggiornamento gennaio 2024

“Sono diventata infinitamente felice quando ho visto Freshta – ci racconta S. la direttrice di Hawca –  Quando l’ho vista, sono rimasta insieme stupita e felicissima. Ho visto in Freshta una donna molto energica e allegra. Freshta era estremamente soddisfatta del suo lavoro e ha detto che la sua attività dolciaria era fiorente. Ora ha un contratto con una delle famose panetterie di Kabul e il suo datore di lavoro è una persona nobile e infinitamente cortese”.

“Dico sempre a me stessa- racconta Freshta- che sono stata benedetta due volte nella mia vita. Una è stata la presenza del mio caro sponsor, che ha trasformato la mia vita attraverso la sua assistenza e il suo sostegno. Sono sempre grata al mio caro sponsor e gli devo un mondo di gratitudine. E ora, anche il mio datore di lavoro si è mostrato una persona gentile e non smette di incoraggiarmi, permettendomi di stare in piedi da sola e di affrontare le spese della mia vita. Ancora una volta, esprimo la mia gratitudine per gli sforzi del mio amato sponsor e spero che invece di me, un’altra donna afgana riceva sostegno e porti un cambiamento nella sua vita come è successo per me. Io, finalmente, me la cavo da sola”.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

 

 

 

Un rifugio che diventa inferno: così il Pakistan deporta i rifugiati afghani

Se ne devono andare: un milione e 700mila persone, immigrati senza documenti in regola, quasi tutti afghani. L’annuncio è stato fatto il 7 ottobre dal governo pakistano, “per salvaguardare il benessere e la sicurezza del Paese”. In una prima fase potranno allontanarsi in forma “volontaria”, poi saranno deportati. In molti, più di trecentomila, hanno lasciato tutto e sono già partiti per paura di essere arrestati.

La vera caccia agli afghani si è aperta però il primo novembre 2023 e le carceri hanno iniziato a riempirsi. La polizia blocca le strade strette e affollate delle città pakistane, per impedire la fuga. Entra nelle case e chi non ha i documenti in regola viene caricato su furgoni e camion. Ma, a quanto ci dicono, succede anche a chi è regolare. A volte gli agenti entrano nell’abitazione di notte oppure giungono sul posto di lavoro. Succede, anche, che la casa e il negozio vengano distrutti. C’è poco tempo, devi sbrigarti, lasciare quasi tutto: puoi portare con te solo 150 dollari. “Mentre camminavo per strada a Lahore ho visto coi miei occhi famiglie picchiate dalla polizia per farle salire sul camion -racconta Javed, giovane attivista rifugiato-. Inutili le loro urla: si rifiutavano e sventolavano i documenti ma gli agenti rispondevano col manganello. Qualcuno, che il visto non ce l’ha, offre denaro: si apparta col poliziotto e poi risale in casa con tutta la famiglia. Se paghi ti lasciano in pace e ti congedano con rispetto”.

I video inondano il web. Si vedono afghani spinti a forza sui mezzi, schiacciati come in una valigia troppo piena, qualcuno cade e viene spinto di nuovo su, come un oggetto ingombrante. Si dirigono verso le porte del ritorno in Afghanistan: il valico di Torkham, Nord-Ovest del Paese, e quello di Chaman, a Sud-Ovest. Si caricano pezzi di vita sulle spalle, nei fagotti: qui in Pakistan non c’è più posto per loro. Nemmeno per chi è arrivato quarant’anni fa fuggendo dalla guerra dei russi: i “fratelli afghani” che vivono una vita a tutti gli effetti pakistana, i cui figli parlano solo urdu.

Per i 600mila arrivati negli ultimi due anni in fuga dai Talebani che danno loro la caccia è il crollo della speranza. “Molte famiglie sono venute qui -dice Rahima, cooperante per i diritti delle donne, fuggita in Pakistan- per salvarsi dalla mannaia talebana o per far studiare i figli, soprattutto le femmine, e dar loro la speranza di una vita che è morta da tempo in Afghanistan. Oppure per avere cure e medicine, impossibili nel nostro Paese. Devono lasciare subito le case in affitto ma è difficile trovare una guest house che ti accetti se non hai i documenti, anche perché i pakistani che ci aiutano sono passibili di arresto. Il governo ci ha voltato le spalle e sta distruggendo i nostri sogni. Tutti dovremo tornare a matmesra (parola in lingua dari che possiamo tradurre con ‘luogo buio dove non c’è speranza’, ndr)”.

Intanto nella spianata brulla di fronte al valico di Torkham si ammassano i camion, enormi, colorati, dipinti come quadri naif e stracolmi degli oggetti che accompagnano la vita di migliaia di persone. File interminabili di afghani nella piana desertica, contenute dal filo spinato. Aspettano, spingendo i loro averi in una carriola o se li portano sulle spalle, insieme ai bambini. A volte la pressione della folla, incalzata dalla polizia, si fa insostenibile ed è difficile proteggere anziani e bambini perché non siano calpestati. Beena ci racconta di aver perso la sua bambina, trascinata dalla folla, ma per fortuna l’ha ritrovata il giorno dopo, spaventata ma viva.

Hussein prende in braccio suo figlio sollevandolo da un tappeto polveroso su cui è appoggiato insieme ai pochi averi, ben impacchettati, della famiglia. È accampato davanti all’ufficio della Society for human rights and prisoners aid (Sharp), una Ong che fa la “selezione” per rilasciare il documento dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che dovrebbe permettere agli afghani di restare. Ma la polizia spesso non lo tiene in considerazione.

Hussein ha paura: scuote la testa, racconta che era un soldato dell’Ana, l’esercito afghano, e i Talebani vogliono ucciderlo. Ha viaggiato per giorni da Karachi, città sulla costa orientale, fino a Islamabad ma i soldi sono finiti e adesso vive per terra, in questo campo desolato di spazzatura e zanzare. Spera di avere quel documento, per continuare la strada verso una vita possibile. Si guarda intorno, come per cercarla.

“Facciamo pressione sul governo pakistano- dice Philippa Candler, dell’Unhcr a Islamabad- perché fermi le deportazioni delle persone per le quali è proibito il respingimento dalle leggi internazionali. Per chi rischia la vita in caso di rientro: soprattutto le donne, le persone che hanno documenti, che sono registrati con noi o con il governo, che aspettano di essere ricollocati verso altri Paesi. Serve formare un Comitato di valutazione dei casi e lavorare insieme con le autorità locali”.

Intanto il fiume umano attraversa il confine, migliaia al giorno, verso il nulla. Cosa li aspetta al di là? Un Paese allo stremo, devastato dalla siccità e dai terremoti, in cui due terzi della popolazione hanno bisogno “urgente” di assistenza per poter sopravvivere ma il governo non ha né volontà, né capacità, né mezzi per intervenire. Dove non ci sono istruzione e lavoro per le donne. Non c’è vita. Che cosa ne farà il governo di Kabul, alle porte dell’inverno, di migliaia di compatrioti rifugiati che non hanno niente, e non sanno dove andare?

“Passato il confine i Talebani accolgono tutti gentilmente -continua Rahima- un bentornato ufficiale pieno di promesse. Ma sappiamo che non sono in grado di gestire questa situazione. È stato allestito solo un campo profughi a pochi chilometri dal confine. Tende, ma senza servizi igienici. Un problema enorme soprattutto per donne e bambini. Le Ong prevedono un disastro umanitario di proporzioni enormi”. Queste montagne hanno sostenuto i passi di migliaia di afghani nel corso di quarant’anni di guerra e di violenza, portando non pochi vantaggi al governo pakistano.

Ero a Peshawar nel 1980 e un fiume di persone attraversava la frontiera, da mesi, in fuga dalla guerra dei russi. La città era il regno dei partiti fondamentalisti afghani che registravano, con improbabili tessere, ogni compatriota arrivato. Se li contendevano ferocemente per ingrossare le fila dei sostenitori e imporsi sui propri rivali. Era sufficiente per stare in Pakistan: in quegli anni i rifugiati erano un buon affare per il governo. Per sostenere i mujaheddin afghani in funzione anti-russa, arrivavano fiumi di denaro, armi e sostegno politico. Soprattutto dalla Cia ma anche da altre agenzie di intelligence. Tutto passava per le mani del governo pakistano e dell’Inter-services intelligence.

“Quando sono arrivati gli americani -dice Noor Ahmed, anche lui rifugiato e oggi avvocato per i diritti umani- il Pakistan si è trovato a giocare due ruoli distinti. Da un lato era l’alleato chiave degli Stati Uniti e riceveva dalla Nato fondi per il supporto logistico delle truppe, dall’altro intascava il sostegno per l’accoglienza dei profughi, infine controllava sul suo territorio i gruppi Talebani. Oggi i rifugiati afghani non portano più vantaggi. Non servono a niente”.

Sul perché di questa immane deportazione Aisha, insegnante anche lei rifugiata, individua tre ragioni. “Il Pakistan ha ormai una posizione sbiadita nel gioco politico internazionale -spiega-. Per quarant’anni gli immigrati sono stati una risorsa: oggi non è più così e questa potrebbe essere una mossa per fare pressione sulla comunità internazionale e riacquistare importanza politica e denaro attraverso i rifugiati, d’altronde non sono i soli a farlo”. Ma per Aisha non è l’unico motivo: “La situazione economica pakistana è disastrosa e ci sono disordini e proteste. Presentare gli afghani come capro espiatorio e cacciarli dal Paese diventa una mossa diversiva per il consenso interno. Infine, i rapporti con Kabul stanno peggiorando: Islamabad fa pressione sui governanti afghani perché agiscano sui Talebani pakistani del Ttp (Tehreek-e-Taliban Pakistan), che operano al confine tra i due Paesi, e li spingano a negoziare con il governo. Accusano Kabul di essere dietro ai numerosi recenti attentati”. Intanto Hussein ha trovato degli amici. Ha una vera stanza, adesso. Il piccolo dorme finalmente su un materasso senza il tormento delle zanzare. Sorride, almeno per stanotte.

Pubblicato su Altreconomia 265 — Dicembre 2023

Cristiana Cella, giornalista, scrittrice, sceneggiatrice. Segue le vicende afghane dal 1980, quando entrò clandestinamente a Kabul, vietata ai giornalisti, per documentare la resistenza della città contro l’invasione russa.  Dal 2009 fa parte del Direttivo dell’Associazione Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno donne afghane), ha partecipato a diverse delegazioni in Afghanistan. Ha pubblicato un libro: ‘Sotto un cielo di stoffa. Avvocate a Kabul’, edito da Città del Sole Edizioni.

OPAWC Report – Team sanitario mobile di Hamoon in visita nel distretto di Nari, Kunar

Il team sanitario mobile di Hamoon ha visitato la provincia di Kunar nell’Afghanistan orientale che gode di un bellissimo paesaggio, con alte montagne verdi e un grande fiume. Infatti, Kunar è famosa per le sue foreste verdi e il suo bellissimo fiume. Abbiamo scelto Nari, che è il distretto più grande di Kunar.

Crimini contro la popolazione

Durante il viaggio ciò che più ha attirato la nostra attenzione sono stati i resti di molte basi americane che vengono attualmente utilizzate dai Talebani. Sebbene gli Stati Uniti siano arrivati in Afghanistan con l’apparente motivazione di garantire i diritti delle donne e di combattere il terrorismo, siamo venuti a conoscenza di crimini scioccanti commessi contro la popolazione di Kunar, soprattutto donne, da parte delle truppe USA, del loro governo fantoccio e dei Talebani. Sembra si tratti del più alto numero di delitti d’onore e di assassinii di ex soldati militari avvenuti negli ultimi vent’anni e tenuti segreti dal governo di Ghani.

Una delle più grandi basi militari statunitensi si trovava nel centro del distretto di Nari. Secondo diverse testimonianze, cinque donne afgane provenienti dagli Stati Uniti in qualità di interpreti per le truppe americane sono state uccise dalle stesse truppe, e dopo un po’ di tempo i corpi di queste donne sono stati rinvenuti nelle valli del distretto. A pochi passi da una delle basi militari statunitensi è sorto un gruppo di milizie dell’ISIS che, secondo le testimonianze della gente, era sostenuto dagli Stati Uniti.

Il lavoro dell’équipe mobile di Hamoon

La nostra équipe composta da due medici, un uomo e una donna, e da due farmacisti, ha curato pazienti di tre diversi villaggi.

Il 13 dicembre 2023, la Squadra Sanitaria Mobile di Hamoon si è recata in un villaggio chiamato Machmana, composto da circa 100 famiglie. Il team ha visitato più di 150 pazienti. La clinica più vicina era a chilometri di distanza e per raggiungerla le persone dovevano camminare almeno un’ora. Inoltre, erano presenti solo un medico uomo e un’ostetrica, personale insufficiente per i bisogni della gente. I bambini della zona soffrivano di malattie stagionali e le famiglie non erano in grado di pagare le cure né di acquistare le medicine necessarie.

Il secondo giorno il nostro team sanitario si è recato nel villaggio di Salam Sangi. La popolazione era molto povera e soffriva di varie malattie. Sono stati curati 200 pazienti. La priorità è stata data alle donne e ai bambini. Le malattie più comuni in questo villaggio erano anemia tra le donne a causa di un’alimentazione molto povera e le pessime condizioni ginecologiche dovute a matrimoni di minorenni.

La maggior parte delle donne non poteva recarsi in clinica a causa delle difficili condizioni economiche e si lamentava dei costi elevati dei medici e dei farmaci. Stress e depressione erano visibili sui volti delle donne e dei bambini.

Le malattie della pelle dei bambini erano molto comuni e si ritiene che l’umidità della zona, dovuta alla vicinanza al fiume, sia una delle cause principali. Un’altra causa è dovuta all’inquinamento dell’aria per via delle esercitazioni militari effettuate nel passato dagli USA e dai Talebani nelle aree montuose del distretto di Nari.

Le donne raccontano

Le donne hanno raccontato storie di vita molto dolorose.

All’età di quindici anni, Marzia viene costretta senza il suo consenso a sposare un uomo con problemi mentali. La violenza del marito e il pesante lavoro domestico quotidiano le hanno piegato la schiena. Marzia non conosce i suoi diritti fondamentali perché è priva di istruzione, e pensa che la sfortuna sia la causa della sua attuale situazione. Ha due figli il cui volto mostra la miseria della loro povera vita.

Sakina ha diciotto anni e si è sposata due anni fa. Ha un problema ginecologico a causa del quale ha perso due volte due bambini a sette e nove mesi di gravidanza. Inoltre, un bambino di due mesi è morto nel suo grembo, ma a causa della mancanza di denaro, non si è potuta recare da un medico per abortire.

Adela è madre di sei figli. È venuta dal villaggio di Shah Masir per farsi curare. All’età di tredici anni suo padre l’ha costretta a sposare un uomo cieco da entrambi gli occhi. Fortunatamente è istruita e ha potuto lavorare in una scuola privata. È riuscita a studiare e ottenere il permesso di lavorare. Tutta la famiglia dipende economicamente da lei.

Adela ha raccontato molte storie di delitti d’onore nel suo villaggio. Una donna, madre di sei figli, è stata uccisa dal marito perché era innamorata di un altro uomo, anch’egli ammazzato dal marito in un’imboscata. I Talebani hanno convocato il marito nel loro dipartimento di sicurezza e si sono congratulati con lui per l’omicidio della donna e dell’uomo. Un altro ragazzo insieme alla ragazza che amava e alla sorella che li ha aiutati a fuggire, sono stati catturati dal fratello della ragazza e tutti e tre sono stati fucilati nello stesso giorno.

Nella maggior parte dei villaggi del distretto di Nari è consuetudine che se una ragazza fugge con un ragazzo, entrambi vengano uccisi per evitare faide familiari.

Laila era una bella ragazza che si era innamorata di un soldato dell’esercito nazionale. Entrambi parlavano al cellulare e si si scambiavano foto. Il ragazzo, arrestato dai talebani, ha cercato di distruggere il suo telefono in modo che la sua conversazione e le sue foto con Laila non venissero divulgate, ma non ce l’ha fatta. I Talebani hanno ucciso il ragazzo e hanno diffuso nella zona le foto di Laila e le loro conversazioni. Venuto a conoscenza della relazione di Laila, il fratello ha preso la pistola per ucciderla; lei ha lottato a lungo per sopravvivere e ha ferito il fratello al volto con le unghie, ma non è riuscita a fermarlo. La storia di Laila è nota tra gli abitanti del villaggio.

Il 15-12-2023 il nostro team sanitario si è recato nel villaggio di Nari, ha visitato i pazienti e ha somministrato i medicinali necessari. Poiché l’arrivo del team era già stato annunciato attraverso l’altoparlante della moschea, sono arrivate anche persone dai villaggi vicini. I nostri medici hanno curato un totale di 270 pazienti, inclusi bambini e donne. Raffreddore, mal di gola, ipertensione e malattie della pelle erano fra i disagi più comuni. Le persone si lamentavano del fatto che non potevano permettersi visite mediche a causa del costo delle medicine e della parcella del medico. Il loro unico reddito proviene dalla coltivazione della terra e riescono a malapena a pagare le spese di cibo e vestiti.

Nello stesso villaggio, infatti, c’è una clinica privata, ma la gente non può andarci a causa del costo eccessivo delle cure. Marzia si era recata dal medico per un’allergia e le è stato somministrato un farmaco stimolante senza essere stata prima sottoposta alle analisi necessarie. Questo farmaco le ha provocato un’infiammazione polmonare e Marzia ha iniziato a perdere peso. Sua sorella, che è un’insegnante, spende tutto il suo stipendio per curare Marzia, ma senza risultati positivi.

Una bambina di cinque anni soffriva di un’infiammazione della vescica perdendo sempre sangue nelle urine. La madre si è recata molte volte dai medici, ma la figlia non è guarita. La stessa madre era molto debole e soffriva di anemia.

Le persone erano felici e soddisfatte dell’ottima qualità dei medicinali forniti dalla nostra équipe. Hanno detto che era la prima volta che vedevano un team sanitario nel villaggio con medici esperti. Ogni giorno, alla fine delle visite e dei trattamenti medici, parlavamo con le persone dei loro problemi e delle loro condizioni di vita. La gente del posto ci ha accolto calorosamente e ci ha fatto visitare dei bellissimi luoghi nei loro villaggi.

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    RAWA Report – Distribuzione del cibo a Herat, dicembre 2023

    Una coppia con un figlio disabile ha speso tutti i suoi averi per le sue cure. Con l’arrivo dei talebani, il recente terremoto e disordini in città, il reddito del capofamiglia, che è un camionista e vive in un’umile casa di una sola stanza, non è più sufficiente a sostenere le loro vite.

    Afghanistan provincia di Herat

    Questa donna trascorre giorni e notti in una casa danneggiata con tre bambini e uno in arrivo. Suo marito è un lavoratore a giornata ed è difficile per lui trovare lavoro in città. Soffre anche di asma e diabete ma non ha abbastanza soldi per le cure.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una giovane donna gravemente malata, madre di un bambino. La loro casa è in una delle zone più povere della città di Herat che è stata danneggiata nei vari periodi di guerra e del recente terremoto. A causa della povertà non è in grado di curarsi. È preoccupata di ammalarsi durante l’inverno poiché vive in un seminterrato buio e umido.

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    La calzolaia, il cui marito è disabile ad entrambe le mani e non può avere alcuna attività, lavora tutti i giorni con la sua piccola figlia sul ciglio della strada fino a sera. Si è lamentata del fatto che i talebani le hanno impedito di lavorare e l’hanno minacciata molte volte di togliere i suoi attrezzi ed andarsene.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una donna deve mantenere sia i figli sia i nipoti dopo la morte del fratello (a seguito di un attacco suicida vicino al posto di lavoro). La cognata si è risposata ma ha lasciato i figli. Questa signora si è rivolta più volte al Ministero dei Martiri e degli Handicappati (per ricevere assistenza sociale) chiedendo aiuto, ma, essendo donna, è stata allontanata con minacce e insulti.

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    Una madre single (il marito era tossicodipendente ed è scomparso in Iran), deve prendersi cura anche del padre malato e ricoverato in ospedale. Avrebbe avuto un piccolo reddito affittando due stanze nella parte superiore della loro casa, ma a causa del terremoto sono crollate. Ora non ha modo di lavorare perché non può lasciare il suo anziano padre da solo e il suo bambino di sei anni.

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    Madre di tre figli, il cui marito è caduto durante lavori di costruzione in Iran perdendo la vita. Diverse parti della sua casa sono crollate a causa del recente terremoto, ma lei non ha i soldi per ripararle. Ogni sera a casa prepara cibi per il figlio dodicenne che li venderà per strada in modo che possano ottenere un piccolo guadagno.

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    I figli di questa donna vivono del lavoro giornaliero della loro mamma  (soprattutto pulisce e lava le case). Suo marito è scomparso in Iran da quattro anni e non si hanno più informazioni. Tre famiglie vivono insieme e per ridurre i costi dividono l’affitto di una casa di tre stanze.

    Afghanistan provincia di Herat

    Seema non era in casa perché impegnata a fare il bucato e le pulizie di altri dalla mattina alla sera. L’anziana nonna si prende cura ogni giorno dei suoi nipoti affinché la nuora, il cui marito è alcolizzato e violento, può preparare un boccone di pane per la famiglia.

    Afghanistan provincia di Herat

    Una grande famiglia vive sotto lo stesso tetto (madre, figlia e nuora possedendo ognuno una sola stanza). La suocera e la nuora sono entrambe vedove e la figlia sopravvive solo con il lavoro quotidiano del marito. Tutti i membri della famiglia sono impegnati a raccogliere la spazzatura dalla mattina alla sera.

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