Skip to main content

Sayyaf Abd al-Rasul

Abd al-Rasul Sayyaf è nato nella valle di Paghman nel 1946.

  • Ministro dell’interno del Governo mujahiddin nel 1992
  • Membro della Wolesi Jirga nel 2005
  • Rieletto membro della Wolesi Jirga nel 2010
  • Presidente della Commissione Affari Internazionali 2011 e 2012
  • Candidato alle elezioni presidenziali del 2014

Cosa si dice di lui

Abdul Rasul Sayyaf è l’uomo che invitò Osama Bin Laden in Afghanistan nell’ormai lontano 1996 nonché “maestro ideologo del capo organizzatore dell’attentato alle Torri Gemelle Khalid Shaykh Muhammad. Sayyaf aspira alla massima carica dello stato. Fu uno dei capi dei Mujaheddin che combattevano contro i sovietici.

Human Rights Watch lo ha accusato di crimini di guerra nel conflitto civile degli anni Novanta. (fonte Huffington Post)

Il 1° luglio 2006, centinaia di persone del distretto Paghman di Kabul hanno manifestato contro Rasul Sayyaf, leader fondamentalista del partito Itehad-e-Islami e attuale membro del parlamento afghano. I manifestanti hanno accusato Sayyaf e la sua milizia armata di estorcere le loro terre.

I manifestanti hanno detto ai media che la terra nella zona di Chunghar, che è di proprietà di 40.000 persone di Shahguzar, (un villaggio a Paghman) è stata occupata con la forza da Sayyaf e dai suoi uomini armati, sebbene la gente del villaggio possieda legalmente la terra per ordine del tribunale. Hanno affermato che il partito di Sayyaf, in collaborazione con il ministro degli interni, ha diviso la terra a Dasht-e-Chamtla tra di loro espropriandola con la forza. (fonte RAWA)

Il rapporto di 220 pagine dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani descrive le atrocità commesse da combattenti comunisti, mujahidin, sovietici e talebani in 23 anni di conflitto.

“Prima del massacro di Afshar dei civili sciiti nel 1993, il leader jihadista Abdul Rasool Sayyaf disse ai suoi ufficiali: “Non lasciate nessuno vivo, uccideteli tutti”. (fonte RAWA)

Sayaf ha stretto un’alleanza con Jamiat-e Islami dell’ex presidente Rabbani sin dalla guerra sovietica. A partire dal 2007, Sayyaf è un influente legislatore, ha chiesto un’amnistia per gli ex mujaheddin, oltre a spingere per un disegno di legge che impedirebbe ai Mujaheddin di essere accusati di crimini di guerra. Sayyaf ha ottenuto il quarto maggior numero di voti durante le elezioni di Wolesi Jirga a Kabul. (fonte Afghan bios)

Nel marzo del 2007 il parlamento afghano ha votato una legge con cui è stata garantita totale amnistia ai responsabili di violazioni dei diritti umani negli anni tra il 1979 e il 2001. La legge è entrata in vigore nel 2008, quando è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale, anche se la cosa è stata resa pubblica solo nel gennaio del 2010. (fonte Osservatorio Afghanistan)

Migliaia di afghani morirono nel corso del 1993 durante la guerra civile che ebbe come principale terreno di scontro il quartiere hazara di Afshar, a Kabul Ovest.

“L’11 febbraio 1993 le forze di Massoud e Sayyaf invasero il quartiere hazara di Afshar uccidendo – in base a stime locali – circa 1000 civili, compresi anziani, donne, bambini, e perfino i cani, gettando poi i corpi nei pozzi.” [The Guardian, 16 novembre 2001]

I massacri peggiori avvennero nel mese di febbraio e tra novembre e dicembre, quando un susseguirsi di attacchi missilistici, saccheggi, incursioni, stupri e rapimenti costrinse gli abitanti del quartiere a rimanere per settimane barricati in casa in preda al terrore, senza cibo né acqua né legna da bruciare.

La documentazione di Human Rights Watch e Amnesty International si riferisce soprattutto ai violentissimi scontri dell’11 febbraio 1993. Atrocità difficili da descrivere furono commesse dalle fazioni di Shura-e Nazar, il partito armato di Massoud, alleato con Abdul Rasul Sayyaf di Ittehad-e Islami, e dalla rivale Hezb-e Wahdat. Le relazioni riferiscono stupri di massa, rapimenti, torture e massacri di combattenti e civili. (fonte ECN)

La sua storia

Abdul Rasul Sayyaf è nato nel 1946 a Paghman, nella provincia di Kabul. È pashtun/ghilzai, della tribù Kharuti. Dopo gli studi nella madrassa di Abu Hanifa, si è iscritto alla facoltà di teologia dell’Università di Kabul e si è laureato con lode. È rimasto come assistente all’ateneo sino al 1969, quando si è iscritto all’Università al-Azhar del Cairo. In questo periodo ha avuto molti contatti con gli ambienti wahhabiti dell’Arabia Saudita. Tornato in Afghanistan ha partecipato attivamente alle iniziative del movimento islamico ed è stato nominato Vice Presidente della shura che ne dirigeva le iniziative. Nel 1975 è stato arrestato mentre cercava di partire per gli Stati Uniti. E’ riuscito a sfuggire alla condanna a morte ed è stato rilasciato grazie all’amnistia concessa dopo l’invasione sovietica. Una volta tornato in libertà, nel 1980, si è rifugiato a Peshawar dove ha tentato in varie riprese di unificare i sei partiti islamici sunniti e vi è riuscito solo temporaneamente con la fondazione di Ittihad-e Islami (Nel 2005 l’organizzazione Ittihad è stata registrata come partito politico presso il Ministero della giustizia con il suo nuovo nome Tanzim Daawat-e-Islami-e-Afghanistan. ), che, tuttavia, è presto diventato il settimo partito. Durante la guerra contro i sovietici, l’Ittihad-e Islami ha potuto usufruire degli aiuti sauditi e ha accolto tra le sue fila molti comandanti che avevano bisogno di finanziamenti per armare i loro uomini. Era presente soprattutto nelle città e non si appoggiava a nessun gruppo etnico.

Nel 1992 è stato nominato Ministro dell’interno del Governo mujahiddin e ha cercato di favorire un accordo tra Buranuddin Rabbani e Ahmad Shah Massud, da una parte, e Hekmatyar, dall’altra, per porre fine alla guerra civile. Nel 1994 si è alleato allo stesso Hekmatyar e a Dostum combattendo contro le forze fedeli al Governo, controllato dagli esponenti tagiki.

Sayyaf è legato ai circoli wahhabiti sauditi e ne condivide l’ideologia che privilegia una visione molto rigida dell’islam, soprattutto per quanto riguarda la condizione e il ruolo delle donne. Nello stesso tempo è allineato su posizioni anti-occidentali e rifiuta la democrazia parlamentare nel rispetto degli insegnamenti di Mohammad Ibn Abd al Wahhab (1703-1792). È anche un deciso avversario della ideologia sufi e si è distinto per l’odio nei confronti degli sciiti contro cui ha lanciato un’operazione di pulizia etnica durante la guerra civile (massacro di Afshar Mina del 1993). Nel 1988-1989 il Dipartimento di Stato americano considerava Rasul Sayyaf un estremista e nel 1994 lo ha accusato di ospitare nei suoi campi di addestramento pericolosi terroristi. In effetti Sayyaf ha tessuto rapporti molto stretti con lo sceicco Abdullah Azam e con il suo discepolo Osama bin Laden. Azam ha fondato agli inizi degli anni Ottanta il Mekhtab al Khidmat, attraverso cui passavano tutti i militanti che col nome “gli Afghani” costituirono la base del terrorismo degli anni Novanta.

Dopo la caduta di Kabul (1996), si è schierato a fianco di Massud e in seguito è entrato a far parte dell’Alleanza del Nord.

A seguito dell’Accordo di Bonn del 2001, è riuscito a inserire molti uomini di fiducia in incarichi chiave dell’apparato dello Stato, sia a livello centrale che periferico. Guardato inizialmente con sospetto dai gruppi moderati per la sua ideologia pan-islamica, i sentimenti anti-occidentali e i legami con ambienti estremisti islamici e con personalità sospettate di collusione con sodalizi criminali, nel tempo è riuscito a mitigare le sue posizioni e attualmente svolge un ruolo di rilievo nella vita politica del Paese, legittimato anche dalla decisione di Karzai di candidarlo alla carica di Presidente della Wolesi Jirga. Solo per pochi voti si è visto superare da Yunis Qanuni. In seguito, tuttavia, è stato nominato presidente della Commissione esteri. (fonte Argoriente)

——————-

Dopo la presa di Kabul dell’agosto 2021, Sayyaf si è rifugiato in India, a Nuova Delhi.

Rabbani Burhanuddin

Burhanuddin Rabbani (Feyzabad, 20 settembre 1940 – Kabul, 20 settembre 2011) .

  • Presidente dell’Afghanistan (2001–2001), Presidente dell’Afghanistan (1992–1996)
  • Presidente della Commissione legislativa della Wolesi Jirga nel 2005
  • È stato ucciso il 20 settembre 2011 in un attentato a Kabul.

Cosa si dice di lui

Rabbani non era un uomo di pace, non era un eroe, non è un martire.

Burhannudin Rabbani era uno dei peggiori criminali che la storia afghana ricordi.
 Ha cominciato la sua lunga carriera criminale negli anni Ottanta gettando vetriolo in faccia alle studentesse dell’Università di Kabul, insieme al suo “compagno di merenda” Massoud.

Ha commesso genocidi, ha fatto uccidere, stuprare, torturare, bombardare migliaia di civili afghani. Ha distrutto la città di Kabul nella guerra fazionale tra il 1992 e il 1996. Ha continuato, anche in tempi recenti, a guidare la formazione più oscurantista nello scenario politico afghano. Ancora recentemente le sue milizie sono state accusate di rapimenti, stupri e uccisioni di bambine. Nel 2010 il governo di Karzai ha concesso un’amnistia in modo che criminali come lui non potessero mai essere giudicati da un regolare Tribunale Internazionale.

Quando nel 2011 le truppe USA-NATO hanno occupato il paese, gli afghani avevano grandi aspettative: al primo posto chiedevano giustizia. Chiedevano che i signori della guerra come Rabbani venissero spediti davanti a un Tribunale a rispondere di un trentennio di crimini inenarrabili. Ma tutto quello che hanno avuto è la loro legittimazione agli occhi della comunità internazionale.

Ora c’è solo rammarico: nei siti afghani si dice che Rabbani è stato ucciso con le sue stesse armi; che la giustizia doveva arrivare con un Tribunale Internazionale e non per mano di altri assassini come lui. Di fronte all’uccisione di un criminale certamente ci si può – anzi ci si deve! – rammaricare di non essere riusciti a processarlo come avrebbe meritato.

Tacere sui crimini compiuti da Rabbani è esserne complici, è non voler vedere la fame di giustizia degli afghani. Continuare sulla strada intrapresa dalle forze USA-NATO, cioè legittimare e lasciare al governo criminali come Rabbani, renderà sempre più intollerabile l’occupazione militare in Afghanistan.

(fonti Vedi anche RAWA 1, RAWA 2 e Human Rights Watch)

La sua storia

Burhanuddin Rabbani, di etnia tagika, è nato nel 1940 a Faizabad, nella provincia del Badakhshan, da un piccolo proprietario terriero. Dopo le scuole superiori ha frequentato l’università a Kabul dove nel 1963 si è laureato in teologia e legge islamica. Nei tre anni successivi ha insegnato ed è poi partito per il Cairo per proseguire gli studi all’università Al-Azhar. Nel 1968 ha ottenuto il dottorato e fatto ritorno in patria.

Membro della confraternita sufi naqshbandi, ha subito molto l’influenza dei Fratelli mussulmani e ha organizzato numerosi centri islamici. Ben presto è emerso come la figura più rappresentativa della shura che dirigeva le attività della Gioventù mussulmana, di cui è diventato anche Presidente, mentre suo vice era Abdul Rasul Sayyaf. Successivamente è stato ammesso alla shura anche Gulbuddin Hekmatyar. Il movimento si proponeva la costituzione di uno Stato islamico. Dopo la destituzione del Re Zahir Shah e l’ascesa al potere di Daoud nel 1973, i gruppi islamici hanno subito la repressione della polizia e Rabbani è stato costretto a lasciare il Paese rifugiandosi in Pakistan. Al loro interno si sono accentuate le divisioni tra la componente moderata e quella estremista, sfociate nell’uscita da Jamiat-e Islami di Hekmatyar, leader dei radicali, che ha fondato il proprio partito, Hezb-e Islami (1976). Dopo l’occupazione sovietica il Jamiat-e Islami e la sua ala militare guidata da Ahmad Shah Massud sono stati tra i protagonisti del jihad nelle province settentrionali del Paese.

Alla caduta del regime di Najibullah (1992), Rabbani è nominato Presidente. Il suo mandato doveva durare quattro mesi ma è stato più volte prorogato, acuendo i contrasti con gli altri gruppi. Dopo la presa del potere da parte dei taliban, Rabbani si è recato in esilio.

Durante la Conferenza di Bonn, un accordo promosso dagli USA e accettato anche dagli esponenti tagiki che partecipavano ai lavori (M. Qasim Fahim Khan, Y. Qanuni e A. Abdullah) ha portato alla nomina a Capo dell’Autorità ad interim del governo Karzai.

Rabbani è stato tra i promotori della costituzione del Fronte Nazionale Unito (aprile 2007), di cui è stato nominato Presidente per i primi sei mesi. Nel settembre 2005 è stato eletto alla Wolesi Jirga alla guida della Commissione legislativa.

Qanuni Yunus

Younus Qanuni è nato il 10 maggio 1957 nella valle del Panshir.

  • Segretario del Comitato per l’Istruzione nel 1981,
  • Rappresentante di Massoud in Pakistan 1982-1988,
  • Vicepresidente del comitato per gli affari culturali del consiglio di Shura i Nezar nel 1989,
  • Capo politico del Consiglio generale dei comandanti jihadisti per conto di Massoud nel 1991
  • Vice Ministro della Difesa all’inizio del 1990,
  • Ministro dell’interno nel governo ad interim nel 2001,
  • Ministro dell’istruzione nel governo ad interim nel 2002,
  • Membro Parlamentare della Wolesi Jirga 2005 a Kabul,
  • Presidente della Wolesi Jirga a fine 2005,
  • Rieletto parlamentare della Wolesi Jirga nel 2010 a Kabul,
  • Primo vicepresidente del governo Karzai dal marzo al settembre 2014

Cosa si dice di lui
Nel 1993 Y. Qanuni è stato portavoce del gruppo militante “Shura-e Nazar” o meglio conosciuto come “Jamiat-i-Islami” ed è stato spesso coinvolto nei processi decisionali del gruppo militante Jamiat che era impegnato in una guerra tra fazioni mujaheddin rivali durante la guerra civile afgana in corso negli anni Novanta. Si dice che abbia assistito senza opporsi al massacro di Afshar, operazione che ha coinvolto la fazione di cui Qanuni era portavoce e decisore.

L’operazione è stata organizzata da A. Massoud e B. Rabbani con forze governative dello Stato Islamico dell’Afghanistan in collusione con le forze Ittehad-i-Islami di A. Sayyaf contro Hezb-i-Islami sotto il comando di Hekmatyar. L’operazione è iniziata con l’attacco del quartier generale sciita Hezb-i-Wahdat a Kabul.

Secondo i rapporti di Human Rights Watch durante la “campagna” il partito Jamiat-i-Islami, in collusione con la fazione armata di Sayyaf, venne direttamente coinvolto, nell’operazione e nelle sue conseguenze. I soldati Wahdat e i cittadini Hazara maschi vennero arrestati e giustiziati. I civili Hazara che erano disarmati sono stati presi di mira da entrambe le fazioni, con gli uomini oggetto di esecuzioni extragiudiziali. Altri uomini Hazara furono rapiti e costretti a scavare trincee e seppellire i morti. I testimoni sopravvissuti all’indomani dell’operazione hanno dichiarato di aver visto corpi con evidenti segni di tortura e mutilazioni.

Gli stupri di donne Hazara sono stati ampiamente riportati nel rapporto di Human Rights Watch sull’incidente. Sono state recuperate riprese video che mostrano vittime civili dell’operazione, donne macellate per le strade e cadaveri di donne e bambini Hazara mutilati. 70-80 furono uccisi direttamente nelle strade all’indomani dei combattimenti, mentre oltre 750 scomparvero.

Il ruolo di Qanuni non è chiaro nei massacri, anche se ciò che è chiaro è che è rimasto a guardare mentre questi stavano avvenendo e ha permesso che accadessero (fonte Rawa).
Anche in un Report di Human Rights Watch si documenta che: le forze Jamiat nel 1992 e 1993 abbiano intenzionalmente preso di mira civili e aree civili nella parte occidentale di Kabul per attaccare, o che abbiano attaccato indiscriminatamente tali aree senza distinguere tra aree civili e obiettivi militari.
Inoltre, i comandanti Jamiat sono stati in alcuni casi responsabili degli abusi commessi durante la campagna di Afshar dalle truppe alleate di Ittihad ed è in ogni caso dimostrato che avevano de facto il comando su tali truppe. Tutti questi presunti abusi equivalgono a crimini di guerra (fonte Human Rights watch).

La sua storia
Yunus Qanuni, di etnia tagika, è nato nel 1957 nel villaggio di Rokha, nella valle del Panshir. Nel 1981, dopo la laurea in diritto islamico all’Università di Kabul, si è unito alla resistenza contro le forze sovietiche aderendo al partito Jamiat-e-Islami diretto da Burhanuddin Rabbani.

Nel 1985 Amhad Shah Massud ha costituito lo Shura-e Nazar (Consiglio dei Comandanti) e ha scelto Qanuni come direttore dell’ufficio politico di Peshawar e portavoce del Consiglio, carica che ha conservato anche sotto il governo Rabbani insediatosi nel 1992. Nel 1993 Rabbani, per venire incontro alle richieste di Pakistan, Iran e Arabia Saudita, e creare le condizioni per la collaborazione con Gulbuddin Hekmatyar (leader di Hezb-e Islami), ha accettato gli Accordi di Peshawar e sacrificato Massud, rimuovendolo dall’incarico di Ministro della difesa.

Dopo la conquista del potere da parte dei taliban, ha svolto un ruolo attivo nei negoziati tra i vari movimenti di opposizione per trovare una strategia comune di lotta al regime diretto dal mullah Omar. Nel mese di ottobre 1996 ha collaborato, sotto la guida del Comandante Massud, alla costituzione del Consiglio Supremo per la Difesa della Patria, con capitale a Mazar-e Sharif, e, l’anno successivo, alla formazione del Fronte Islamico Unito per la Salvezza dell’Afghanistan, meglio conosciuto come Alleanza del Nord, di cui è diventato presidente alla scomparsa di Massud.

Nel dicembre 2001, dopo l’Accordo di Bonn, è stato nominato Ministro dell’interno, conservando l’incarico solo sino al giugno del 2002 quando gli è stata affidata la guida del dicastero dell’istruzione. Nel 2003 è accusato, insieme ad altre eminenti personalità, di essersi appropriato di terreni edificabili nella capitale ma si è difeso dalle accuse affermando che gli erano stati regalati.

Nell’ottobre del 2004 si è candidato alle elezioni presidenziali ottenendo il 16,3 % dei voti, secondo dietro a Karzai. Nel mese di settembre 2005 è stato eletto deputato della Wolesi Jirga per la provincia di Kabul e il 21 dicembre successivo è stato nominato Presidente della Camera. Nell’aprile 2007 è stato tra i principali promotori della formazione del Fronte Nazionale Unito (Jabhe-ye-Motahed-e-Milli), al quale hanno aderito personalità dell’ex Alleanza del Nord, ex comunisti, leader locali e appartenenti a famiglie che hanno svolto un ruolo importante nella storia del Paese, quali Mustafa Zahir, nipote dell’ex Re Zahir Shah.

Nel marzo del 2014 è stato nominato primo Vice Presidente. La Wolesi Jirga o camera bassa del Palamento dette la sua approvazione affinché Qanuni prendesse il posto di Qasim Fahim deceduto per malattia. (fonte Argoriente).

—————–

Nell’agosto 2021, mentre i talebani stavano conquistando Kabul, Qanuni si trovava in Pakistan con una delegazione afghana per, come ha affermato lo stesso Qanuni in un’intervista al quotidiano di proprietà della famiglia reali saudita Asharq al-Awsat, “per chiedere al Pakistan di esercitare la sua influenza sui talebani per evitare spargimenti di sangue, violenze e attacchi nelle aree non ancora controllate dal gruppo”. Dopo quell’intervista non si hanno sue notizie.

Mohaqiq Ustad Mohammad

Ustad Mohammad Mohaqiq è nato a Balkh il 26 luglio 1955.

  • Ministro della Pianificazione e Vice Presidente dell’Autorità nel Governo ad interim di H. Karzai (2001)
  • Confermato alla guida del dicastero nel giugno del 2002, si è dimesso nel marzo 2004 per dissensi con il Presidente Karzai
  • Ha partecipato alle elezioni presidenziali dell’ottobre del 2004 arrivando terzo
    Membro della Camera Alta a Kabul (Wolesi Jirga Member) nel 2005
  • Nominato presidente della Commissione affari religiosi, cultura e istruzione della Camera agli inizi del 2006
  • Rieletto nella Camera Alta (Wolesi Jirga) a Kabul nel 2010
  • Secondo Vice Presidente dell’Afghanistan nel 2014, poi espulso dal Presidente Ashraf Ghani nel 2019

 

Cosa si dice di lui

Nel giugno 2012 è stato duramente contestato da centinaia di dimostranti della sua stessa comunità per aver commemorato la ricorrenza della morte di Khomeini, l’ex leader supremo iraniano. In particolare gli intellettuali hazara rimproverano a Mohaqiq le connessioni con l’Iran denunciando l’episodio nel quale il rappresentante di Karzai venne colto in flagrante con una borsa piena di dollari provenienti dall’Iran, lo stesso paese che ha dato rifugio ai criminali di guerra Hekmatyar e Ismail Khan.( fonte Osservatorio Afghanistan)

Secondo la dettagliata ricostruzione del rapporto di Human Rights Watch Blood Stained Hands Mohammed Mohaqiq era uno dei più rilevanti comandanti della milizia di Hezb- e-Wahdat durante la guerra civile del 1992-1996, insieme ad Abdul Ali Mazari e Karim Khalili.( fonte Human Rights Watch)

Durante la Loya Jirga del 2002, il suo partito fu tra i più violenti nell’usare minacce e intimidazioni contro altri delegati, contribuendo a frustrare il processo che molti speravano avrebbe finalmente tolto il potere ai signori della guerra e messo il destino dell’Afghanistan nelle mani della società civile.

Invece, i signori della guerra erano ancora supportati e rafforzati per rimanere al potere.

Nel 2002, Mohaqiq aveva ancora una milizia di Hezb-e-Wahdat sotto il suo comando, che saccheggiava e depredava la provincia di Balkh, attorno a Mazar-e Sharif, attaccando deliberatamente i civili nelle campagne e sottoponendoli a ripetuti pestaggi, omicidi e stupri.

Nel 2007, Mohaqiq fu uno dei principali artefici della famigerata legge di amnistia, immediatamente condannata dall’ONU, lanciata dal governo Karzai in difesa dei signori della guerra colpevoli di crimini contro l’umanità durante la guerra civile 1992-1996. È anche tra i sostenitori di una legge reazionaria contro le donne, che autorizza legalmente lo stupro e la violenza all’interno del matrimonio. Gli uomini di Mohaqiq sono conosciuti e temuti soprattutto per il rapimento di ragazze, attaccando studentesse mentre andavano a scuola, che sono state violentate e poi hanno costretto le loro famiglie a pagare un riscatto. (fonte RAWA)

– Nel marzo del 2012 è stato invitato a Roma ad un convegno organizzato dal Campidoglio, alla presenza del sindaco Alemanno, di Gilberto Casciani (Presidente Commissione Affari Internazionali), di Nino Sergi (Intersos), di Emanuele Giordana e Lisa Clark (rete Afgana), dell’on.le Gianni Vernetti (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO, dell’ on.le Jean Léonard Touadì (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO). Una campagna di protesta del CISDA ha portato all’annullamento dell’evento e il mancato arrivo di Mohammed Mohaqiq in Italia. (vedi Comunicato CISDA)

I suoi precedenti

Mohammad Mohaqiq, di etnia hazara (sciita), è stato una delle figure di primo piano del partito filo-iraniano Hezb-e-Wahdat Islami, guidandone le milizie nei combattimenti intorno a Mazar-e Sharif. Durante gli anni ’80 prestò servizio nelle forze dei mujaheddin combattendo contro il governo afghano sostenuto dai sovietici. Dopo il ritiro dell’Unione Sovietica nel 1989, Mohaqiq è stato nominato leader dell’Hezb-e Wahdat per il nord dell’Afghanistan. Alla fine degli anni ’90 si è unito all’Alleanza del nord (Fronte unito) nella lotta contro i Talebani

Ha partecipato alla Conferenza di Bonn ed è stato nominato Ministro della pianificazione e Vice Presidente dell’Autorità ad interim. Confermato alla guida del dicastero nel giugno del 2002, si è dimesso nel marzo 2004 per dissensi con il Presidente Karzai. Ha partecipato alle elezioni presidenziali dell’ottobre del 2004, risultando il secondo dei non eletti. Nel settembre 2005 è stato eletto alla Wolesi Jirga per la provincia di Kabul ottenendo il maggior numero dei voti tra i vari candidati. Agli inizi del 2006 è stato nominato presidente della Commissione affari religiosi, cultura e istruzione della Camera. Dopo aver militato nel partito Hezb-e-Wahdat Islami di Karim Khalili se ne è distaccato fondando Hezb-e Wahdat-e Islami i Mardom.

Si sarebbe poi riavvicinato al Presidente Karzai rifiutandosi di aderire al Fronte Nazionale Unito di Yunis Qanuni e di Burhanuddin Rabbani. Nel 2019 Mohaqiq viene destituito dal presidente Ashraf Ghani Ahmadzai nel suo incarico di Secondo Vice Presidente dell’Afghanistan (carica che ricopriva dal 2014).

  1. La citazione dell’etnia sciita/sunnita ha il solo scopo di evidenziare come tali appartenenze vengano utilizzate a fini di convenienza.

————-

Nel 2022 Mohammad Mohaqiq ha affermato di sostenere la lotta politica pacifica del popolo e di non essere favorevole a un’opposizione armata contro i talebani. (fonte Afghanbios)

Massoud Ahmad Shah

Ahmad Shah Massoud è nato il 2 settembre 1953 ed è morto il 9 settembre 2001.

Ministro della Difesa nel 1992 per il Presidente Rabbani, è stato coinvolto in numerose battaglie per evitare che nemici come Gulbuddin Hekmatyar avessero il sopravvento. Quando il governo di Rabbani è caduto, il controllo è stato preso dai Talebani grazie agli aiuti economici e militari del Pakistan.

Cosa si dice di lui

Massoud compare in uno studio “Mappa dei conflitti afgani dal 1978” realizzato dall’Afghan Independent Human Rights Commission (AIHRC) tra le figure accusate di avere avuto responsabilità nelle uccisioni di massa compiute durante la guerra civile afghana. Il report individua responsabilità nei personaggi più potenti del governo afgano e delle attuali fazioni etniche, compresi politici dell’Alleanza del Nord, e riporta in modo preciso i luoghi e i dati relativi a 180 fosse comuni in cui si trovano resti di civili e combattenti fatti prigionieri. Include, inoltre, testimonianze di sopravvissuti e di persone che hanno visto gettare i cadaveri degli assassinati nelle fosse comuni, insieme a dettagli su altri crimini di guerra collegati.
Lo studio è stato imposto a Karzai dalla pressione internazionale e dalle ONG e in seguito ne è stata proibita la pubblicazione. (fonte New York Times e Osservatorio Afghanistan)

Nel 2002 Massoud viene candidato postumo al premio Nobel per la Pace grazie alla sua notorietà per la lotta contro i Talebani, ma la società civile afghana insorge contro questa nomina. Viene soprannominato popolarmente “macellaio dei Pashtun” per le stragi dei civili su base etnica.

Massoud è riconosciuto come Signore della Guerra, poiché appartenente a Jamiat-i-Islami – fazione ultra-fondamentalista – di cui era il comandante dell’ala militare. Durante il suo regime migliaia di donne sono state violentate in Afghanistan. (fonte RAWA  )

Human Rights Watch riporta le testimonianze di chi era presente ai combattimenti in strada, durante i quali Massoud e le milizie di Jamiat-i-Islami sparavano sui civili dalla cima della Television Mountain nel centro di Kabul. (fonte Human Rights Watch )

Il giornalista americano Steve Coll, in un articolo del 2004 pubblicato sul Washington Post dettaglia i flussi economici stanziati dalla CIA alle milizie di Massoud con l’obiettivo di combattere Al Qaeda. (fonte RAWA)

I suoi precedenti

Nato nel 1953, di etnia tagika, fu comandante dei combattenti musulmani della resistenza afghana contro l’invasione sovietica prima e contro il regime dei talebani poi. È conosciuto dai media internazionali, che lo hanno esaltato come figura eroica con il nome di “leone del Panshir” grazie ai suoi successi militari a capo dell’Alleanza del Nord.

Quando i sovietici vennero sconfitti, i Mujaheddin di Massoud furono i primi a entrare a Kabul e a stabilire un governo di occupazione.

I territori presidiati da Massoud sono infine stati occupati dai talebani, e lui venne assassinato durante un attacco suicida di Al Qaeda due giorni prima dell’11 settembre 2001.

Nel 2001 Karzai lo ha nominato “Eroe della Nazione Afghana”. (fonte Afghan Bios)

Khan Ismail

Ismail Khan è nato a Shindand nel 1946 (circa).

  • Capitano dell’esercito Afghano 1979
  • Comandante del 4° Corpo d’Armata della provincia di Herat 1990
  • Comandante del 6 ° Corpo
  • Governatore di Herat dal 1992 al 1997 e dal 2001 al 2004
  • Ex Ministro dell’energia e delle risorse idriche dal 2005 al 2013
  • Ministro ad interim 2009-2013

Cosa si dice di lui

Ismail Khan è una figura controversa. Reporters Without Borders lo ha accusato di imbavagliare la stampa e di ordinare attacchi ai giornalisti. Anche Human Rights Watch lo ha accusato di violazioni dei diritti umani (fonte Wikipedia)

Il rapporto di 51 pagine, “Tutte le nostre speranze sono crollate: violenza e repressione nell’Afghanistan occidentale” documenta abusi diffusi da parte dell’esercito, della polizia e dei servizi segreti sotto il comando di Ismail Khan, il governatore locale. Ismail Khan ha personalmente ordinato alcuni degli arresti e delle percosse politicamente motivate che hanno avuto luogo nel corso del 2002. Il rapporto Human Rights Watch documenta le percosse con rami spinosi, bastoni, cavi e mozzetti di fucile. I casi più gravi di tortura hanno riguardato i detenuti appesi a testa in giù, frustando e usando scosse elettriche. I membri della minoranza pashtun sono stati appositamente presi di mira per gli abusi.
rapporto a cura di John Sifton – Ricercatore nella divisione Asia di Human Rights Watch.

Da quando Ismail Khan ha preso il controllo di Herat alla fine del 2001, le sue truppe hanno regolarmente commesso atti di violenza e intimidazione contro persone e gruppi ritenuti contrari al suo governo.

La violenza e le intimidazioni sono state particolarmente gravi durante la vigilia della loya jirga del giugno 2002, quando le forze sotto il comando di Ismail Khan hanno arrestato candidati in quasi tutti i distretti di Herat e in diverse province limitrofe. Un alto funzionario dell’UNAMA a conoscenza degli eventi durante la loya jirga ha confermato molti dei casi documentati in questo rapporto. (fonte Human Rights Watch)

La sua storia

Ismail Khan, di etnia tagika, è nato nel 1948 a Naser Abad, nel distretto di Shindand (provincia di Herat). Ha frequentato la scuola primaria di Waez Kashif ed è stato poi ammesso alla Scuola militare di Kabul e all’Accademia, sempre a Kabul. Completati gli studi militari (1972), è stato assegnato alla 17^ Divisione di Herat. Ha partecipato all’insurrezione popolare contro il regime comunista del 17 Marzo 1979, che è stata soffocata nel sangue. Per sottrarsi all’arresto, Ismail Khan, allora Capitano, ha abbandonato l’Esercito ed è entrato in clandestinità rifugiandosi insieme a sessanta dei suoi uomini in una zona montagnosa della provincia di Ghowr.

Dopo l’invasione sovietica ha raggiunto il Pakistan ed ha aderito al partito Jamiat-e Islami di Burhanuddin Rabbani. Tornato in patria, ha contribuito ad organizzare il jihad nelle province occidentali guadagnando una grande fama per le sue capacità militari e il suo coraggio, ma si è procurato anche molti nemici in seno al suo stesso partito, soprattutto quando ha tentato di impedire la formazione del movimento islamista degli ikuani (fratelli), collegato ai Fratelli mussulmani egiziani e che voleva diffondere l’insegnamento wahhabita. Gli ikuani hanno continuato a contrastarlo anche quando, dopo la caduta del regime comunista, egli è diventato Governatore della provincia di Herat e ha assicurato alla popolazione benessere, prosperità e stabilità inserendo i suoi avversari nell’amministrazione locale. Ismail Khan ha sempre mantenuto un atteggiamento di indipendenza nei confronti del Governo di Kabul, che ha cercato anche di opporsi alla sua decisione di attribuirsi il titolo di Emiro. Nel periodo della guerra civile (1992-1996), egli ha cercato di favorire un’intesa tra le fazioni in lotta, ma i suoi tentativi sono falliti a causa delle manovre dei servizi segreti pakistani.

Nel mese di marzo 1995 i taliban hanno attaccato ripetutamente la provincia di Herat, ma Ismail Khan è riuscito a bloccare per due volte la loro avanzata. Nel mese di agosto ha condotto una controffensiva che gli ha consentito di arrivare a Gereshk, nella provincia di Helmand, allontanandosi troppo dalle sue basi ed esponendo le sue milizie ai veloci contrattacchi dei taliban, rafforzatisi nel frattempo grazie agli aiuti provenienti soprattutto dal Pakistan e dall’Arabia Saudita. La sconfitta iniziale si è tramutata presto in una rottura e Ismail Khan ha lasciato con i suoi uomini Herat, occupata dai taliban il 5 settembre, rifugiandosi in Iran. Nel 1997 è tornato in patria per partecipare alla lotta contro le milizie taliban insieme a Abdul Rashid Dostum, ma a causa del tradimento del Vice di quest’ultimo, Malik Palhawan, è stato catturato e consegnato ai taliban. Questi lo hanno rinchiuso nella prigione di Kandahar, da cui è riuscito a fuggire dopo tre anni con la complicità di una guardia. Rifugiatosi nuovamente in Iran, poco dopo ha fatto ritorno nella provincia di Herat senza tuttavia riuscire a rappresentate una minaccia seria per i taliban. L’inizio dell’operazione militare Enduring Freedom gli ha consentito di riprendere l’offensiva e al comando delle sue milizie ha liberato Herat il 12 novembre del 2001. Ismail Khan è stato nuovamente nominato Governatore della provincia, con una notevole influenza anche su quelle vicine, e in seguito gli è stato riconosciuto anche l’incarico di Comandante del 4° Corpo d’Armata con giurisdizione nella regione occidentale. Con la fine dei combattimenti la città di Herat è tornata ad essere al centro di traffici e di attività commerciali e industriali, distinguendosi tra gli altri capoluoghi di provincia, inclusa Kabul, per il livello di sviluppo e di benessere conseguiti. Tuttavia, sono presto sorti dei contrasti tra Ismail Khan e il Governo centrale, che reclamava il versamento delle tasse doganali riscosse nei valichi di frontiera con l’Iran e il Turkmenistan, valutate in oltre 60 milioni di dollari l’anno. Nello stesso tempo, è stato criticato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani per gli ostacoli posti all’affermazione del ruolo delle donne nella società e per gli episodi di violenza di cui si sono resi responsabili i suoi uomini in passato.

Il Governo centrale ha cercato di indebolire l’autorità di Ismail Khan, sia nominando governatori a lui ostili nelle vicine province di Bagdis e di Farah, sia vietando il cumulo delle cariche civili e militari. Il 21 marzo 2004 alcuni soldati della 17^ Divisione, comandata dal Generale Zahir Khan Nayebazda, sono stati coinvolti in un attentato nei suoi confronti e poi hanno ucciso il figlio, Mirwais, e altri collaboratori che si erano recatosi presso la sede della Divisione per avere chiarimenti. Sono seguiti scontri violenti culminati con la fuga del Generale Nayebzada e la morte di decine di persone. Nel successivo mese di agosto, le milizie di Ismail Khan sono state sconfitte nel distretto di Shindand da quelle pashtun di Amanullah Khan. L’episodio ha fornito al Governo il pretesto per inviare nell’area una forza di interposizione e, in seguito (l’11 settembre dello stesso anno), per rimuovere Ismail Khan dall’incarico di Governatore. Tuttavia, seguendo una politica condotta anche con altri warlord, tra cui Dostum, il Presidente Karzai ha cercato di cooptare Ismail Khan nelle strutture di potere, temendo gli effetti destabilizzanti che egli avrebbe potuto provocare schierandosi contro le istituzioni del Paese. Di conseguenza, nel dicembre dello stesso anno gli ha offerto l’incarico di Ministro dell’energia e delle risorse idriche, che è stato accettato.

Oltre che una figura carismatica della guerra contro i sovietici, Ismail Khan è anche un politico molto accorto e aspira a un proprio ruolo egemone in ambito regionale. Egli ha cercato di raggiungere tale obiettivo sfidando in alcune occasioni il Governo centrale, sia durante il periodo dei mujiaheddin che dopo la caduta dei taliban, ma evitando che le divergenze sfociassero in uno scontro aperto. Pertanto, anche se attualmente mostra un atteggiamento di lealtà nei confronti del Presidente Karzai, è verosimile che Ismail Khan sia pronto a sfruttare tutte le opportunità che gli si presenteranno per recuperare la propria influenza nella provincia di Herat e in tutta la regione occidentale. (fonte argoriente).

—————

Il 13 agosto 2021 talebani hanno catturato Ismail Khan ad Herat. Un portavoce di Khan ha poi detto all’agenzia di stampa AFP che al comandante era stato permesso di tornare alla sua residenza dopo negoziati con i talebani (fonte Al Jazeera)