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2012 – Sospeso il partito democratico afghano Hambastagi

Il Ministero della Giustizia afghano ha reso nota la sospensione del Partito della Solidarietà Hambastagi e l’avvio da parte dei Servizi Segreti e del Ministero degli Interni di indagini per un’eventuale denuncia legale nei confronti dei suoi esponenti accusati di aver insultato la “Jehad”.

Il 30 aprile scorso, nel ventesimo anniversario della presa del potere di Kabul da parte delle milizie fondamentaliste, il Partito democratico afghano Hambastagi ha organizzato una partecipata manifestazione  per  chiedere  giustizia  per  le  vittime  civili  e  la  deposizione  dei  warlords  che ricoprono incarichi istituzionali.

Successivamente, Hambastagi ha denunciato di aver subito pressioni e minacce da parte di esponenti del parlamento e del senato che hanno condannato il corteo e chiesto l’annullamento del suo status giuridico di partito con l’intenzione di delegittimare il movimento democratico e richiederne l’espulsione.

In Italia, questo episodio è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare a risposta scritta da parte dell’on. Di Stanislao che ha espresso ferma condanna e chiesto al Governo afghano di porre fine a un modus operandi che va contro una libertà di opinione e di espressione, indispensabile per costruire uno Stato democratico e autonomo a tutela e sostegno dei cittadini.

Nato nel 2004, Hambastagi è un partito laico e democratico che si oppone ai criminali di guerra al governo del paese e alla presenza della NATO, denunciandone la volontà di stabilire basi permanenti in Afghanistan una volta ultimato con successo il ritiro formale delle truppe.

Hambastagi  vanta  oltre 30.000  iscritti  e  ha  costruito  negli  anni  una  presenza  capillare  nelle province e nelle zone rurali promuovendo l’educazione e il coinvolgimento attivo della cittadinanza alla ricostruzione del paese. Le manifestazioni e i cortei che spesso i suoi militanti organizzano costituiscono fondamentali strumenti di presenza per dimostrare concretamente che la resistenza pacifica non è scomparsa.

La stigmatizzazione delle opposizioni politiche, rappresentata da questo grave episodio, si riflette anche sul rischio di marginalizzazione delle organizzazioni non governative locali che non sono perfettamente allineate con il governo afghano e la presenza delle truppe nel paese. Non a caso, gli USA hanno spostato la gestione diretta dei fondi per lo sviluppo dal Ministero degli Esteri, a quello della Difesa e poi ai PRT (Provincial Riconstruction Team).

Il Cisda denuncia quanto accaduto come il segno evidente di una politica che lede i diritti, la libertà e la sovranità dei cittadini afghani e invita le associazioni e le istituzioni italiane a richiedere l’integrazione del partito d’opposizione afghano Hambastagi e a richiamare e condannare tale politica che arreca anche il rischio di indurre alla clandestinità e di estremizzare le opposizioni che, al contrario, dovrebbero convivere pacificamente all’interno di una democrazia reale.

2012 – Protesta contro l’arrivo in Italia del criminale afgano Mohammed Mohaqiq

I prossimi 16 e 17 marzo sono annunciate a Roma due vergognose iniziative che vedono protagonista il tristemente noto signore della guerra e criminale afgano Mohammed Mohaqiq, leader del movimento fondamentalista di Hezb-e-Wahdat.

Il 16 marzo questo criminale di guerra sarà addirittura il principale oratore ad un convegno organizzato al Campidoglio, alla presenza del sindaco Alemanno, di Gilberto Casciani (Presidente Commissione Affari Internazionali), di Nino Sergi (Intersos), di Emanuele Giordana e Lisa Clark (rete Afgana), dell’on.le Gianni Vernetti (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO, dell’ on.le Jean Léonard Touadì (Commissione Affari Esteri e Assemblea Parlamentare NATO).

È vergognoso e lascia senza parole il fatto che la Rete Afgana legittimi e avalli la presenza e di un criminale di guerra di questo calibro: così pensiamo di voler parlare di pace in Afghanistan?

Inoltre, il 17 marzo a Roma, in via San Gallicano con il pretesto dei festeggiamenti per il capodanno afghano, Mohaqiq parteciperà alla commemorazione annuale della morte di Mazari, sanguinario signore della guerra riconosciuto responsabile di eccidi efferati ai danni della popolazione civile afghana negli anni 1992-1996.

Secondo la circostanziata ricostruzione di Human Rights Watch nel report Blood Stained Hands (http://www.hrw.org/sites/default/files/reports/afghanistan0605.pdf) Mohammed Mohaqiq fu uno dei più sanguinari comandanti delle milizie di Hezb-e-Wahdat durante la guerra civile tra il 1992 e il 1996, insieme a Abdul Ali Mazari e Muhammad Karim Khalili. Dopo la caduta dei Talebani nel 2001, Mohaqiq fu nominato vice presidente del governo ad interim e ministro per la Pianificazione Urbanistica. Durante la Loya Jirga del 2002, il suo partito fu tra i più violenti nell’usare minacce e intimidazioni contro gli altri delegati, contribuendo a vanificare quel processo che molti speravano potesse finalmente togliere potere ai signori della guerra e mettere il destino dell’Afghanistan nelle mani della società civile. Invece, furono ancora i signori della guerra a essere confermati al potere e rafforzati.

Nel 2002, erano ancora agli ordini di Mohaqiq le milizie di Hezb-e-Wahdat che saccheggiarono e depredarono la provincia di Balkh e i dintorni di Mazar-e Sharif, attaccando deliberatamente la popolazione civile delle campagne e facendone oggetto di ripetuti pestaggi, assassinii e stupri.

Nel 2007, Mohaqiq fu uno dei principali artefici della famigerata legge sull’amnistia, subito condannata dall’ONU, varata dal governo Karzai in difesa dei signori della guerra che si erano macchiati di crimini contro l’umanità durante la guerra civile 1992-1996.

Inoltre è fra i fautori di una retriva legge contro le donne, che autorizza legalmente lo stupro e la violenza all’interno del matrimonio.

Tuttora, gli uomini di Mohaqiq sono noti e temuti soprattutto per i rapimenti di ragazze, spesso studentesse aggredite mentre si recano a scuola, che vengono stuprate e poi rese alle loro famiglie dietro il pagamento di un riscatto.

Il CISDA, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, si unisce a tutte le forze e i movimenti che lavorano per la giustizia e i diritti umani in Italia, in Afghanistan e nel mondo per condannare fermamente la sua presenza in Italia e ogni tipo di accoglienza istituzionale a Roma del criminale contro l’umanità Mohammed Mohaqiq.

2011 – Incursione armata nell’orfanotrofio di Afceco a Kabul

Martedì 20 settembre alcuni parlamentari afghani accompagnati da diverse guardie del corpo armate hanno organizzato un’incursione nei locali dell’orfanotrofio Mehan di AFCECO (www.afceco.org), a Kabul, uno dei pochi luoghi in cui i bambini ospitati vivono dignitosamente, in un  ambiente  pulito  e  accogliente,  andando  a  scuola,  studiando  musica  e  danza,  imparando inglese, organizzando addirittura una squadra di calcio femminile.

Queste persone hanno minacciato e interrogato armi in pugno i bambini sino a farli piangere, terrorizzando il personale femminile presente in quel momento.

Le ridicole accuse, mosse con violenza in primo luogo dalla parlamentare Razia Sadat Mangal, ma anche dai parlamentari Najia Orgonwal e Kamal Nasir Osuli, muovevano il sospetto che il centro fosse “un bordello frequentato da occidentali”, “una missione attiva nella conversione dei bambini al cristianesimo”. Venivano anche poste domande sulle ragioni per cui viene insegnata musica e sulla cifra “molto alta” spesa per i bambini.

“Purtroppo”, denuncia AFCECO, “l’attacco è arrivato non dai talebani ma direttamente dalle istituzioni afghane”. “Perché”, prosegue il comunicato di AFCECO, “con tutti i problemi che ha il paese si spendono soldi ed energie per dare battaglia a degli orfani il cui solo crimine è il fatto di poter vivere in un luogo sicuro dove ricevono, cure, istruzione e affetto?”.

AFCECO, che gestisce diversi altri orfanotrofi sia a Kabul che in altre città afghane è una ong sostenuta anche da diverse organizzazioni e istituzioni italiane (Liberi Pensieri di San Giuliano Milanese, CISDA, Insieme si Può di Belluno, la Provincia di Trento ecc.) e statunitensi (USAID, Asia Foundation, Afghan Women’s Misson ecc.), conosciuta e apprezzata anche dai responsabili della cooperazione italiana in Afghanistan.

2011 – Il governo di Kabul impone il suo controllo sulle case rifugio!

ALLARME DONNE AFGHANE: IL GOVERNO DI KABUL IMPONE IL SUO CONTROLLO SULLE CASE RIFUGIO!!

Il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia la legge promossa dal Consiglio dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ONG afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili afghano (MoWA).

Il Decreto accoglie così una precedente decisione della Corte Suprema Afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha dichiarato REATO l’allontanamento delle donne da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza per donne maltrattate gestiti dalle Ong. La decisione della Corte Suprema Afghana già limitava la possibilità delle donne vittime di violenza di appellarsi agli organismi giudiziari.

La legge prevede inoltre la chiusura di alcuni rifugi, l’accompagnamento delle donne da parte di un mahram (parente maschio o marito), l’insegnamento della religione islamica e l’obbligo per le donne accolte di sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale. Il governo afferma che la gestione da parte del MoWA garantirà una migliore gestione dei fondi e una migliore scelta dello staff interno. Riteniamo che questa misura sia stata presa solo per compiacere i fondamentalisti e i Taliban, con cui si sono avviate delle trattative; così, i rifugi sono stati accusati di essere case di prostituzione e si è scelto di tenerli sotto controllo.

Questo avrà conseguenze disastrose per le donne vittime di violenza:

  • * Nessun parente di sesso maschile, men che meno il marito, accompagnerà mai una donna maltrattata in un rifugio: nella maggior parte dei casi sono essi stessi gli artefici delle violenze dalle quali le donne vorrebbero fuggire.
  • * Lo stupro in Afghanistan è motivo di vergogna e ripudio per la donna. Se l’esame medico provasse che la donna è stata violentata, una volta sotto il controllo governativo la vittima sarebbe condannata invece che accolta.
  • * Se la donna fugge da un matrimonio forzato, una volta arrivata al rifugio sarebbe denunciata dal governo stesso, poiché allontanarsi da casa è considerato reato.
  • * Le ragazze rimandate a casa vivrebbero nella vergogna e nell’emarginazione, se non direttamente giustiziate, come dimostrano i vari casi di lapidazione avvenuti in diverse parti del paese negli ultimi mesi.
  • * Nel caso la famiglia chiedesse il ritorno a casa della donna per qualsivoglia motivo, compreso un matrimonio forzato, lo staff del rifugio non potrebbe rifiutarsi. Come se non bastasse, molte delle donne provenienti da case rifugio, verranno accusate di adulterio all’interno della loro comunità.
  • * L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo: non ci sarà più alcuna garanzia sul controllo dei fondi eventualmente stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza.

Il governo Karzai, voluto e sostenuto attivamente dall’occupazione militare USA-NATO, non si distingue certo per il rispetto dei diritti umani:

  • * nel marzo 2009 il governo Karzai ha firmato una legge intesa a colpire soprattutto le donne della comunità shiita: secondo questa legge, le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
  • * Nel marzo 2007, il governo Karzai aveva provveduto a garantire l’amnistia per tutti i crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.
  • * Nel gennaio 2007 il giornalista Parwez Kambashkh era stato condannato a morte da un tribunale di Balkh, dopo esser stato accusato di blasfemia a causa delle sue idee sulla parità dei diritti delle donne. Benché Parwez, a seguito delle pressioni internazionali, venne graziato, altre decine di giornalisti versano nelle medesime condizioni.
  • * Nel luglio 2006, il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per il Vizio e Virtù”, tristemente noto già sotto il regime Taleban.
  • * Le organizzazioni afghane che si battono per i Diritti Umani denunciano inoltre le continue pressioni da parte del governo per legalizzare il sistema di “giustizia informale” (tribale) all’interno del quale è prevista la lapidazione delle donne.

E l’Italia? Tra il 2001 e il 2011 il governo italiano ha investito centinaia di milioni di euro nel progetto di ricostruzione della giustizia afghana. Chiediamo al governo italiano e alle forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan di spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente, anziché favorire, i diritti umani e i diritti delle donne afghane

2011 – Decennale occupazione

8 ottobre 2001 – 8 ottobre 2011

DIECI ANNI DI BOMBARDAMENTI,  OCCUPAZIONE E MISERIA IN AFGHANISTAN

Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull’Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.

L’8 ottobre  2001,  a seguito del tragico evento dell’11 settembre, gli USA  e i loro alleati iniziano l’occupazione dell’Afghanistan con pesanti bombardamenti con il pretesto di “sconfiggere il terrorismo”,  abbattere  il regime  dei talebani  responsabili  di aver  sostenuto  Bin Laden,  riportare  la democrazia, liberare le donne, ricostruire un paese già devastato da 20 anni di guerra.

Gli USA scelgono di sfruttare sul terreno le milizie dell’Alleanza del Nord, gruppi di fondamentalisti islamici  responsabili  della  guerra  civile  del  1992-1996   che  ha  devastato  l’Afghanistan,  facendo perdere  la  vita  a  70.000  persone  nella  sola  Kabul;  gli stessi  criminali  di guerra  già sostenuti,  con grossi  finanziamenti  e  forniture  di armi,  per  cacciare  le  armate  sovietiche  che  avevano  occupato  il paese nel 1979.

Quando cade il regime talebano, la comunità internazionale consente  a questi criminali di guerra (tra i quali Sayyaf, Fahim, Rabbani – appena ucciso  in un attentato dei talebani, con i quali stava avviando trattative  “di  pace”  – Qanuni,  Abdullah,  Ismail  Khan,  Khalili, Mohaqiq)  di occupare  governo  e Parlamento afgani e di riprendere il controllo del paese, negando  invece sostegno  e appoggio alle forze democratiche e laiche.

 

Nel marzo  2007  il governo  Karzai  vara  una legge  che  garantisce  l’amnistia  per  tutti i crimini di guerra commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.

Inoltre,  il via  libera  dato  ai signori  della  guerra  ha fatto  sì che dal  2001,  in tutto il paese,  si  siano formati e abbiano spadroneggiato nelle aree sotto  il loro controllo centinaia di nuove milizie e gruppi para-militari.  In Just  don’t call  it a  milita,  un recente rapporto  di Human Rights  Watch uscito nel settembre  2011,  si  dice  che  “gruppi  militari di vari  tipo hanno  partecipato   a  rappresaglie  tribali, omicidi, traffici illeciti ed estorsioni. Stupri di donne, ragazze e ragazzi sono frequenti. Le milizie sono solitamente controllate da capi locali o signori della guerra”.

La situazione  delle  donne  afgane  rimane  drammatica.  Nel 2009, cercando  di garantirsi  sostegno elettorale dalla comunità shiita, il governo Karzai  vara una legge che prevede  l’impossibilità per le donne shiite di rifiutare rapporti sessuali con il marito, di recarsi liberamente dal medico, a scuola o al lavoro senza il permesso del coniuge, pena il ritiro di qualsiasi sostegno finanziario. Tutt’ora ci sono donne  che  si  suicidano  dandosi  fuoco,  donne  costrette   a  matrimoni  forzati,  donne  ripudiate  dalla famiglia se vittime di stupro perché motivo di vergogna.

Nel gennaio 2011 il Consiglio dei Ministri afghano approva una legge secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata  in vigore le case rifugio per donne maltrattate  passano dalla gestione delle  ONG al Ministero  degli  Affari  Femminili.  La legge  accoglie  una  decisione  della  corte  suprema  afghana, secondo cui le donne che scappano di casa per maltrattamenti commettono  reato. Le donne dovrebbero essere  accompagnate   al rifugio  da  un parente  maschio  (di solito  l’artefice  dei maltrattamenti)  e sottoposte  a umilianti visite per verificare la loro attività sessuale.

Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di Euro per  la  cooperazione  civile  (che  costituiscono  però  solo  circa  il  2% del  totale  delle  spese sostenute per le truppe)  ma l’importo totale stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro.  Di  questi,  circa  81 milioni di euro  sono  stati  impiegati  per  la  riforma  della  giustizia  in Afghanistan.

In Afghanistan  mancano  case, scuole,  ospedali  e  lavoro;  la produzione di oppio  è arrivata a circa  il 96% del totale mondiale.

Sono questi i risultati dell’intervento internazionale in Afghanistan?

In dieci anni di intervento militare i soli USA  hanno speso più di 487 miliardi di dollari.

La guerra in Afghanistan ha provocato  la morte di 44 soldati italiani, circa 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, circa 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila vittime degli  attacchi talebani e almeno  7 mila uccisi dalle truppe alleate – più di 3 mila civili morirono  nei  soli  bombardamenti  aerei  del 2001-2002). In totale,  quindi,  otto anni  di guerra  hanno stroncato circa 43 mila vite umane (fonte “Peace Reporter”).

Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese,  lo stesso  governo   rifinanzia  la  missione  italiana  in Afghanistan  (con  il  solo  voto contrario dell’IDV) che nel primo semestre 2011  ha previsto una spesa di 410 milioni di euro  e una presenza di 4.350 truppe. (fonte: Peace Reporter).

Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell’Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall’Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.

Per il calendario delle iniziative in Italia consultare: http://www.osservatorioafghanistan.org http://www.facebook.com/#!/pages/Cisda/120648274682738

2011 – Mozione per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan

Considerando che l’intervento militare occidentale in Afghanistan ha fallito completamente gli obiettivi propagandati per giustificarlo (sconfiggere il terrorismo; portare la democrazia; liberare le donne), anzi al contrario:

Il paese è stato consegnato dal 2001 nelle mani dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord, responsabili di crimini contro l’umanità e narcotrafficanti. Essi hanno continuato ad occupare fino ad oggi i posti chiave nel governo, nella magistratura e il 90% dei seggi in parlamento. Le successive elezioni, come anche la comunità internazionale ha dovuto riconoscere, si sono svolte tra brogli e violenze di tale portata da invalidare i risultati ad ogni livello. Non c’è alcuna parvenza di democrazia ne’ uno stato di diritto.

I fondamentalisti talebani che l’intervento militare occidentale voleva annientare, sono ora più forti, controllano l’80% del territorio e sono attivi nel 97%. Tanto che la coalizione guidata dagli USA sta tentando di mediare un accordo tra loro e l’attuale governo, per una spartizione del potere tra le diverse fazioni fondamentaliste, e chiamano questo “pacificazione”.

I diritti umani, i diritti delle donne, la democrazia, le condizioni minime di sopravvivenza della popolazione, vengono sacrificati alle logiche di spartizione del potere interno e internazionale

La totale impunità per chi ha violato i diritti umani negli ultimi 30 anni, è stata sancita con una legge in parlamento nel 2007, in nome della “Riconciliazione Nazionale”, sotto gli occhi delle truppe occupanti, e malgrado la disperata resistenza delle organizzazioni afghane democratiche della società civile.

La legge sciita che legalizza lo stupro domestico e cancella ogni diritto delle donne, oltre i limiti già risibili della stessa costituzione afghana, è stata approvata dal parlamento nel marzo 2009.

Gli eserciti occupanti non solo tollerano le sistematiche violazioni dei diritti umani che i signori locali e i loro uomini esercitano sulla popolazione, in particolare sulle donne, ma rafforzano il potere di questi ultimi, e soprattutto dei più violenti e criminali, pagando loro regolarmente decine di migliaia di dollari perché non compiano attentati contro i militari occidentali stessi.

Del resto le perquisizioni notturne nelle case dei sospetti, il sequestro e la detenzione arbitraria in carceri segrete, l’uso sistematico della tortura, da parte in particolare delle forze USA che guidano la coalizione, non qualificano certo gli occupanti quali paladini dei diritti umani e della democrazia tra la popolazione.

I bombardamenti colpiscono indiscriminatamente i civili. L’aviazione USA dal 2001 ha lanciato già oltre 14.049 tonnellate di bombe. Nel 2009 sono stati uccisi 2412 civili, in prevalenza donne e bambini. Ma il maggior numero di vittime non viene registrato dalle statistiche: ci sono oltre 235.000 sfollati nei campi profughi interni, accampati nel deserto senza acqua, cibo e riparo, muoiono di stenti. Feriti e mutilati non hanno accesso a cure mediche.

Considerando infine che la società civile afghana, in particolare le poche associazioni democratiche ancora attive, tra cui Rawa con la quale la Cgil intrattiene da anni relazioni di solidarietà, chiedono con forza il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione, chiediamo che la Cgil si faccia portavoce di questa istanza presso tutte le sedi opportune.