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Fatoma, Herat

Ho 12 anni e vivo ad Herat. La mia famiglia è povera ma ci vogliamo bene.
Mio padre ha un piccolo negozio e mia madre è casalinga. Il problema sono io, o meglio il mio cuore. Pare che abbia un buco. Mi fa stare male e non mi fa crescere come gli altri.
Mio padre le ha provate tutte. Mi ha portato da molti medici ma ognuno diceva il contrario dell’altro.
Alla fine, con l’aiuto dei miei parenti, è riuscito a portarmi al FMC Hospital. Lì hanno capito di che malattia si trattava, appunto il buco nel cuore. Serve un’operazione ma costa molto.
Mio padre mi ha anche registrato alla Croce Rossa. Ma in due anni nessuno si è fatto vivo. Così era sempre più disperato.
Ha saputo del centro legale di Hawca e si è presentato a raccontare la mia storia. Certo non era il posto giusto, non è di questo che si occupano. Ma proveranno ad aiutarci lo stesso a trovare i soldi per l’operazione. Mio padre intanto, che ha la testa molto dura, continua a sperare di risparmiare abbastanza per portarmi all’estero a operarmi. Per questo, a volte, mangiamo solo un po’ di pane secco per tutto il giorno. Ma anche con questi sacrifici non credo che ce la possa fare.
Così aspettiamo quello che succederà…

Aggiornamenti

Quando Fatoma entra nel progetto ritrova la speranza. Con alcune donazioni comincia a curarsi e a mangiare meglio.
Poi, nella sua vita, entrano Luciana e Giovanni che continuano a seguirla per molti anni, fino ad ora, con il loro sostegno economico e con il grande affetto di cui sono ricchissimi.
‘Con il loro sostegno economico e la loro presenza nella mia vita, dice Fatoma, una porta si è aperta, per me e per i miei genitori, sul mio futuro, e la speranza di guarire e di vivere come le altre ragazze.’ Riescono a raccogliere perfino, tra i loro amici, 2500 euro per l’operazione.
La sua malattia è grave e difficile da guarire e Fatoma è curata da diversi medici. Va spesso in Pakistan, come fanno tutti qui, data la scarsa efficienza degli ospedali afghani. Pian piano, tra alterne vicende, sta meglio, può mangiare cibi sani, cosa importante per lei, e può scaldarsi nei gelidi inverni di Kabul. Cresce e va a scuola È molto brava ma fa fatica per la sua debolezza.
Quando deve stare a casa studia privatamente con molto impegno. Non vuole restare indietro. Quando i suoi sponsor sanno che le farebbe bene fare dello sport, la sostengono anche per la palestra che le dà molta energia.
È curata adesso nel nuovo Centro Cardiologico appena aperto a Kabul, un ospedale più moderno e affidabile.

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Una storia del progetto Vite preziose.

La fotografia è di solo carattere grafico e non rappresenta la donna protagonista della storia. Data la attuale situazione in Afghanistan, per evitare l’identificazione delle donne i nomi sono stati modificati, così come i luoghi dove si svolgono i fatti.

 

Comunicato stampa: Nobel per la pace a Riace

Siamo una rete di organizzazioni della società civile, NGO e Comuni che vogliono promuovere una Campagna a favore dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2019 a Riace, il piccolo Comune calabrese che invece di rinchiudere i rifugiati in campi profughi li ha integrati nella sua vita di tutti i giorni.

Riace è conosciuta in tutta Europa per il suo modello innovativo di accoglienza e di inclusione dei rifugiati che ha ridato vita ad un territorio quasi spopolato a causa dell’emigrazione e della endemica mancanza di lavoro. Le case abbandonate sono state restaurate utilizzando fondi regionali, sono stati aperti numerosi laboratori artigianali e sono state avviate molte altre attivitàà che hanno creato lavoro sia per i rifugiati che per i residenti.

Nel 2018 il Sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato arrestato, poi rilasciato, sospeso dalla carica e infine esiliato dal Comune con un provvedimento di divieto di dimora per “impedire la reiterazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Un provvedimento che rappresenta un gesto politico preceduto dal blocco nel 2016 dell’erogazione dei fondi destinati al programma di accoglienza e inserimento degli immigrati, che lasciò Riace in condizioni precarie.

Gli atti giudiziari intrapresi nei confronti del Sindaco Lucano appaiono essere un chiaro tentativo di porre fine ad una esperienza che contrasta chiaramente con le attività dei Governi che si oppongono all’accoglienza e all’inclusione dei rifugiati e mostrano tolleranza in casi di attività fraudolente messe in atto nei centri di   accoglienza di tutta Italia e in una Regione dove il crimine organizzato – non di rado – opera impunemente.

Supportare la nomina del Comune di Riace per il Nobel della pace è un atto di impegno civile e un orizzonte di convivenza per la stessa Europa.

Le organizzazioni che volessero sostenere la nostra proposta, troveranno il modulo al seguente link:

Le persone singole che volessero aderire dovranno collegarsi al seguente link:

Il modulo va compilato in ogni sua parte e spedito cliccando su Invia.

Il Comitato promotore:

Re.Co.Sol – Rete dei Comuni SolidaliMunicipio Roma VIII; Comunità di base San Paolo; LeftArci Nazionale, Arci Roma, Comuni Virtuosi; CISDA, Noi siamo ChiesaISDEAIEA Onlus- Associazione Italiana Esposti AmiantoMedicina Democratica Onlus, Festival Villa Ada Roma Incontra Il Mondo; Tavola della Pace; Rete CinEst; Movimento Europeo Italia; Forum Italo Tunisino per la Cittadinanza Mediterranea; CBC Costituzione Beni Comuni, Scup Sport e Cultura Popolare.

Indagine sui crimini di guerra in Afghanistan da parte della Corte penale internazionale (ICC)

Il 3 novembre 2017 la Corte Penale Internazionale (ICC) ha rilasciato una dichiarazione per esprimere la sua posizione sulle indagini sui crimini di guerra in Afghanistan. Questo è il primo passo da quando l’Afghanistan è diventato Stato membro della Corte Penale Internazionale nel 2003.

Anche se questa può sembrare una buona notizia per le famiglie delle vittime e può avere piccoli effetti sui sogni dei criminali, la Corte può focalizzarsi solo sui crimini commessi nel paese dopo il 2003. Ancora una volta i violatori dei diritti umani e i criminali degli ultimi quattro decenni, che sono al potere, non saranno perseguiti per i loro crimini.

Senza dubbio, la serie di crimini degli ultimi quattro decenni in Afghanistan non hanno solo connessioni tra loro, ma tutti gli autori sono dalla stessa parte contro il nostro popolo e continuano le loro atrocità . I lacché russi Khalqi e Parchami hanno assassinato migliaia di compatrioti nei loro mattatoi, come confermato dalla recente pubblicazione di una “Dead List” con i nomi di 5000 vittime che testimonia i loro crimini. Le fazioni jihadiste hanno distrutto tutti i nostri beni materiali e spirituali. Hanno ucciso più di 65000 persone solo nella capitale Kabul. Eppure gli abitanti di Kabul e tutto il paese non hanno dimenticato i giorni neri del governo di queste fazioni e le loro brutalità. E infine, il selvaggio regime dei talebani, ha raccolto questa eredità  e possiamo ancora vedere la loro inarrestabile barbarie nell’uccidere la nostra gente.

Tenendo conto di questi fatti, se la Corte Penale Internazionale non vuole o non è in grado di considerare questi fatti, allora la maggior parte dei crimini di guerra in Afghanistan degli ultimi tre periodi sarà  dimenticata e i loro perpetratori che sono al potere in questo momento, non saranno perseguiti e potranno continuare facilmente a commettere altri crimini. In questo caso, la giustizia sarà  sacrificata per gli affari politici e la burocrazia delle organizzazioni richiedenti giustizia. Nonostante ciò, possiamo ancora trarre vantaggio da questa posizione della Corte Penale Internazionale nel perseguire i trasgressori dei diritti umani e i criminali dal 2003, perché gli autori di reati durante questo periodo sono gli stessi governanti dei periodi precedenti o che hanno profondi legami con loro. Il bombardamento e il massacro della nostra gente da parte degli Stati Uniti-NATO, le esplosioni causate dai talebani e dall’ISIS e gli attacchi suicidi possono costituire la maggior parte dei crimini di questo periodo. Inoltre, i crimini commessi da Gulbuddin Hekmatyar e da altri gangster di fazioni che ora operano sotto il nome di “Arbaki” o “Polizia locale” possono essere considerati parte di questo periodo.

L’Associazione SAAJS ritiene che; solo con la continua pressione delle famiglie delle vittime, delle istituzioni che si schierano per una reale ricerca della giustizia e degli individui che amano la libertà, potremo perseguire i criminali e i loro sostenitori. Nessuna istituzione potrà ottenere risultati se non sotto la pressione dalle legittime richieste della gente.

Associazione SAAJS (Associazione sociale per la ricerca della giustizia in Afghanistan).

Comunicato stampa di Malalai Joya

dalla pagina facebook di Malalai Joya

Il nostro popolo è stanco di sentire parole di “condoglianza”, “dolore” e “condanna”, specialmente perché queste parole arrivano proprio dai principali sospetti dell’attuale situazione di miseria del paese. Invece di esprimere parole di condoglianza, dobbiamo unire le nostre forze e lottare per uscire da questo orrore, non abbiamo altro modo per uscire da questa situazione disastrosa!

Con l’annuncio della “Nuova Strategia Americana per l’Afghanistan”, il cui messaggio principale è solo una escalation della guerra e del crimine nel nostro paese, siamo stati testimoni di uno spargimento di sangue senza precedenti in Afghanistan, le cui vittime sono solo poveri e miserabili civili.

Non un solo soldato dell’occupante USA, nessuno dei loro burattini e nessuno dei loro parenti è stato ucciso. Il sangue di centinaia di nostri connazionali innocenti non ha turbato le coscienze dei funzionari governativi, degli intellettuali che dormono, di tutti coloro che accolgono e accettano questa strategia. I sanguinari attentati degli ultimi giorni a Ghazni, Paktia, Kandahar, Kabul, Ghor e altre province, hanno dimostrato mille volte che i sanguinari talebani, questi burattini in mano a forze straniere, faranno di tutto per realizzare i piani dei loro padroni e non ci risparmieranno orrore e oppressione.
Chiamarli “fratelli”, dividerli tra “moderati” ed “estremisti”, invitarli a “colloqui di pace” porterà peggiori conseguenze, quelle che si possono aspettare da elementi disonesti, sporchi e impopolari.

Gli attacchi brutali alle moschee sciite sono il frutto delle politiche diaboliche del Pakistan, dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti, per alimentare le divisioni religiose nel nostro paese e spingerlo ulteriormente verso l’instabilità. Con la solidarietà tra le religioni e tutti i gruppi etnici possiamo colpire i nostri nemici nazionali e fare fallire le loro politiche diaboliche. E fortunatamente la solidarietà del nostro popolo con le vittime di questi tragici eventi, dimostrano la consapevolezza dei nostri compatrioti.

Attivisti e difensori dei diritti umani egiziani seguiti e spiati a Roma

Come associazione aderente alla rete “In Difesa Di – per i diritti  umani e chi li difende” esprimiamo la nostra massima solidarietà agli attivisti egiziani che a Roma sono stati oggetto di sorveglianza e diffamazione da parte di agenti di sicurezza e giornalisti filo-governativi egiziani.  Il nostro Governo e le istituzioni competenti devono chiedere conto al Cairo di quanto accaduto affinchè un simile episodio non si ripeta più e soprattutto per scongiurare ulteriori ritorsioni sulle persone colpite per le quali siamo sinceramente preoccupate.

Il 20 e 21 maggio si è tenuta a Roma una riunione di lavoro organizzata da Euromed Rights, un’autorevole rete euro-mediterranea per i diritti che riunisce 70 organizzazioni di società civile europee, del Maghreb e del Mashrek, impegnata per rafforzare il ruolo della società civile e promuovere i diritti umani nell’ambito della Partnership euro-mediterranea e della Politica europea di vicinato.

Il workshop era dedicato alle opportunità di cooperazione nella regione euro-mediterranea, riguardo la situazione dei diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali nella regione e dunque anche in Egitto.

Erano presenti accademici, ricercatori e rappresentanti di organizzazioni di società civile impegnate sui diritti umani di Italia, Danimarca, Tunisia, Palestina, Germania e Belgio, fra i quali alcune figure autorevoli come Kamel Jendoubi, presidente onorario di EuroMed RightsBahey el-Din Hassan, direttore del Cairo Institute for Human Rights StudiesMarc Schade-Poulsen, direttore esecutivo di EuroMed Rights; l’avvocato Khaled Ali; l’accademico in scienze politiche Amr HamzawyMohamed Zaree, avvocato dei diritti umani e presidente della Arab Organisation for Criminal ReformAhmed Samih, direttore esecutivo dell’Andalus Institute for Tolerance and Anti-Violence StudiesNancy Okail, direttore esecutivo del Tahrir Institute for Middle East Policy; e Moataz El Fegiery, Coordinatore di Front Line Defenders MENA Protection.

La riunione era parte del programma di lavoro interno di Euromed Rights e non era stata dunque pubblicizzata se non fra le persone che vi hanno preso parte.

 

Al suo arrivo a Fiumicino un partecipante ha trovato una persona qualificatasi come giornalista egiziano ad aspettarlo, il quale ha insistito pesantemente per accompagnarlo in albergo. Di fronte al cortese rifiuto oppostogli, il sedicente giornalista è riuscito a interloquire con il tassista, riuscendo forse così ad avere l’indirizzo dell’hotel dove la persona era diretta.

Il sedicente giornalista accompagnato da un fotografo e da un’altra persona hanno poi raggiunto l’albergo dove era in corso la riunione, convincendo con una bugia la reception a mostrare la lista dei partecipanti, stazionando per ore nella lobby e nei bar adiacenti, seguendoli nei loro movimenti dentro e fuori l’albergo, riuscendo così a prendere foto dei partecipanti e introducendosi nella sala della riunione.

Il 22 maggio articoli diffamatori sono apparsi su numerosi quotidiani egiziani, accompagnati dalle foto prese a Roma. Accusano fra l’altro i partecipanti egiziani di aver preso parte a un incontro teso a “pianificare uno stato di caos e di instabilità in Egitto nel prossimo periodo, prima delle elezioni presidenziali“.

Sono menzogne gravi, che in Egitto possono costare la libertà, se non peggio. Amnesty International Italia, ArciArticolo 21 e Un ponte per… sono preoccupate per gli attivisti e i difensori dei diritti umani egiziani, cui esprimono vicinanza e solidarietà, mentre gli attacchi contro di loro proseguono: agenti di sicurezza e giornalisti filo-governativi hanno pesantemente insultato e minacciato su Facebook Nancy Okail (accademica e direttore del Tahir Institute for Middle East Policy) per aver denunciato i fatti di Roma. La mattina del 23 maggio uno dei partecipanti sarebbe stato convocato al Cairo per interrogatori.

È necessario che il governo italiano e tutte le istituzioni competenti intervengano presso le autorità egiziane per chieder loro conto di quanto accaduto in territorio italiano e pretendere che episodi del genere non si ripetano più. L’Italia deve essere un paese sicuro per gli attivisti e i difensori dei diritti umani egiziani.

2007 – Conferenza Stampa contro legge immunità Warlord

il Coordinamento ItaliaRawa e le Donne in Nero di Milano impegnati dal 1999 a fianco di delle donne della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan

il giorno 15 febbraio 2007, dalle ore 11.30 alle ore 13.00

promuovono una

CONFERENZA STAMPA

Interverranno: Donne in nero ItaliaRawa

CGIL internazionale

Amnesty International

presso la Casa Internazionale delle Donne

Via della Lungara, 19 – 00165 Roma

Non c’è pace senza giustizia

No all’impunità per i criminali afghani

In occasione della visita in Italia del Presidente afghano Hamid Karzai con una delegazione femminile e alla vigilia del voto parlamentare sul rifinanziamento della missione ISAF

Il  31  gennaio  2007  la  Camera  bassa  del  Parlamento  afghano  (Wolesi  Jirga)  ha approvato quasi all’unanimità una risoluzione che garantisce l’immunità (e quindi l’impunità) a tutti gli afghani coinvolti negli ultimi 25 anni di conflitti, inclusi il leader dei talebani Mullah Omar, l’ex primo ministro Gulbuddin Hekmatyar, leader del partito fondamentalista  Hezb-e  Islami  (e  citato nel  rapporto  di  Human  Rights  Watch  Blood Stained Hands – Past atrocities in Kabul and Afghnistan’s legacy of impunity http://hrw.org/reports/2005/afghanistan0605/– 2005 – come uno dei maggiori responsabili di crimini di guerra commessi soprattutto negli anni della guerra civile tra il 1992 e il 1996), e molti membri del parlamento e del governo in carica, anch’essi macchiatisi di efferati crimini di guerra.

Nonostante Karzai abbia rigettato la risoluzione, questo tentato colpo di mano del Parlamento impone di porsi alcune domande su quale tipo di processo democratico si sia avviato in Afghanistan.

Il  parlamento  afghano,  legittimato  e  sostenuto  da  tutta  la  comunità  internazionale  e salutato come una grande conquista per la democrazia in quel paese, è composto per il 6% da trafficanti di droga, per il 4% da taleban “moderati”, per il 72% da signori della guerra,  per  il  3%  da  religiosi  conservatori  e  per  il  restante  15%  da  un’opposizione democratica e non compromessa con i signori della guerra fondamentalisti.

Molti afghani, e in particolare gli abitanti di Kabul, pensano che, per gli abusi commessi, questi leader non siano idonei alle posizioni che rivestono. Noi concordiamo con questa tesi. Human Rights Watch ha lavorato in zone di conflitto e post conflitto in quattro continenti per oltre 25 anni. Abbiamo osservato i successi e i fallimenti di numerosi processi per la costruzione della pace e documentato di volta in volta come leader incaricati nel periodo di post conflitto con un passato di abusi […] abbiano continuato a commettere abusi o consentito che l’illegalità continuasse o ritornasse.

Dal rapporto Blood stainded hands di Human Rights Watch – 2005