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Il coraggio dell’attivista afghana Shakiba: “Dobbiamo resistere”

L’articolo è stato pubblicato su MB News il 28/11/2024

Tutta la sua vita è dedicata alla difesa dei diritti delle donne e del suo popolo. Lo fa con determinazione, in Afghanistan e nel mondo. Shakiba è una militante dell’associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Rawa) e sabato scorso ha fatto tappa alla biblioteca civica di Desio, su invito della Casa delle Donne e grazie all’organizzazione di Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane), con la collaborazione di Anpi Desio e Seregno, Staffetta Femminista, Desio Città Aperta e col patrocinio del comune.

Il lavoro clandestino dell’associazione

Il suo intervento, a ridosso della giornata contro la violenza alle donne, è stato molto chiaro e incisivo. Shakiba, che ha studiato in Pakistan e poi è rientrata in Afghanistan, ha raccontato dell’impegno di Rawa per i diritti delle donne e la giustizia sociale. L’associazione continua a portare avanti in clandestinità, anche sotto i talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze e ragazzi, assistenza medica, formazione professionale, informazione  e sostegno alimentare.
“Per noi è molto doloroso il fatto che sia stato restituito il potere ai talebani, a causa delle influenze e del sostegno che hanno ricevuto dall’esterno. Il nostro popolo non dimenticherà mai quanto sono criminali queste persone. Noi attiviste crediamo che non si possa avere giustizia senza consegnare questi criminali alla corte penale internazionale”.

Le donne non possono fare sentire la loro voce

La situazione per la popolazione e in particolare per le donne è sempre più insostenibile. “Le donne non possono più andare a scuola e lavorare negli uffici pubblici. I talebani hanno chiuso le scuole di musica e arte.  Le donne non possono fare sentire la loro voce fuori dalle mura di casa e quando escono devono essere coperte e sempre accompagnate da un uomo”. Tanti i casi di violenza. La povertà dilaga. “Metà della popolazione è sotto la soglia di povertà. Le persone sono arrivate a vendere i propri organi. Alcuni vendono le figlie, per sopravvivere pochi mesi”. L’associazione Rawa distribuisce pacchi di generi alimentari e lo fa sempre in clandestinità. Il lavoro delle attiviste è anche e soprattutto un lavoro politico e di difesa dei diritti. “La causa di tutto questo è  la crescita dello sviluppo del potere delle organizzazioni fondamentaliste e del fascismo religioso nel mio Paese. Lo vediamo anche a Gaza in Libano in Iran ed è molto pericoloso” dice chiaramente Shakiba.

La scelta di rimanere in Afghanistan

“Ora in Afghanistan ci sono 15 mila scuole religiose dove i bambini vengono educati e viene fatto loro un lavaggio del cervello. Questo è molto pericoloso per l’Afghanistan ma anche per chi sta fuori”. La resistenza avviene in modo organizzato nelle case e nei social. “La nostra organizzazione ha deciso di rimanere in Afghanistan e di continuare ad opporsi al regime sostenendo le proprie attiviste nelle diverse modalità di resistenza . Il nostro lavoro avviene in modo clandestino, supportando l’istruzione, per dare un futuro alle giovani generazioni. Nelle nostre classi segrete le ragazze ricevono un’educazione alla salute, si insegnano le materie scientifiche e si riceve una formazione che favorisca la consapevolezza sociale”.

Fare pressione sui governi

“Cerchiamo di portare solidarietà a tutti i popoli che stanno soffrendo per la guerra” continua Shakiba.  Davanti ad una situazione così grave e complessa, cosa possiamo fare noi? “Mettete pressione sui vostri governi perché il regime talebano non sia supportato e non sia normalizzato. Facciamo pressione per bloccare questo processo di normalizzazione del regime talebano”.

Numerosi e partecipati gli incontri della militante di RAWA in Italia

Si è concluso pochi giorni fa il lungo giro in Italia (con una puntata in Svizzera) di conferenze di Shakiba, militante di RAWA.

Una visita che aspettavamo con impazienza quella di Shakiba, anche se per queste compagne ottenere un visto Shengen è sempre più complicato: l’ambasciata italiana più vicina è a Islamabad, in Pakistan; il visto pakistano ha un costo elevato e il viaggio per raggiungere il Pakistan, per una donna, è molto rischioso.

Ma per il CISDA, che lavora a fianco di queste compagne dal 1999, potere incontrare (e anche abbracciare) una testimone diretta della situazione e della resistenza in Afghanistan, dove i talebani stanno cancellando ogni diritto umano per le donne, è imprescindibile. E per queste compagne coraggiose e determinate avere la possibilità di “toccare con mano” la solidarietà che viene loro testimoniata nei numerosi incontri organizzati in varie città è fonte di vita e di speranza.

Due passi avanti e 30 indietro

“Ogni volta che facciamo due passi avanti nella conquista dei nostri diritti veniamo sbattute indietro di 30 passi” ci dice Shakiba al nostro primo incontro. “In Afghanistan resistere comporta il rischio di essere arrestate, torturate e anche uccise; ma non vogliamo abbandonare la nostra gente al suo destino, è nostro dovere restare per continuare a dare una speranza.”

La situazione è sempre più tragica e insostenibile per la popolazione afghana, in particolare per le donne:

  • le donne non possono lavorare, uscire di casa da sole, studiare oltre la sesta classe, mostrare il loro volto in pubblico o far sentire la loro voce; subiscono una delle forme più estreme di apartheid di genere. Molte delle donne che sono scese in piazza per protestare sono state arrestate, incarcerate, torturate e minacciate;
  • il disastro economico è intollerabile: non c’è lavoro e oltre il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. È normale che, date le condizioni di povertà, i maschi siano incentivati ad arruolarsi in qualche milizia per avere uno stipendio e riuscire così a sfamare la famiglia;
  • per avere un futuro moltissimi giovani cercano di scappare dal paese e percorrono le pericolosissime vie migratorie: Iran, Turchia e poi mar Mediterraneo, in mano a scafisti e trafficanti di esseri umani senza scrupoli;
  • nel paese sono state aperte 17.000 madrase, scuole coraniche, che in buona parte hanno sostituito le scuole statali e in cui i giovani studenti vengono indottrinati al fondamentalismo.

Nel frattempo, i talebani hanno ricevuto, solo dagli USA, 40 milioni di dollari ogni settimana e stanno svendendo tutte le ricchezze del paese (minerali rari, pietre preziose ecc.) per mantenere il loro potere.

Gli USA e i loro alleati occidentali in tutti questi anni hanno contribuito alla crescita, grazie a milioni di dollari e di armi, di gruppi di fondamentalisti di ogni tipo. Il risultato è che oggi in Afghanistan, oltre ai talebani, sono presenti ISIS, signori della guerra di diverse etnie, al Qaeda… che opprimono la popolazione afghana (le donne in particolare) da circa 40 anni.

Gli intensi incontri di Shakiba

Dimenticate dai media, dimenticate dai governi, dimenticate dalle organizzazioni internazionali, le donne afghane hanno sempre meno possibilità di far sentire la propria voce, per questo la serie di incontri organizzati da CISDA per la militante di RAWA è doppiamente importante.

Un giro di incontri molto ricco e partecipato: a Bologna RAWA ha ricevuto il Premio internazionale Daniele Po, promosso dalle associazioni Le case degli angeli di Daniele e Strade. Oltre alla cerimonia di premiazione, svoltasi nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio di Bologna, Shakiba ha presenziato a circa 15 incontri pubblici che hanno coinvolto organizzazioni della società civile, ragazzi delle scuole con i loro insegnanti, attivisti e attiviste. Tra questi, molto significativo è stato l’incontro online con le commissioni pari opportunità della città metropolitana di Bologna, di Cento e di Pieve di Cento.

A Belluno è stata accolta dall’associazione Insieme si può, che da anni, insieme a CISDA, sostiene attivamente i progetti di RAWA e organizza eventi e iniziative nel Nord-Est.

A Piacenza le Donne in Nero, da sempre sostenitrici della resistenza delle donne afghane, hanno organizzato un partecipatissimo dibattito pubblico con cena di solidarietà.

A Roma Shakiba ha partecipato, al festival Sabir, all’incontro internazionale Voci di lotta e di resistenza dell’Iran e dell’Afghanistan organizzato da ARCI, e ha incontrato le donne del comitato italiano di Jineoloji (un collettivo di donne che si organizza e lavora con il movimento delle donne curde), le donne dell’ANPI provinciale e un gruppo di parlamentari che l’hanno ricevuta alla Camera dei Deputati. Sempre a Roma Donne di Classe e Sinistra anticapitalista hanno organizzato un evento molto partecipato con cena di sottoscrizione.

A Piadena è stato organizzato un dibattito pubblico nell’ambito del Festival dei diritti umani di Emmaus e un incontro con 80 ragazzi di 4 classi di terza media.

Va sottolineato che in tutti gli incontri con gli studenti e le studentesse delle scuole e delle università Shakiba ha dimostrato una straordinaria empatia e capacità di dialogo, suscitando grande curiosità e partecipazione.

La Casa delle donne di Torino ha organizzato un dibattito con raccolta fondi di solidarietà.

A Lugano Shakiba ha incontrato la professoressa Jolanta Drzewiecka e il professor Villeneuve Jean-Patrick, dell’Institute of Communication and Public Policy (Università della Svizzera italiana), con i quali ha parlato parlare della situazione afghana e delle attività di RAWA a cui è seguito un partecipatissimo incontro con gli studenti dell’università e un’intervista con dei giornalisti del “Corriere del Ticino”.

Infine ha incontrato online la Rete di Coalizione euro-afghana per la Democrazia e la Laicità, per raccontare la difficile situazione delle donne resistenti in Afghanistan e discutere delle possibili azioni di supporto politico che il CISDA e le altre associazioni italiane possono dare loro.

Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Bologna conferimento del Premio internazionale Daniele Po
Scuole Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Teatro di Pieve di Cento
Scuole di Pieve di Cento
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento e S. Giovanni
Scuole di Cento
Comitato italiano di Jineoloji
Scuola di Bologna
Scuole di Ferrara
Ferrara – Giardino Ilaria Alpi
Un omaggio di Zerocalcare a Shakiba

Di seguito alcuni link di articoli e interviste a Shakiba pubblicati sui media italiani

La lotta delle donne afghane per «resistere ai Talebani»

Articolo pubblicato sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Con il ritorno degli studenti coranici il paese è ripiombato nel buio. E alcune associazioni, come Rawa, fanno lezioni di nascosto. Dialogo con Shakiba, attivista afghana per i diritti

C’è un luogo nel mondo in cui l’erosione dei diritti delle donne sembra non avere mai fine. Vengono ridotti all’osso, fino a diventare polvere. Da quando i Talebani hanno ripreso il potere in Afghanistan, anche soltanto essere donna è diventato un crimine.

Alle ragazze è vietato studiare dopo aver compiuto 12 anni, le donne non posso lavorare, soprattutto negli uffici pubblici. I Talebani hanno chiuso le scuole di musica, di arte e di teatro, bruciato gli strumenti musicali. Il cosiddetto ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha recentemente approvato una legge in cui vieta alle donne di cantare e far sentire la propria voce fuori di casa.

Una vita sotto controllo

«Le donne vivono costantemente sotto il controllo di questo governo misogino e fondamentalista, che esercita il potere puntando le armi contro le persone. Dobbiamo uscire di casa coperte dalla testa ai piedi, sempre accompagnate da un uomo. Leggi di questo genere vengono approvate praticamente ogni giorno. Un recente provvedimento impedisce alle televisioni di mostrare figure umane, stanno setacciando anche le librerie per eliminare le immagini».

Shakiba, pseudonimo che usa per nascondere la propria identità e garantire la propria sicurezza, lavora costantemente e in prima persona sul territorio afghano per aiutare il suo popolo, in particolare le donne, a resistere alla condizione in cui si trovano. Fa parte di Rawa, l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, fondata nel 1977 da Meena, assassinata dieci anni dopo.

Le attiviste di Rawa lavorano nell’anonimato per promuovere resistenza silenziosa e denunciare i crimini che avvengono nel loro Paese. «Molte donne vengono molestate, arrestate, torturate, uccise, avvengono sparizioni forzate in tutto il Paese solo per silenziare la loro voce. Pochi mesi fa alcune ragazze sono scomparse e quando sono state rilasciate alcune di loro si sono suicidate», racconta.

La situazione psicologica è drammatica: «È dura per tutti, non solo per le donne. Nel 2021 siamo tutti rimasti traumatizzati da ciò che è accaduto. E oggi viviamo guardando questi uomini armati dappertutto per strada. La situazione economica del paese è talmente precaria che alcune persone vendono gli organi in mercati particolari, ci sono famiglie estremamente povere che stanno vendendo le loro figlie, per tirare avanti solo pochi mesi. Tante persone stanno andando via, scegliendo strade rischiose per arrivare in Europa».

La resistenza

Incontriamo Shakiba a Desio, nel corso di una sua visita in Italia organizzata da Cisda per portare la voce delle donne afghane fuori dai confini, fino a noi. Perché, dice, «le persone e i media si sono dimenticati del popolo afghano, pensano che la situazione si stia sistemando, ma non è così, quindi è importante venire qui e raccontarlo».

Da tempo Shakiba prosegue la sua lotta al fianco delle sue compagne. Le loro armi? Educazione, solidarietà, informazione. Concetti che a noi suonano comuni, quasi scontati, ma che a Kabul rappresentano un rischio enorme, ogni giorno.

«Organizziamo attività educative, per aiutare le persone a difendere i propri diritti e decidere per sé stesse. Facciamo lezioni in casa per le ragazze, su tutte le materie, anche scienze, e lavoriamo per accrescere la consapevolezza sociale. Cerchiamo di mantenerle attive ma anche attente. Abbiamo anche una squadra mobile per portare aiuti sanitari ai villaggi più remoti colpiti da alluvioni o terremoti, curiamo soprattutto le donne, ma non solo, e distribuiamo pacchi alimentari alle persone che ne hanno bisogno in tutto l’Afghanistan. È fondamentale anche condurre azioni politiche, che tuttavia non possiamo mettere in atto in spazi pubblici. Noi e tutti gli altri che si oppongono al regime usiamo molto i social media. Cerchiamo di mantenere anche la celebrazione di anniversari importanti come l’8 marzo o la data di uccisione della nostra fondatrice, anche se tutte queste cerimonie devono essere organizzate clandestinamente. Ma soprattutto documentiamo tutti i crimini contro i diritti umani avvenuti in Afghanistan dall’occupazione sovietica fino a oggi. Il nostro obiettivo è portare un giorno questi criminali davanti ai tribunali internazionali».

Rawa è stata la prima organizzazione a mostrare al mondo i crimini dei signori della guerra, filmandoli con micro camere nascoste sotto al burqa. «È rischioso, ma se vuoi vivere in un paese libero e democratico non c’è altra scelta. Se lasciassi il Paese migliorerei solo la mia vita. Restando, posso contribuire a migliorare quella di tutti».

I Talebani temono l’istruzione

Uno dei punti chiave del cambiamento è l’istruzione. La stessa che, racconta, fa così paura al governo talebano. «Sono le donne a restare la maggior parte della giornata a casa a occuparsi dei bambini. E quindi se le donne sono educate possono educare anche i loro figli, la famiglia e quindi la società intera. Per questo le schiacciano, violano il loro diritto all’istruzione perché restino ignoranti.

Sanno che se le donne si uniscono e alzano la voce possono creare cambiamento. E per questo con le nostre lezioni a casa noi pratichiamo una forma di resistenza. Loro ci impediscono di studiare, noi resistiamo imparando comunque. Ci sono tante donne che stanno combattendo per i loro diritti, con il rischio di essere arrestate o peggio. Resistono attraverso le loro case, i social media, condividendo arte, poesie, anche questo è un modo di essere attiviste».

E gli uomini? «Molti uomini sono solidali con noi, ma non possono mostrarlo in pubblico, perché verrebbero uccisi immediatamente».

Le donne di Rawa continuano a lottare, per la loro libertà e quella di tutti gli altri. Sono vicine alle persone di Gaza, dell’Iran, a tutti i popoli che stanno soffrendo nel mondo.

«Vogliamo la libertà e fare azioni di resistenza insieme, possiamo fermare tutto questo, ma possiamo farlo solo attraverso la solidarietà. A tutti voi chiediamo di fare pressione affinché i vostri governi non normalizzino il governo talebano, è un governo fondamentalista che non deve essere legittimato, perché questo non aiuterà la popolazione e le donne dell’Afghanistan. Non dimenticateci».

L’articolo è uscito sulla rivista Domani sia nella versione online sia in quella cartacea.

Sara Del Dot è giornalista professionista, video reporter e autrice di documentari. Si occupa di diritti umani, fragilità sociali, salute, ambiente.

Corpi di donne in pace e in guerra

Sulla linea del fronte stanno i corpi delle donne, dove cadono le bombe, dove esplode la rabbia. Sui confini dell’orrore, nella guerra aperta, o in quella segreta delle case, nelle trappole della mente. Lì stanno. Sui cigli minati, sugli infidi confini dell’amore, tra frustrazione e fuoco. Lì stanno.

In Afghanistan, i loro corpi sono cancellati, umiliati, uccisi. Dice Marral, militante afghana, ‘Le donne sono le radici della famiglia, della tribù, del paese, e stroncarle serve a disarticolare la società intera e ad abbattere il nemico.’

La prigione delle donne afghane si arricchisce giorno dopo giorno di nuove sbarre. Gli spazi si restringono. Il controllo è ossessione.  Vietato vivere. Questo è l’ordine talebano.

Le donne non possono lavorare, studiare, viaggiare da sole, devono nascondersi sotto cenci neri, non possono decidere nulla della propria vita, non possono far sentire la loro voce, cantare, declamare versi, ridere. Parchi e i siti archeologici sono chiusi alle donne, come parrucchieri, bagni pubblici, ristoranti. La violenza domestica non ha più argini. I talebani comprano ai padri le loro figlie ragazzine per i loro miliziani ed è una proposta che non si può rifiutare. Se protesti, se ti opponi, se sbagli abbigliamento, c’è il carcere. Lì la violenza è oscura e segreta. Spesso non ne esci o, se ne esci, sei segnata per la vita.

‘Se potessero ci ruberebbero l’aria dai polmoni.’ Dice Sabira. ‘Secondo loro, dovrei stare a casa a guardare i miei figli morire di fame.’ Racconta Narghez, vedova, che cerca di vendere ‘bolani’ (pasta fritta ripiena) nelle strade della città, sempre pronta a scappare dalle botte dei talebani.

I talebani temono le donne, sono atterriti dai loro corpi. Sono cresciuti senza madri, senza sorelle, difesi dai fucili, la mente colonizzata dai mullah delle madrase. Si accaniscono, non vogliono vedere quello che non riescono a sopportare: la gioia trionfante di un corpo di donna.

Un gruppo terrorista violento e fanatico governa su un popolo intero annullando metà della sua popolazione, reiterando ogni giorno crimini contro l’umanità. ‘ Ogni volta la storia decisa da altri ci ributta indietro. Adesso siamo di nuovo all’età della pietra.’ Dice Narghez, militante di Rawa (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane). La cosiddetta Comunità Internazionale non si scandalizza più di tanto, condanna debolmente e fa prosperare i suoi affari. Nessuno si vergogna. Nessuno ha interesse a togliere di mezzo i talebani. A loro è stato ceduto il governo del paese negli accordi di Doha del 2020. Così hanno deciso gli Usa e i loro alleati che continuano a sostenere e finanziare il governo talebano.  Consegnando le donne al loro inferno.

Ma le donne non si arrendono. Molte continuano a combattere per i propri diritti. Da sole, insieme, condividendo il loro sapere, o in gruppi organizzati come Rawa. Donne armate solo del loro coraggio. Creano scuole clandestine, soccorso sanitario, case rifugio contro la violenza, sostegno alimentare. Coltivano i loro spazi segreti. Tengono accesa la luce nel buio pesto del futuro. Loro ci sono, con i loro corpi di pace.

 

Parte dell’articolo è uscita sulla rivista della Federazione donne evangeliche in Italia

 

 

Cronologia Afghanistan

A partire dagli eventi più recenti, questa cronologia ripercorre la storia dell’Afghanistan fino agli anni delle guerre di indipendenza.

2024

  • 4 gennaio: un portavoce del Ministero del Vizio e della Virtù dei Talebani annuncia l’arresto di un numero imprecisato di donne per aver indossato l’hijab in modo non corretto.
  • 6 gennaio: l’Isis-K ha rivendicato la responsabilità dell’esplosione di un minibus avvenuta nel quartiere occidentale di Dasht-e-Barchi a Kabul, in cui sono morte almeno due persone.
  • 18 febbraio – 19 febbraio: si è tenuta la II Conferenza di Doha sull’Afghanistan, organizzata dall’ONU. Il primo giorno si è svolto l’incontro di inviati speciali e gruppi provenienti dall’Afghanistan, tra cui rappresentanti delle donne e della società civile. I talebani sono stati invitati all’incontro ma hanno rifiutato di partecipare, adducendo condizioni non soddisfatte. Hanno partecipato all’incontro rappresentanti speciali di almeno 25 paesi. Quattro membri, tra cui Shah Gul Rezaee, Mahbouba Seraj, Mitra Mehran e Lotfullah Najafizada, rappresentano la società civile afghana. Antonio Guterres ha annunciato l’intenzione di avviare le consultazioni per la nomina di un inviato delle Nazioni Unite per facilitare le interazioni tra i talebani e la comunità internazionale. Il Segretario Generale dell’ONU ha espresso la speranza che i funzionari talebani partecipino a futuri incontri di questa natura.
  • 19 febbraio: una frana nella provincia del Nuristan seppellisce il villaggio di Nakre nella valle del Tatin e provoca la morte di almeno 25 persone.
  • 20 febbraio – 13 marzo: almeno 60 persone vengono uccise e altre 23 ferite a causa di inondazioni e condizioni meteorologiche avverse che coinvolgono neve e pioggia a livello nazionale.
  • 22 febbraio: le autorità talebane hanno eseguito due condanne a morte pubbliche. Le esecuzioni hanno avuto luogo nello stadio di Ghazni, nel sudest dell’Afghanistan, nei confronti di due uomini responsabili di due accoltellamenti mortali: di fronte a migliaia di spettatori, sono stati uccisi dai parenti delle vittime a colpi d’arma da fuoco.
  • 2 marzo: il Fronte per la Libertà ha affermato che i suoi membri hanno attaccato un avamposto talebano nella zona di Tahia-e Maskan, a nord di Kabul, sostenendo che nell’attacco sono stati uccisi alcuni membri talebani e che altri due sono rimasti feriti. In una precedente dichiarazione, il Fronte di Resistenza aveva affermato di aver ucciso un membro dei talebani e di averne feriti altri tre in un attacco avvenuto il giorno prima nel distretto di Farkhar, nella provincia nordorientale di Takhar.
  • 18 marzo: cinque donne e tre bambini vengono uccisi durante due attacchi aerei pakistani nelle province di Khost e Paktika in seguito alle accuse secondo cui dall’Afghanistan sarebbero partiti attacchi contro il Pakistan. In risposta, i talebani aprono il fuoco sulle truppe pakistane al confine.
  • 21 marzo: un attentato suicida, rivendicato dall’Isis-K, all’interno di una banca a Kandahar uccide 27 persone e ne ferisce oltre 50.
  • 23 marzo: Hibatullah Akhundzada, “leader supremo” dei talebani, ha annunciato alla radio afghana la reintroduzione della lapidazione, anche in pubblico, per le donne accusate di adulterio.
  • 12-14 aprile: almeno 33 persone vengono uccise e altre 27 ferite in inondazioni improvvise causate da forti piogge in 20 province.
  • 17 aprile – I Talebani ordinano la sospensione dei canali televisivi Noor TV e Barya TV con l’accusa di non aver “considerato i valori nazionali e islamici”.
  • 20 aprile: una persona viene uccisa e altre tre rimangono ferite in un attentato, con una bomba piazzata sotto un minibus, in un quartiere a maggioranza Hazara di Kabul. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 29 aprile: sei persone vengono uccise dopo che un uomo armato ha aperto il fuoco all’interno di una moschea sciita nel distretto di Guzara, nella provincia di Herat.
  • 3 maggio: forti proteste dei residenti del villaggio di Qarloq nel distretto di Darayim; Alcuni manifestanti hanno chiesto la “cacciata” dei talebani dalle loro zone. Almeno una persona è stata uccisa e diverse altre sono rimaste ferite quando i talebani hanno aperto il fuoco sui residenti. La portata di queste proteste si è estesa al distretto di Argo, nel Badakhshan, dove il giorno successivo decine di persone si sono radunate per protestare contro i talebani, scandendo slogan anti-talebani.
  • 7 maggio: un rapporto dell’United States Institute of Peace (USIP) rivela una minaccia crescente da parte dell’ISIS-K con capacità più ampie rispetto a prima del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Il Senior Study Group on Counterterrorism in Afghanistan and Pakistan ha valutato che l’ISIS-K ora “rappresenta una minaccia crescente con una portata che va oltre la regione immediata, maggiore rispetto al periodo precedente al ritiro”. Il rapporto mette in guardia dalle implicazioni regionali più ampie delle attività terroristiche incontrollate in Afghanistan, in particolare per quanto riguarda l’India.
  • 8 maggio: una motobomba uccide tre membri del personale di sicurezza talebani a Faizabad, nella provincia di Badakhshan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 9 maggio: nella provincia di Nangarhar, durante la manifestazione dei residenti contro la demolizione delle loro case, tre civili sono stati uccisi e altri cinque sono rimasti feriti quando i talebani hanno sparato per disperdere i dimostranti. L’incidente è avvenuto mentre i residenti stavano manifestando. Durante le proteste, alcuni residenti di Nangarhar hanno bloccato per due ore l’autostrada Jalalabad-Torkham per protesta.
  • 10 maggio – 25 maggio: 21 distretti nel Nord-Est dell’Afghanistan vengono colpiti da devastanti alluvioni. Save the Children fa sapere che, nella sola provincia di Baghlan, la più colpita, 40mila bambini sono rimasti senza casa. Il bilancio dei morti è di oltre 300 persone, secondo le stime del Programma alimentare mondiale (Wfp) delle Nazioni unite, tra cui si contano almeno 51 bambini, ha aggiunto l’Unicef. 80mila circa le persone colpite; ponti, strade, scuole e ospedali sono crollati; i servizi sanitari sono stati sospesi in almeno 11 cliniche delle province di Baghlan e Takhar. Dilagano gravi malattie come polmoniti e diarrea tra i bambini, a causa dell’assenza di acqua potabile. Un disastro aggravato da decenni di guerra e dall’incapacità del governo talebano di far fronte alle emergenze climatiche. Le vittime delle inondazioni a Baghlan hanno criticato i talebani per aver trascurato la loro situazione e non aver risposto adeguatamente alle loro esigenze. I residenti hanno riferito che gli sforzi di salvataggio dei talebani sono stati insufficienti, lasciando soli gli abitanti del villaggio nelle operazioni di salvataggio di che erano rimasti intrappolati dalle inondazioni.
  • 17 maggio: sei persone, tra cui tre cittadini spagnoli, vengono uccise e altre sette rimangono ferite in un attacco a fuoco a Bamiyan. L’attentato è rivendicato da Isis-K.
  • 21 maggio: la Turkish Airlines riprende i voli per l’Afghanistan per la prima volta dalla presa del potere dei talebani nel 2021.
  • 3 giugno: il Kazakhistan ha rimosso i talebani dalla lista delle organizzaizoni terroristiche.
  • 4 giugno: un gruppo di manifestanti afghane ha pubblicato una risoluzione di dieci articoli che chiede il boicottaggio della partecipazione dei talebani al prossimo incontro di Doha e la fine dell’impegno globale con i talebani. Rivolgendosi alle Nazioni Unite, hanno sottolineato la necessità di includere nella riunione “figure non talebane” e rappresentanti di “fronti anti-talebani”. In rappresentanza dell’“Afghan Women’s Political Participation Network”, le donne hanno affermato che la nomina del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan dovrebbe “essere in linea con gli standard e le richieste del popolo afghano, in particolare delle donne”. Durante l’incontro di Doha hanno sollecitato il riconoscimento dell’“apartheid di genere” in Afghanistan e hanno chiesto la difesa dei diritti delle donne nel Paese.
  • 14 giugno: i talebani hanno frustato quasi 150 persone, tra cui 14 donne, in varie province negli ultimi 44 giorni, secondo i dati raccolti da Amu TV. La provincia di Sar-e Pul ha registrato il numero più alto di incidenti, seguita da Kandahar, Paktika, Ghazni, Nimroz, Ghor, Kunduz, Badakhshan, Khost, Bamyan, Kabul, Paktia, Parwan, Kapisa, Panjshir e Jawzjan. Le critiche pubbliche alle misure repressive dei talebani stanno crescendo. Molti afghani vedono queste punizioni come una continuazione della brutalità storica dei talebani. “I talebani di oggi non sono diversi dai talebani del passato. Erano soliti frustare le persone allora, e stanno facendo lo stesso ora. Il mondo non dovrebbe rimanere in silenzio nei confronti dei talebani”, ha affermato un residente di Kabul.
  • 30 giugno – 1 luglio: si tiene la III Conferenza di Doha, organizzata dall’Onu per normalizzare i rapporti con il governo de facto dell’Afghanistan e riaprire ufficialmente le relazioni economiche e politiche con le economie occidentali, che in realtà non si erano mai interrotte per alcuni paesi come Cina, India, Asia centrale, Russia, Iran. La novità è stata la partecipazione diretta dei talebani, che nelle due precedenti Conferenze di Doha non avevano accettato di partecipare, grazie all’accoglimento delle loro condizioni, finora sempre escluse, che hanno imposto di invitare solo loro come rappresentanti del popolo afghano (escludendo le donne e le organizzazioni per i diritti umani) e di non affrontare il problema dell’oppressione e dell’esclusione sistematica delle donne dall’istruzione e dalla società. Per approfondire leggi Doha 3: la “prima volta” dei talebani.
  • 8 luglio: almeno 217 persone, tra cui 180 membri dei talebani, sono state uccise e altre 212 sono rimaste ferite in attentati nel paese negli ultimi tre mesi, secondo un rapporto di Afghanistan Security Watch. Il rapporto dell’organismo di controllo ha elencato dettagliatamente 94 attacchi alla sicurezza registrati in 18 province durante questo periodo; Kabul ha registrato il numero più alto di incidenti, 47, seguita da Herat con 11, Baghlan con nove e Takhar con cinque; il Fronte della Resistenza ha rivendicato 57 attacchi, il Fronte della Libertà 19 e il gruppo Isis-K 6, mentre nove attacchi sono stati attribuiti a entità ignote. Il rapporto aggiunge che molti di questi attacchi hanno preso di mira le forze talebane, provocando la morte di 180 membri talebani e il ferimento di altri 168.
  • 10 luglio:
    • il Pakistan ha annunciato una proroga di un anno per i rifugiati afghani registrati, attenuando i timori di un rimpatrio immediato in Afghanistan. Il governo pakistano aveva già annunciato nell’ottobre dell’anno scorso il rimpatrio di tutti i migranti irregolari, adducendo motivi di sicurezza. Il rimpatrio degli afghani senza documenti è iniziato il 1° novembre, con i funzionari che ora segnalano che fino a 500.000 sono stati rimpatriati. Inizialmente, le autorità hanno dichiarato che c’erano circa 1,7 milioni di afghani senza documenti, la maggior parte dei quali risiedeva in Pakistan da 40 anni. “Il gabinetto federale ha approvato un’estensione di un anno della validità delle carte PoR (Proof of Registration) per 1,45 milioni di rifugiati afghani. Le loro carte PoR erano scadute il 30 giugno 2024. L’estensione è stata concessa fino al 30 giugno 2025”, ha affermato una dichiarazione dell’ufficio del Primo Ministro. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, in Pakistan vivono ancora circa 1,3 milioni di afghani registrati.
    • i talebani hanno frustato due individui con l’accusa di “falsificazione di documenti” nella provincia meridionale di Kandahar. Nelle ultime due settimane, i talebani hanno pubblicamente frustato almeno 38 persone in diverse province. Da quando hanno preso il potere in Afghanistan, i talebani hanno applicato punizioni corporali a centinaia di persone, comprese le esecuzioni.
  • 15 luglio – Almeno 40 persone muoiono a causa di una tempesta nella provincia di Nangarhar.
  • 30 luglio – I talebani sospendono le relazioni con 14 missioni diplomatiche afghane all’estero e annunciano che non accetteranno più documenti consolari emessi da queste missioni.
  • 5 agosto – I talebani consentono agli stranieri all’interno del paese con visti emessi dal precedente governo di rimanere, mentre coloro che hanno visti ma si trovano fuori dall’Afghanistan non potranno entrare senza documenti emessi da una missione diplomatica approvata dai talebani.
  • 11 agosto – Almeno una persona viene uccisa e altre undici rimangono ferite in un’esplosione di IED a Dasht-e-Barchi, Kabul, rivendicata dallo Stato Islamico.
  • 13 agosto – Tre civili afghani vengono uccisi durante scontri tra i talebani e le forze pakistane al valico di frontiera di Torkham.
  • 17 agosto – Il primo ministro uzbeko Abdulla Aripov diventa il più alto funzionario straniero a visitare l’Afghanistan dall’ascesa al potere dei talebani nel 2021.
  • 20 agosto
    • I talebani vietano l’ingresso nel paese al relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett, accusandolo di diffondere “propaganda”.
    • Il ministero per la virtù dei talebani licenzia 281 membri delle forze di sicurezza per non aver fatto crescere la barba e annuncia di aver distrutto 21.328 strumenti musicali nell’ultimo anno, impedendo anche a migliaia di operatori informatici di vendere film “immorali e non etici” nei mercati.
  • 21 agosto – I talebani emanano nuove leggi sulla moralità e la virtù, limitando gravemente i diritti delle donne.
  • 29 agosto – I talebani vietano le arti marziali miste, dichiarando che sono troppo violente e presentano un rischio di morte, oltre a essere incompatibili con la legge islamica.
  • 2 settembre – Sei persone vengono uccise e altre 13 ferite in un attentato suicida nel quartiere di Qala Bakhtiar a Kabul. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco il giorno seguente.
  • 12 settembre – Quindici hazara vengono uccisi e altri sei feriti in un attacco armato nella provincia di Daykundi. Lo Stato Islamico rivendica l’attacco.
  • 16 settembre – Le Nazioni Unite annunciano la sospensione del programma di vaccinazione contro la poliomielite nel paese a causa dei talebani.
  • 17 settembre – I talebani annunciano la riapertura dell’ambasciata afghana a Mascate, in Oman.
  • 22 settembre – L’Iran convoca il capo ad interim dell’ambasciata afghana dopo aver affermato che un funzionario afghano in visita non ha mostrato rispetto per l’inno nazionale del paese rimanendo seduto durante la sua esecuzione, pochi giorni dopo un episodio simile avvenuto in Pakistan. Il delegato afghano si scusa, sostenendo che ciò è avvenuto perché la performance pubblica di musica è vietata dai talebani.
  • 27 settembre – L’ambasciata afghana a Londra chiude in seguito a una “richiesta ufficiale” dell’Ufficio per gli Affari Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo del Regno Unito, secondo l’ambasciatore Zalmai Rassoul. Tuttavia, il FCO afferma che la decisione di chiudere l’ambasciata è stata presa dallo “Stato dell’Afghanistan”.
  • 23 ottobre – Undici persone rimangono ferite in un’esplosione in un mercato nel quartiere del Cinema Pamir a Kabul.
  • 24 ottobre – La provincia di Helmand impone un divieto sulla trasmissione, ripresa e creazione di immagini di esseri viventi.

2023

  • 1° gennaio: un attentato all’aeroporto di Kabul provoca un numero imprecisato di vittime
  • 11 gennaio: un attentatore suicida dell’ISIS-K uccide almeno 20 persone a Kabul.
  • 9 marzo: tre persone, tra cui Mohammad Dawood Muzamil, il governatore nominato dai talebani della provincia di Balkh, vengono uccise da un’esplosione nel suo ufficio.
  • 27 marzo: sei persone vengono uccise e molte altre ferite quando un attentatore suicida si fa esplodere nei pressi della sede del Ministero degli Affari Esteri a Kabul.
  • 4 aprile: i talebani vietano alle donne afghane di lavorare per le Nazioni Unite e i relativi fondi, programmi e agenzie.
  • 29 aprile: nonostante l’evidente pericolo e sfidando le forze di sicurezza talebane, a Kabul si svolge una manifestazione spontanea di un gruppo di donne che chiedono alla comunità internazionale di non riconoscere il governo dei talebani. L’iniziativa arriva in vista dell’incontro internazionale sull’Afghanistan convocato dalle Nazioni Unite a Doha.
  • 4 maggio: si chiude la conferenza ONU a Doha preceduta dalle forti polemiche scatenate dalle precedenti dichiarazioni della vice-segretaria, Amina Mohammed, che aveva accennato alla necessità di fare «piccoli passi» per un dialogo politico con i Talebani. Antonio Guterres ha riportato le conclusioni: nessun riconoscimento dell’Emirato, denuncia delle politiche discriminatorie, ma “non possiamo disimpegnarci”. Quindi l’ONU continuerà a lavorare in Afghanistan anche se il Consiglio di sicurezza è spaccato sullo stesso mandato di Unama, la missione Onu a Kabul (il cui termine è attualmente fissato al 17 marzo 2024), come sono divise tra loro le diverse agenzie ONU dopo che i talebani, ad aprile, hanno vietato alle donne afghane di lavorare per loro.
  • 8 giugno: muoiono 15 persone e sono oltre 50 i feriti in un attentato in una moschea di Faizabad, nel nord dell’Afghanistan, durante la celebrazione dei funerali del vicegovernatore della provincia di Badakhshan, il talebano Mawlawi Nisar Ahmad Ahmadi, ucciso in un attentato il 6 giugno.
  • 7 ottobre – Il Pakistan annuncia che, entro il 31 ottobre 2023, tutti gli stranieri irregolari, privi di documenti certificati dalle autorità dovranno lasciare il paese. Anche se l’annuncio riguarda tutti i cittadini stranieri, la misura colpisce principalmente gli afghani, circa 1 milione e 700mila rifugiati che, spesso, vivono in Pakistan da decenni o vi sono addirittura nati. Un numero alimentati anche dagli oltre 700mila che sarebbero arrivati nel paese dopo il ritorno al potere dei talebani.
  • 7 e 15 ottobre: tre forti terremoti di magnitudo 6.8 hanno squassato l’Afghanistan. L’epicentro è stato localizzato a 30 km a nord-est del distretto di Zinda Jan, nella provincia di Herat che conta poco meno di due milioni di abitanti. Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dello scorso dicembre, i terremoti hanno impattato circa 275.000 persone, in distretti dove il 23% della popolazione è composto da bambini di età inferiore ai 5 anni; anche se avere dati affidabili non è facile, il sisma dovrebbe avere provocato la morte di circa 1.500 afghani e il ferimento di oltre 2.100. Gravissimo l’impatto sulle infrastrutture con centinaia di abitazioni distrutte, danni a una rete idrica già fortemente compromessa e a circa 40 strutture sanitarie.
  • 29 dicembre: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato quasi all’unanimità una delibera che darà l’avvio a un nuovo corso nei rapporti del mondo con l’Afghanistan dei Talebani il cui obiettivo è “un Afghanistan in pace con se stesso e con i suoi vicini, pienamente reintegrato nella comunità internazionale e che onori i suoi obblighi internazionali”. Un provvedimento che cambia la strategia finora adottata dall’ONU e confermata nella Conferenza di Doha dello scorso maggio che stabiliva di non trattare direttamente con i Talebani finché non avessero riconosciuto i diritti alle donne.

2022

  • Marzo: è definitivamente vietato l’accesso alle donne alla scuola secondaria.
  • 7 maggio: alle donne viene ordinato di coprirsi integralmente, visi compresi, in pubblico, e, in genere, di starsene a casa. È inoltre loro vietato di compiere viaggi interurbani senza essere accompagnate da un uomo.
  • Novembre: alle donne è vietato l’ingresso in parchi, luna park, palestre e bagni pubblici.
  • 7 dicembre: riprendono esecuzioni e fustigazioni pubbliche.
  • 20 dicembre: alle donne è vietato l’accesso all’università.
  • 24 dicembre: è vietato alle ONG di impiegare personale femminile.

2021

  • 1° maggio: ha inizio l’offensiva dei talebani che li porta a controllare, nei giro di 3 mesi, 223 distretti contro i 73 pre-offensiva.
  • 2 luglio: Germania e Italia ritirano le loro truppe. Le truppe USA lasciano l’aeroporto di Bagram, consegnandolo alle forze armate afghane.
  • 6 agosto: i talebani lanciano l’assalto alle principali città dove le forze dell’esercito afghano si arrendono senza combattere.
  • 13 agosto: i talebani prendono Herat, Kandahar e Lashkargah.
  • 15 agosto: Ashraf Ghani fugge dal Paese e Kabul viene conquistata dai talebani.
  • 6 settembre: viene conquistata la provincia del Panjshir; i talebani dichiarano il controllo territoriale su tutto il Paese e reinstaurano l’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
  • 12 settembre: i talebani annunciano che le donne possono frequentare le università solo utilizzando ingressi e aule separate; gli studenti e le studentesse possono avere insegnanti solo del proprio sesso o uomini anziani.

2020

  • 18 febbraio: a distanza di quasi 6 mesi dalle elezioni, Ashraf Ghani viene formalmente dichiarato vincitore e quindi presidente; Abdullah Abdullah contesta i risultati e annuncia la formazione di un proprio governo.
  • 29 febbraio: viene siglato l’Accordo di Doha tra USA e talebani che chiude formalmente il conflitto armato e prevede il totale ritiro dal paese delle forze NATO entro il 31 agosto 2021; parti degli accordi vengono secretate. Contestualmente viene siglato a Kabul un accordo diplomatico con il governo che serve solo a rassicurare Ghani.
  • 12 settembre: i talebani incominciano a negoziare a Doha con i rappresentanti del fronte “repubblicano” di Kabul che comprende un’ampia schiera di attori politici, legati ai precedenti governi e a varie fazioni fondamentaliste.

2019

  • Febbraio: a Mosca incontro infra-afgano tra i talebani e altre figure afgane, fra cui Karzai, ma non membri del governo di Ghani. Proseguono i colloqui tra americani e talebani.
  • UNAMA: il numero di morti e feriti civili nel primo trimestre del 2019 è paragonabile a quello dell’anno precedente, ma per la prima volta dal 2009 le morti civili attribuite a governo afghano, USA e forze internazionali hanno superato quelle attribuite ai talebani e all’ISIS-K.
  • 28 settembre: dopo innumerevoli rinvii, si tengono le elezioni presidenziali.

2014

  • Aprile e giugno: elezioni presidenziali. Il risultato viene contestato con l’accusa di brogli e a settembre una commissione elettorale indipendente dichiara nuovo presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani Ahmadzai. Sotto le pressioni internazionali, viene sancito un travagliato accordo per un governo di unità nazionale, nel quale lo sconfitto al ballottaggio, Abdullah Abdullah, è nominato primo ministro.

2015

  • L’Institute for the Study of War documenta la presenza dell’ISIS nel Paese, in particolare nelle zone al confine con il Pakistan.
  • UNAMA: 3.545 morti e 7.457 feriti civili causati da scontri e bombe nel conflitto tra signori della guerra, talebani, esercito e polizia afghani e forze NATO.
  • La FAO dichiara che il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno.

2016

  • Continuano gli attentati dei talebani e dell’ISIS e gli scontri diretti tra forze USA/forze armate afghane e talebani/ISIS.
  • 22 settembre: dopo un negoziato di due anni sotto l’egida del “Comitato quadrilaterale”, Afghanistan-Pakistan-Cina-USA, il governo afghano firma accordi di pace con il movimento armato Hezb-e-Islami di Hekmatyar, responsabile di crimini contro l’umanità.

2017

  • Il paese è sempre più instabile con quotidiani attentati e scontri armati.

2018

  • Luglio: ufficiali americani iniziano colloqui segreti con i talebani presso il loro ufficio politico di Doha.
  • UNAMA: morti e feriti civili sono aumentati rispettivamente del 5% e del 11% rispetto al 2017.
  • Transparency International: l’Afghanistan è al 172 posto (su 180) dei paesi più corrotti al mondo.

2010

  • 16 marzo: viene varata una legge che prevede l’amnistia per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti dell’uomo compiuti prima del 2001.
  • 18 settembre: terze elezioni parlamentari. Ottengono la maggioranza dei seggi tre partiti fondamentalisti che erano stati protagonisti della guerra fazionale 1992-1996, guidati rispettivamente dai signori della guerra Rabbani, Mohaqiq e Dostum.

2009

  • I talebani controllano tre quarti del paese e sono ormai alle porte di Kabul. Si moltiplicano gli attentati, in cui perdono la vita soprattutto civili innocenti. Viene convertito in legge un decreto che legalizza la discriminazione contro le donne sciite.
  • 20 agosto: si tengono le seconde elezioni presidenziali. Dopo alterne vicende e accuse di brogli, la presidenza viene confermata a Hamid Karzai.

2007

  • La NATO estende di altri 12 mesi il mandato ISAF. Continuano le violenze, il Paese non vede segnali tangibili di ricostruzione. Il Parlamento emana la Legge sulla riconciliazione nazionale, l’amnistia generale e la stabilità nazionale, che garantisce la completa impunità ai responsabili di atroci crimini.
  • 21 maggio: Malalai Joya viene illegalmente sospesa dalla carica di deputata.

2005

  • 18 settembre: si tengono le prime elezioni parlamentari. Viene eletto un Parlamento formato per la maggior parte dai leader di fazioni fondamentaliste responsabili di crimini di guerra. L’attivista Malalai Joya viene eletta con migliaia di voti.
  • Si intensificano gli atti della resistenza talebana. La NATO espande la presenza dell’ISAF nell’ovest del Paese.

2004

  • 25 gennaio: il presidente Karzai promulga il testo della nuova Costituzione, che sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna “davanti alla legge” (art. 22). Il testo costituzionale afferma però che “nessuna legge potrà essere contraria ai princìpi e ai precetti della sacra religione dell’Islam in Afghanistan” (art. 3).
  • 9 ottobre: si tengono le prime elezioni presidenziali che confermano Karzai alla guida del paese.
  • Il paese è leader mondiale nella produzione di oppio.
  • Viene fondato il Partito afgano della solidarietà, Hambastagi, di ispirazione laica e democratica, che apertamente denuncia la corruzione e i crimini dei principali esponenti del governo e della politica afghana.

2003

  • Kabul è ancora sotto il controllo del governo solo grazie alla presenza di un contingente militare internazionale (ISAF), ma il resto del Paese è già attraversato da lotte di potere e attentati.
  • 17 dicembre: Malalai Joya, giovane operatrice sociale della provincia di Farah, prende la parola alla Loya Jirga, denunciando la presenza di signori della guerra responsabili della distruzione del Paese.

2002

  • 8 marzo: prima celebrazione della Giornata internazionale della donna a Kabul.
  • Giugno: la Loya Jirga, assemblea generale dei capi tribù, indetta dopo gli accordi di Bonn, elegge Hamid Karzai alla guida del governo di transizione formato dai signori della guerra che hanno devastato il paese negli anni della guerra civile.

2001

  • Marzo: a Bamiyan i talebani fanno saltare le grandi statue di Buddha.
  • 9 settembre: Ahmad Shah Massud, capo dell’Alleanza del Nord, viene assassinato in un attentato di al Qaeda.
  • 11 settembre: al Qaeda dirotta quattro aerei negli USA, distruggendo il World Trade Center a New York e colpendo il Pentagono.
  • 7 ottobre: gli USA si pongono alla guida di un’ampia coalizione e lanciano un attacco contro i talebani, appoggiando le forze dei fondamentalisti dell’Alleanza del Nord. I talebani vengono cacciati da Kabul in poche settimane.
  • 5 dicembre: nella Conferenza di Bonn, quattro delegazioni afghane siglano, sotto l’egida dell’ONU, un accordo per la ricostruzione di uno Stato rappresentativo. Hamid Karzai viene nominato presidente ad interim dell’Afghanistan.

1996

  • I talebani conquistano Kabul e instaurano un regime oscurantista, basato sulla sharia, che nega ogni diritto alle donne. Osama bin Laden organizza campi di al Qaeda in Afghanistan.

1995

  • I talebani conquistano Herat e Kandahar.

1994

  • La guerra civile riduce Kabul in rovine. In Pakistan si formano i primi gruppi di talebani.

1993

  • La guerra civile tra i signori della guerra Burhanuddin Rabbani, Abdul Rashid Dostum e Gulbuddin Hekmatyar provoca decine di migliaia di vittime.

1992

  • Aprile: i mujaheddin prendono Kabul e spodestano Najibullah.

1989

  • Febbraio: le truppe sovietiche si ritirano dall’Afghanistan, lasciando al potere il regime fantoccio di Najibullah contro il quale i mujaheddin continuano a combattere.

1987

  • I mujaheddin ottengono importanti vittorie.

1982

  • Osama bin Laden si trasferisce in Pakistan.

1980

  • I mujaheddin, gruppi anticomunisti e ribelli islamici, cominciano la lotta di resistenza contro gli occupanti sovietici. Massicce manifestazioni studentesche antisovietiche a Kabul.

1979

  • Febbraio: l’ambasciatore degli USA è rapito e ucciso. Il nuovo regime firma accordi con l’URSS. Due presidenti afghani vengono uccisi l’uno dopo l’altro.
  • Dicembre: le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan.

1978

  • Aprile: il PDPA compie un colpo di stato e uccide Daud. Migliaia di intellettuali e democratici afghani vengono incarcerati o uccisi.

1977

  • L’attivista Meena Keshwar Kamal fonda RAWA.

1973

  • Re Zahir è spodestato da Daud e da membri del PDPA. La monarchia viene abolita. Daud si proclama presidente.

1965

  • Prime elezioni nazionali. Votano gli uomini e le donne. Nasce il Partito democratico del popolo afghano (PDPA), filosovietico.

1964

  • Viene varata una nuova Costituzione democratica che sancisce il voto per le donne.

1963

  • Re Zahir rimuove il primo ministro Daud.

1959

  • Daud e altri ministri appaiono in pubblico con le loro mogli senza velo. Portare il velo diventa facoltativo. L’università di Kabul apre alle donne. Le donne entrano nel mondo del lavoro e nelle istituzioni.

1955

  • Daud si rivolge all’URSS per chiedere appoggi e aiuti.

1953

  • Il principe Mohammed Daud diventa primo ministro dell’Afghanistan sotto re Zahir, suo cugino.

1947

  • La Gran Bretagna si ritira dall’India: separazione del Pakistan dall’India.

1933-1973

  • Regno di Mohammed Zahir, sovrano aperto al mondo occidentale.

1921

  • Terza guerra anglo-afghana. L’Afghanistan ottiene la piena indipendenza. Re Amanullah avvia la modernizzazione sociale e politica del paese. L’istruzione delle donne riceve particolare attenzione.

1878-1880

  • Seconda guerra anglo-afghana, nella quale si distingue l’eroina afghana “Malalai of Maiwand”.

1839-1842

  • Prima guerra anglo-afghana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese, l’Afghanistan. Noi resistiamo, oltre il silenzio”

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.

La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. 

La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.

Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa?
Shakiba: È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio. 

Come vi proteggete?
Shakiba: Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere. 

Una condizione psicologica molto faticosa.
Shakiba: Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia. 

Come vi spostate quando andate fuori città?
Shakiba: Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.

Non è una novità per Rawa.
Shakiba: Infatti. Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere. 

Dove sono queste telecamere? 
Shakiba: Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.

Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte?
Shakiba: Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore. 

I Talebani hanno sostegno nelle province?
Shakiba: Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.

L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli?
Shakiba: In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno. 

Quindi è possibile, nel futuro?
Shakiba: Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali. Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese. 

Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani.
Shakiba: Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.

Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro.
Shakiba: Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.

Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni?
Shakiba: Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.

Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne?
Shakiba: Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.

Hanno paura delle donne?
Shakiba: Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.

Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto.
Shakiba: C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.

Di quali crimini parliamo?
Shakiba: Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara, violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.

Anche una guerra tecnologica con i Talebani?
Shakiba: Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere. 

Organizzate ancora manifestazioni?
Shakiba: Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.

L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare?
Shakiba: Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. La presa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.  

La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare?
Shakiba: Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata 

Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani?
Shakiba: I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile. 

I Talebani hanno rivali sul territorio?
Shakiba: Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai. 

Qual è il messaggio più forte per la vostra gente?
Shakiba: Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.  

A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.

L’articolo è precedentemente uscito su Altreconomia.