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Autore: Patrizia Fabbri

Metanfetamine e oppio arricchiscono i Talebani. Nonostante i divieti

Economica, facile e veloce, la produzione di sostanze sintetiche sta radicalmente trasformando il mercato della droga. In diverse aree del mondo metanfetamine e oppioidi di sintesi vengono prodotti in piccoli laboratori clandestini e mobili, con investimenti minimi e un know how che si acquisisce in poco tempo. Un’opportunità che ha rapidamente attratto l’attenzione di uno dei principali protagonisti del traffico internazionale di droga degli ultimi 25 anni: i Talebani.

Fin dagli anni Ottanta il contrabbando di oppio ha rappresentato un’importante fonte di finanziamento per tutti i signori della guerra afghani. Ma è solo con la presa del potere da parte dei Talebani, a metà degli anni Novanta, che la coltivazione del papavero è stata non solo incentivata pubblicamente, ma in molti casi addirittura imposta.

Nel 1997 si stimava che il 96% dell’eroina prodotta nel Paese provenisse dalle zone controllate dagli “studenti coranici” e da allora la crescita è stata costante (a parte un blocco nel 2001) fino al 2022, anno in cui la coltivazione del papavero da oppio è aumentata del 32% rispetto al 2021.

Sia negli anni della prima presa del potere (1996-2001) sia durante l’occupazione militare della Nato, i Talebani si sono sempre finanziati attraverso l’imposizione di tangenti sulla coltivazione del papavero, sull’estrazione e sul trasporto dell’oppio. In anni più recenti il pagamento di mazzette è stato esteso anche alla produzione di metanfetamine, con il coinvolgimento diretto anche in alcuni dei laboratori clandestini che avevano iniziato a proliferare nel Paese, in particolare nelle aree meridionali e Sud-occidentali tornate sotto controllo talebano tra il 2006 e il 2007.


Uno dei possibili metodi di produzione dello stimolante sintetico prevede l’utilizzo dell’efedrina, attraverso un processo molto semplice, che si sviluppa in una sola fase e può essere eseguito con conoscenze chimiche basilari. Questa sostanza si può estrarre sia da medicinali (importati in gran parte illegalmente) sia a partire dalla pianta dell’efedra, che cresce spontaneamente sulle montagne afghane.

Le immagini satellitari pubblicate dalla società britannica specializzata Alcis mostrano come la località di Abdul Wadood, nel Sud-Ovest del Paese, fosse lo snodo principale di questo commercio: vi confluiva la maggior parte del raccolto e qui si trovavano anche i laboratori di efedrina più attivi. I numeri sono impressionanti: a fine novembre 2021 il bazar era stato letteralmente inondato di efedra essiccata e macinata. Secondo le stime di Alcis ne erano stati immagazzinati oltre 11mila metri cubi: una quantità tale da permettere la produzione di circa 220 tonnellate di metanfetamina.

L’ultima nota, infine, riguarda una new entry: da qualche anno, infatti, circolano in Afghanistan anche delle pasticche con proprietà stimolanti (ribattezzate “compresse K”) che contengono diverse sostanze come metanfetamine e Mdma (ecstasy) disponibili in un’ampia gamma di colori e forme. Di solito non vi si trovano oppioidi (che sono “depressivi” e agiscono in direzione “opposta” rispetto ai farmaci con effetto stimolante) ma da qualche tempo le analisi di un gran numero di campioni di queste compresse hanno evidenziato la presenza contemporanea di oppioidi e metanfetamine. Come ha evidenziato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) nel rapporto pubblicato ad agosto 2023, “la produzione clandestina di metanfetamine in Afghanistan dovrebbe ricevere la stessa attenzione riservata a quella di eroina”.

Ma pochi mesi dopo la presa di Kabul, apparentemente, tutto cambia. Con il bando alla raccolta dell’efedra (dicembre 2021) e il divieto alla coltivazione dell’oppio (aprile 2022) i Talebani sembrano voler dare seguito al programma del loro leader Hibatullah Akhundzada per eradicare le coltivazioni di papavero.

Ci sono però alcuni elementi da tenere in considerazione. Questi divieti arrivano dopo raccolti estremamente abbondanti delle due piante che hanno permesso di immagazzinarne quantità ingenti. Secondo le stime del ricercatore indipendente David Mansfield -che dal 1997 indaga le economie illecite dell’Afghanistan- “è probabile che attualmente nel Paese rimangano scorte significative di oppio, dato che la sua produzione ha superato le seimila tonnellate all’anno per gran parte dell’ultimo decennio”, contro le tremila degli anni Novanta. Ed è probabile che le quantità stoccate siano addirittura superiori “a causa della sistematica sotto-dichiarazione dei rendimenti”, aggiunge Mansfield. Informazioni confermate anche dalle fonti di Cisda sul terreno. I due divieti hanno inoltre avuto un impatto diretto sull’impennata del prezzo di oppio e metanfetamine a livello globale, continuando a garantire ingenti guadagni.

In secondo luogo, quello talebano non è un governo coeso: le fazioni opposte si scontrano quotidianamente a Kabul e nelle province l’applicazione dei diktat del governo centrale non è omogenea. Non sempre la popolazione rurale -per la quale la coltivazione dell’oppio è spesso l’unica fonte di sussistenza- rispetta questi divieti e spesso sono gli stessi amministratori locali a ignorare le direttive dei leader. Come riporta sempre Mansfield “alcuni comandanti talebani incaricati di scoraggiare la coltivazione del papavero da oppio e di distruggere le coltivazioni, hanno fatto il possibile per evitare di mettere in pratica l’editto”.

L’emanazione di questi divieti ha avuto conseguenze interessanti. Partiamo dal mercato delle metanfetamine: all’aumento della raccolta dell’efedra ha fatto seguito un abbassamento sia del prezzo della materia prima (da 1,8 dollari al chilo del 2018 a 0,63 del novembre 2021) sia della metanfetamina che ha raggiunto i 200 dollari al chilo contro i 300 del 2020. Il bando imposto dai Talebani ha avuto l’effetto di far risalire in pochi giorni il prezzo della droga sintetica, che a gennaio 2022 ha toccato i 570 dollari al chilo.

Un guadagno per i commercianti (che nel giro di pochi mesi hanno visto quadruplicare il valore del prodotto stoccato) e soprattutto un aumento del “gettito fiscale” per il governo di Kabul: che incassa sia sul trasporto di efedra (circa 5.700 dollari a camion, contro i mille degli anni scorsi) sia sul contrabbando di metanfetamine oltre i confini del Paese la cui “tassa” è passata da 3,75 a 7,15 dollari al chilo nel 2022. Solo quest’ultima voce, secondo le stime contenute in un report di Alcis del gennaio 2023, ha permesso ai Talebani di incassare circa 26 milioni di dollari all’anno.

Anche i prezzi dell’oppio e dell’eroina sono aumentati vertiginosamente a seguito del divieto imposto ad aprile 2022, attestandosi ai livelli più alti degli ultimi vent’anni. Secondo le stime del “World drug report 2023” dell’Unodc nel 2022 le vendite di questa sostanza hanno fruttato circa 1,4 miliardi di dollari contro i 425 milioni del 2021. Dal momento che le scorte sono abbondanti è probabile che il traffico di oppiacei resterà a livelli estremamente elevati anche nel 2023 e nel corso degli anni a venire.

La decisione di vietare la coltivazione dell’oppio e la raccolta dell’efedra non ha dunque danneggiato economicamente i Talebani. Ma c’è un altro aspetto molto importante da tenere in considerazione: come avevano già fatto nel 2001, al di là delle dichiarazioni ufficiali, una delle principali motivazioni politiche che ha ispirato questi divieti è il tentativo del governo di Kabul di accreditarsi presso la comunità internazionale. Ottenendo così un riconoscimento formale e la conseguente apertura a investimenti di capitali esteri nel Paese. È questa la vera posta in gioco e per vincerla i Talebani potrebbero essere disposti a rinunciare (o più probabilmente a limitare) gli introiti derivanti dal narcotraffico. Ma qui usciamo dal campo dei fatti ed entriamo in quello delle ipotesi.

Pubblicato su Altreconomia n. 264

Patrizia Fabbri, giornalista, è un’attivista di CISDA.

Comunicato CISDA a seguito del violento terremoto che ha colpito la provincia di Herat

Sabato 7 ottobre la provincia di Herat è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6,3, a cui sono seguite nuove violente scosse; l’ultima l’11 ottobre.
Nel resoconto fornito dal regime talebano, che non ha attivato alcuna forma di soccorso per le popolazioni colpite, nella tragedia sono morte 3000 persone e 10.000 sono rimaste ferite; 1300 case sono state totalmente o parzialmente distrutte. Il rappresentante dell’OMS ha dichiarato che la maggior parte delle vittime sono donne e bambini.
Si tratta di un bilancio molto parziale e destinato a salire; molti villaggi non sono raggiungibili a causa della mancanza di strade e per le frane che hanno chiuso le poche vie di accesso. Nell’area mancano quasi del tutto medici e strutture sanitarie.
La comunità internazionale, concentrata sulla crisi in Medio Oriente, non ha avuto occhi per questa nuova tragedia che colpisce una popolazione ridotta allo stremo da 40 anni di guerre e fondamentalismo.
Le nostre compagne di RAWA e di OPAWC, che da sempre sosteniamo, hanno attivato i loro team medici mobili, che abbiamo visto in azione anche dopo l’alluvione che aveva colpito l’est del paese, nell’agosto 2022. Di seguito la testimonianza di una di loro, che sta organizzando il lavoro:
“I nostri colleghi e le nostre colleghe sono davvero coraggiosi, e stanno lavorando senza sosta. Ci dicono che è come un fronte: non c’è cibo, non c’è acqua, non ci si ferma mai. Tantissimo lavoro e un forte stress mentale. La città di Herat è nel caos, e moltissime persone se ne sono andate; è difficile fare qualsiasi cosa, dal trovare beni necessari ai soccorsi, all’affittare automobili che raggiungano le aree colpite…
Abbiamo saputo che ci sono molte donne che non vogliono lasciare l’ospedale perché hanno perso le loro famiglie e non sanno dove andare. Siamo preoccupate per l’arrivo di nuove scosse…
Le notti sono molto fredde e servono coperte e vestiti pesanti; le vittime sono per la maggior parte i contadini più poveri e gli sfollati che non avevano null’altro che costruirsi un riparo di fortuna dove potevano. È una zona molto arida, perciò manca l’acqua… e ci sono molte donne incinte che devono partorire…
Questo è un disastro naturale, ma la situazione è così grave a causa delle disastrose politiche: i governi passati e il regime in carica non hanno fatto nulla per mettere in sicurezza le aree a rischio, non sono capaci di gestire eventi di questa portata. Ciò che è successo mostra la miseria in cui versa la nostra gente. Il regime talebano non sta facendo nulla e addirittura vuole impedire che le donne vadano a lavorare in aiuto delle popolazioni colpite. Con il governo precedente, i signori della guerra e i politici hanno intascato milioni di dollari di aiuti della comunità internazionale e costruito palazzi per se stessi, rubando i soldi destinati alla povera gente.
Il mondo ora guarda all’Ucraina e a Israele, e così l’Afghanistan è stato completamente dimenticato, anche in questa situazione. Gli ufficiali talebani arrivano nell’area con i loro velivoli e per le vittime del terremoto non ci sono ambulanze che le portino in un ospedale.
Il CISDA sta inviando fondi per finanziare i team medici di OPAWC e RAWA e chiediamo a tutti i nostri sostenitori e sostenitrici di contribuire. Non farli sentire soli, in uno dei periodi più bui della loro storia, è un nostro dovere.
Grazie per quanto ciascuno potrà fare.
Chi volesse contribuire anche con una piccola cifra può farlo con un bonifico sul conto del CISDA, specificando nell’oggetto “DONAZIONE LIBERALE – TERREMOTO AFGHANISTAN”.
BANCA POPOLARE ETICA agenzia via Scarlatti 31 – Milano
IBAN: IT74Y0501801600000011136660

Esperimenti di scuola democratica nell’Afghanistan dei Talebani

Circa 15 anni fa in una periferia di Milano avevamo lanciato una provocazione in un istituto particolarmente difficile, offrendo agli studenti un percorso sulla possibilità di riappropriarsi della scuola. Chiedemmo loro chi non vedesse l’ora di tornare a scuola, invitandoli a mettere in discussioni modello educativo e formativo. Il fulcro sarebbe stato l’incontro con dei coetanei afghani, ospiti di un’associazione locale del Coordinamento italiano a sostegno delle donne afghane (Cisda), che pur di studiare erano disposti a lottare e rischiare. Anche 15 anni fa in Afghanistan studiare era difficile, malgrado la propaganda dei governi occidentali che volevano giustificare l’occupazione e la guerra in corso camuffandola da intervento umanitario.

Un diritto all’istruzione tutto storto: sia per gli afghani resi orfani dalla guerra, costantemente a rischio, con il futuro ipotecato dall’occupazione straniera; sia per i giovani in Italia che spesso subivano la scuola come un peso imposto dagli adulti, impermeabile alla vita e al mondo. Quel progetto educativo d’avanguardia era stato sviluppato in oltre 40 anni di attività formativa da parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne afghane (Rawa) all’interno di campi profughi, case-famiglia, orfanotrofi, appartamenti autogestiti per sole ragazze, centri educativi aperti in quartieri strategici.

Luoghi in cui è maturata un’esperienza che ha permesso a molte persone di raggiungere un’alfabetizzazione di base ma anche, quando possibile, altissimi livelli di maturazione, comprensivi di una solida consapevolezza politica. Metodi consolidati, ancora oggi adattati, di volta in volta, alle nuove condizioni dei corsi “clandestini”, ma non solo. Perché fare scuola non significa soltanto trasmettere nozioni e solo una raffinata pedagogia della liberazione può contrastare la politica di annientamento del genere femminile attualmente in corso.

Una cattiva scuola è forse meglio di niente ma quella imposta dai Talebani ai bambini afghani oggi è davvero pessima, per maschi e femmine: il rigido controllo sugli insegnanti è mortificante e la dottrina religiosa integralista è il solo contenuto che viene impartito. L’unica nota positiva è poter uscire di casa e incontrare dei compagni.

In alternativa chi può permettersi di pagare una scuola privata, dove esiste, non esita a investire tutte le sue risorse per dare ai propri figli un’istruzione di livello adeguato. E il mercato del “privato” contribuisce a risollevare l’economia, in un contesto di stagnazione. Così, paradossalmente, i Talebani tollerano centri educativi a scopo di lucro inquadrati come business e registrati presso il ministero dell’Economia e del commercio, per far sì che il ministero dell’Educazione interferisca al minimo sulla loro gestione. I divieti imposti alle ragazze sono validi anche lì, ma fino al sesto grado, in classi separate per sesso, è possibile a volte studiare matematica, scienze, inglese, le lingue nazionali, informatica. C’è anche l’arte, ma non la musica, espressamente proibita anche in quei centri.

In queste maglie di privilegio, tra una popolazione che al 90% vive al di sotto della soglia di povertà e in preda alla fame, si insinuano esperimenti di scuola democratica: destinata prevalentemente ai più poveri, facendo risultare il pagamento di rette in realtà insostenibili per famiglie in gravi difficoltà, occultando ogni legame con donatori esteri, queste scuole selezionano personale insegnante di eccellenza. Posti di lavoro a supporto della crescita economica del territorio, gestiti secondo il modello educativo di Rawa. Accade anche in aree remote, ed è un peccato che a causa dei problemi di sicurezza non sia possibile pubblicare le foto di bambini e adulti coinvolti: i loro visi raccontano più delle parole.

Quelle che arrivano da un centro privato aperto a marzo 2023 in un’area rurale dell’interno (sperduta tra i monti, abitata da contadini e pastori) aiutano a comprendere il contesto. La priorità viene data alle bambine, con qualche classe separata per i maschi. Ogni mese i genitori vengono convocati in assemblea per discutere dei progressi dei loro figli ma anche della gestione della scuola, raccogliendo critiche e proposte: un esercizio di educazione popolare per adulti.

La popolazione locale apprezza l’iniziativa ed è pronta a sostenerla di fronte alle minacce che possono insorgere in qualsiasi momento. Questa è la garanzia di continuità di una anonima impresa commerciale femminile privata che potrebbe altrimenti venire spazzata via in qualsiasi momento. Nel mese di luglio un gruppo di studenti ha celebrato solennemente il passaggio a un successivo livello di lingua inglese, con tanto di premiazione. Nell’incontro pubblico, i ragazzi hanno raccontato l’importanza che ha per loro studiare: rielaborare a parole la propria esperienza e confrontarsi è il primo passo per prendere coscienza di sé e del mondo.

La maggior parte di loro appartiene a famiglie contadine. Mahdia, otto anni, ha raccontato che il papà era un poliziotto ed è stato ucciso durante il precedente governo, lasciando una famiglia di sei persone. La mamma ha dovuto sposare, secondo la tradizione, un fratello analfabeta del marito. Mahdia ricorda che il suo papà comprava cibo, vestiti, scarpe ed erano felici. Ora mangiare abbastanza è solo un sogno per loro.

Mujida appartiene invece a una famiglia di sette persone. Sua madre era la direttrice di una scuola e guadagnava abbastanza per mantenerli, ma quattro anni fa è morta di infarto. Hanno dovuto vendere tutto e trasferirsi alla ricerca di un’occupazione ma ora il padre lavora solo un paio di giorni alla settimana. “Certe sere papà torna a casa con le tasche vuote e vuole suicidarsi, ma poi pensa a noi figli, a cosa ci può succedere senza di lui, e si ferma. Da quando sono arrivati i Talebani la nostra vita è tragica”. Trovare le parole e lo spazio per dirlo, tra compagne solidali, celebrando un successo in un percorso di trasformazione, è fare scuola. Un modello da cui abbiamo tutto da imparare.

Pubblicato su Altreconomia n. 263

Gabriella Gagliardo è un’attivista di CISDA

Tribunale delle donne per le donne in migrazione. La testimonianza Nahid Akbari

Il 27 maggio 2023 si è tenuta la prima seduta del Tribunale delle donne nell’ambito del progetto “Da vittime a testimoni. Un Tribunale delle donne per i diritti delle donne in migrazione”. Le donne afghane presenti all’incontro hanno raccontato la loro esperienza.

In questo video la parola a Nahid Akbari che ha raccontato i cinque anni di viaggio per arrivare in Germania dall’Afghanistan attraverso Iran, Turchia, Grecia, Albania, Croazia. Racconta le violenze che non sono risparmiate né ai minori né alle donne incinte. Nahid testimonia le drammatiche condizioni di vita nei campi profughi, dove sono negati i diritti fondamentali come l’assistenza sanitaria o la scuola

Laboratori di educazione ai diritti umani nelle scuole

L’associazione CISDA ETS organizza gratuitamente laboratori di educazione ai diritti umani nelle scuole primarie (elementari), secondarie di primo grado (medie) e secondarie di secondo grado (superiori).

I laboratori possono essere agevolmente inseriti nelle programmazioni di Educazione Civica.

A partire dall’anno scolastico 2005, il CISDA ha svolto attività di questo tipo in numerose scuole di Milano e provincia, e su tutto il territorio nazionale dove la presenza di volontarie lo consenta. In alternativa, sono stati realizzati collegamenti on line. Le operatrici CISDA concordano con i docenti orari e modalità di lavoro.

L’obiettivo prioritario degli interventi formativi è quello di favorire un processo di approfondimento critico che possa avere delle ricadute sul percorso di acquisizione delle competenze attive di cittadinanza.

In caso di richiesta e compatibilmente con le necessità organizzative è possibile proporre alle scuole la testimonianza diretta di alcune attiviste afghane delle associazioni che il CISDA sostiene. Questi incontri generalmente sono molto partecipati e lasciano un segno indelebile nell’esperienza di crescita dei ragazzi coinvolti.

Anche per il prossimo anno scolastico si attiveranno numerosi laboratori nelle scuole del territorio nazionale pubblicati nel calendario eventi.
Se siete interessati a invitare una volontaria CISDA a tenere uno o più laboratori di educazione ai diritti e all’informazione critica nella vostra scuola scrivete a scuola@cisda.it .

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Dossier Afghanistan – I diritti negati delle donne afghane

Ormai uscito dai radar dei media nazionali e internazionali, l’Afghanistan è un paese allo stremo, stretto nella morsa dei talebani e alla mercé degli interessi geopolitici  ed economici di diversi paesi.

Se per tutta la popolazione afghana vivere è una sfida quotidiana, per le donne è un’impresa impervia.

In questo Dossier, CISDA ha voluto ripercorre le tappe principali della storia afghana, cercando di capire chi sono i talebani di oggi e realizzando approfondimenti tematici per comprendere qual è la situazione attuale del paese. Ma soprattutto ha voluto dar voce alle donne afghane raccogliendo le loro storie.

Questo vuol essere un primo documento di un più ampio progetto che, sotto il cappello di Dossier Afghanistan, intende aggregare e amplificare le diverse voci che sostengono il popolo afghano.

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