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A che punto è il riconoscimento “strisciante” dei Talebani da parte della comunità internazionale

L’articolo è stato pubblicato su Altreconomia il 26 maggio 2025.

È passato quasi un anno dalla terza Conferenza di Doha organizzata dall’Onu nel giugno 2024 per normalizzare i rapporti della comunità internazionale con il governo de facto dell’Afghanistan e riaprire ufficialmente le relazioni economiche e politiche.

Un evento che aveva registrato un’importante novità nelle relazioni diplomatiche: la partecipazione diretta dei rappresentanti del governo talebano, invitato per la prima volta a partecipare alla pari con i 25 Paesi che ne fanno parte nonostante la mancanza del riconoscimento ufficiale della sua legittimità.

Una novità scandalosa, non solo perché questa “prima volta” aveva segnato un’accettazione di fatto del governo talebano come rappresentante del popolo afghano nonostante la sua presa del potere non sia avvenuta democraticamente, ma soprattutto perché questa presenza era accettata in cambio dell’estromissione delle donne afghane e dei loro diritti dai temi trattati nella Conferenza, per consentire al diktat dei Talebani che l’avevano posta come condizione per la loro partecipazione. Accettazione che era stata molto criticata non solo dalle donne e dai movimenti per i diritti umani di tutto il mondo ma anche da alcuni esponenti delle stesse Nazioni Unite.

La conferenza si era conclusa senza impegni precisi ma aveva sancito la disponibilità dei negoziatori a proseguire con le discussioni sui temi economici in preparazione di altri appuntamenti e incontri.

Che ne è stato di questi impegni, che seguito ha avuto la Conferenza di Doha? In questi mesi quasi nulla è apparso sui media per aggiornarci sulle trattative in corso tra Onu e governo talebano, sullo stato del processo di riconoscimento del loro governo e sull’avanzamento degli impegni presi.

Questa assenza di notizie non è da imputare all’interruzione dei rapporti o alla mancanza di sviluppi nel dialogo, ma alla scelta di cambiare strategia: si è infatti deciso di togliere visibilità al processo di avvicinamento ai Talebani gestito dall’Onu e delegare invece alla Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) la conduzione dei colloqui e delle proposte di mediazione.

Sono state forse le critiche delle associazioni per i diritti umani e delle donne o la refrattarietà dei Talebani ai cambiamenti a far cambiare strada all’Onu, forse per cercare modalità più coerenti di difesa dei diritti del popolo afghano? Purtroppo no, perché il nuovo format proposto e portato avanti dall’Unama, denominato “Piano Mosaico”, o Roadmap globale per l’Afghanistan, ha ancora una volta l’obiettivo dichiarato di normalizzare il più presto possibile le relazioni con l’Afghanistan, per riportarlo nella comunità internazionale sotto il controllo di “questi” Talebani e di “questo” governo.

E per agevolare le trattative, propone un approccio non più finalizzato a condizionare i Talebani con preliminari tematiche di principio e richieste di aperture democratiche, ma invece scorpora i problemi per affrontarli uno alla volta -fin da subito quelli che interessano ai Talebani, in futuro quelli proposti dalla comunità internazionale- così che sia più facile, senza l’appesantimento di questioni scottanti e divisive, arrivare a stabilire degli accordi. Per ridurre il conflitto viene infatti proposto una strategia che separa i problemi “pratici”, come la lotta al narcotraffico, lo sviluppo del settore privato e la cooperazione economica -che piacciono ai Talebani- da quelli “complessi”, come i diritti umani e delle donne e l’antiterrorismo. Cioè si lasciano le questioni che riguardano i diritti e la democrazia in una formulazione generica e ambigua, da affrontare con “gradualità”, nel futuro indefinito “del prima o poi” -tanto le donne afghane sono resilienti-.

Con questa strategia il coinvolgimento dei Talebani nel dialogo non punta più a un evento-manifesto che dia visibilità all’intervento conciliatore dell’Onu, ma preferisce un processo in sordina, strisciante, fatto di incontri bilaterali o poco più, che non dia nell’occhio, nella speranza che sia finalmente possibile accordarsi con i Talebani e fare affari con loro senza fastidiosi interventi critici, quegli affari che per ora sono solo nelle mani delle piccole e grandi potenze regionali che sgomitano per arrivare per prime.

Nelle intenzioni l’obiettivo di questo processo dovrebbe essere “un Afghanistan in pace con sé stesso e con i suoi vicini, pienamente reintegrato nella comunità internazionale e in grado di rispettare gli obblighi internazionali”, si dice nel Piano, basato sulle raccomandazioni della valutazione indipendente di Feridun Sinirlioglu e in applicazione della Risoluzione 2721 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 2023.

Le associazioni di donne e per i diritti umani hanno criticato questo nuovo piano. Sostengono che l’Unama sta di fatto facilitando la legittimazione dei Talebani anziché difendere i diritti del popolo afghano e che in questa roadmap non sarebbe stato previsto alcun ruolo per le donne, la società civile e le reali vittime del governo.

In una dichiarazione congiunta, 54 organizzazioni sociali, associazioni e gruppi di attiviste hanno denunciato l’accettazione dei Talebani come principali interlocutori e avvertito che l’iniziativa garantisce al governo concessioni concrete mentre chiede in cambio poco più che vaghe e inattuabili promesse. Inoltre, dicono che l’Unama, rendendo i diritti umani un oggetto di contrattazione, ne compromette l’universalità e l’inviolabilità, venendo meno alla missione imparziale e umanitaria delle Nazioni Unite che le è propria.

Le Nazioni Unite hanno sottolineato che il loro impegno con i Talebani non deve essere frainteso con un riconoscimento politico. L’Unama ha dichiarato che il piano è ancora in fase di revisione e di voler coinvolgere nella sua gestione tutte le parti interessate, dai Paesi che fanno parte del Processo di Doha alle altre componenti che giocano un ruolo chiave nella regione, come il G7, i governi che detengono risorse afghane, il team delle sanzioni dell’Onu e i cosiddetti gruppi “non talebani” menzionati vagamente alla fine del piano. Ma l’Unama ha rifiutato di specificare esattamente quali, al di fuori dei Talebani, siano state le parti finora coinvolte.

Intanto i Talebani, ben felici di essere al centro dell’attenzione diplomatica, puntano in alto e rispondono alle aspettative del Piano chiedendo la revoca delle sanzioni Onu, attualmente imposte a oltre 130 membri del gruppo ed entità affiliate; il recupero dei beni congelati dagli Usa; l’assunzione della rappresentanza diplomatica all’estero, cioè il seggio all’Onu, attualmente in mano ai rappresentanti del governo della precedente Repubblica. Insomma, un vero e proprio riconoscimento di legittimità.

In cambio il Piano chiede riforme globali, come la formazione di un governo inclusivo, il rispetto dei diritti umani e l’impegno nella lotta al terrorismo, ma, non prevedendo meccanismi di applicazione o inclusione, queste richieste rimangono generiche e vuote. Come osserva l’opposizione politica, “le richieste dei Talebani sono concrete e misurabili: vogliono legittimità diplomatica, accesso alle riserve estere e revoca delle sanzioni. Al contrario, le aspettative della comunità internazionale rimangono indefinite”.

Il “Piano Mosaico” dichiara di puntare, per ottenere cambiamenti nella politica talebana, sulla reciproca fiducia e la dimostrazione dei vantaggi che la cooperazione può portare alla governance e al popolo afghano. Ma come può esserci collaborazione con un governo fondamentalista che ritiene che non sia sua responsabilità provvedere ai bisogni dei cittadini perché crede che il benessere e la sopravvivenza del popolo provengano direttamente da dio? Come si può avere fiducia in un regime che si preoccupa solo di ottenere con la violenza l’obbedienza a quella che pretende sia la vera religione?

Il governo talebano non può essere un interlocutore credibile. Non vi è garanzia che il popolo afghano possa ottenere dai Talebani il rispetto dei suoi diritti umani, economici e sociali. Come hanno giustamente sostenuto le donne e le associazioni democratiche, “questo piano deve essere fermato, le nostre voci devono essere ascoltate”.

Consegnate al Governo italiano le firme della Petizione STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Consegnate al Governo italiano le firme della Petizione STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

La raccolta firme per la Petizione si è chiusa il 15 maggio 2025 e le firme (1.725) sono state inviate alla Presidente del Consiglio Italiano.

Continua la raccolta firma per l’adesione alla Campagna e al sostegno delle iniziative di supporto.


Il testo della Petizione inviata al Governo Italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane),
con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa,

CHIEDE AL GOVERNO ITALIANO

Di sostenere i seguenti obiettivi e di farsene promotore presso le istituzioni internazionali.

1             Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

2             Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

  • le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime;
  • venga messo al bando il fondamentalismo talebanocon provvedimenti urgenti;
  • si impediscano finanziamenti al regime talebano e rifornimenti militarida parte di Paesi amici;
  • si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionalee dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito si chiede al governo italiano di sostenere l’azione presa da:

  • Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionaleper violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.
  • Cile, Costa Rica, Spagna, Francia, Lussemburgo e Messico di deferimento dell’Afghanistan per ulteriori indagini alla Corte Penale Internazionale sulle continue violazioni dei diritti delle donne compiute dai talebani.

3             Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

PER AVERE TUTTE LE INFORMAZIONI SULLA CAMPAGNA, CONOSCERE I SOSTENITORI E LEGGERE GLI APPROFONDIMENTI,  CLICCA QUI

STOP FONDAMENTALISMI STOP APARTHEID DI GENERE

Governo italiano

I fondamentalismi, nelle loro diverse forme e caratterizzazioni, creano sempre apartheid di genere e l’Afghanistan è il Paese che ne rappresenta il caso più emblematico, anche se non è il solo. L’autodeterminazione della donna e degli individui LGBTQI+ vede infatti drammatiche limitazioni ovunque nel mondo, anche nel mondo occidentale. La promozione del valore della laicità è l’argine più efficace ai fondamentalismi, e quindi all’apartheid di genere, come indicano le organizzazioni progressiste, democratiche e antifondamentaliste anche in Afghanistan.

Pertanto il CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) con la rete di associazioni con la quale collabora in Italia e in Europa

HA LANCIATO LA CAMPAGNA "STOP FONDAMENTALISMI - STOP APARTHEID DI GENERE"

con la quale, attraverso molteplici azioni, si intende promuovere i seguenti obiettivi:

  1. Riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità (al pari dell’apartheid di razza) all’interno dei Trattati internazionali e che tale crimine viene applicato sistematicamente e istituzionalmente in Afghanistan.

  2. Non riconoscimento, né giuridico né di fatto, del regime fondamentalista talebano attivando, fin da subito, azioni di condanna e, in particolare, che:

    le Nazioni Unite non diano riconoscimento, né giuridico né di fatto, al regime; venga messo al bando il fondamentalismo talebano con provvedimenti urgenti; si impediscano finanziamenti e rifornimenti militari da parte di Paesi amici; si estromettano i rappresentanti del regime da incontri della diplomazia internazionale e dalle riunioni delle Nazioni Unite e si applichino puntualmente le limitazioni totali di viaggio ai suoi esponenti come già previste dalle sanzioni anti-terrorismo.

In questo ambito la Campagna farà pressione al governo italiano affinché sostenga l’azione presa da Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi, e sostenuta da altri 22 stati, di deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia Internazionale per violazioni della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), di cui l’Afghanistan è firmatario.

  1. Sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche non compromesse con i precedenti governi e i partiti fondamentalisti; contestualmente negare la rappresentanza politica alle esponenti politiche e agli esponenti politici dei precedenti governi afghani, rappresentanti di una classe politica corrotta.

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L’intervento di Belquis Roshan alla conferenza stampa presso la Camera dei deputati

Saluto le amiche del CISDA, le mie compagne in Italia, e gli onorevoli membri Parlamento italiano, che hanno consentito lo svolgersi dell’incontro odierno.

Rappresento le donne dell’Afghanistan e apprezzo il vostro impegno e senso di responsabilità per aver voluto far sentire il grido di chi sottostà alle leggi del governo più medievale, misogino e malvagio della storia. Vi sono immensamente grata per avermi invitata all’evento di oggi. Le donne afgane, da quasi quattro anni, sono sotto l’ombra sinistra dei talebani; la loro libertà è repressa con le pratiche più barbare.

I governi occidentali, in particolare quello degli Stati Uniti, hanno tradito il popolo e le donne dell’Afghanistan consentendo ai talebani, quattro anni fa, di riprendere il potere. I talebani ricevono segretamente sempre più sostegno finanziario e diplomatico, e questo garantisce la continuazione del loro regime degenerato. Gli interessi strategici ed economici dei governi occidentali in Afghanistan hanno la netta prevalenza rispetto al destino del popolo, specialmente delle donne. La maggior parte di questi governi, e anche le Nazioni Unite, si dicono preoccupati per i diritti delle donne in Afghanistan, ma non hanno simpatia per il nostro popolo e hanno fatto accordi vergognosi con i terroristi talebani.

In questa situazione, qualsiasi voce si alzi da parte delle forze libere e progressiste dei paesi del mondo, specialmente dell’Occidente, a sostegno delle donne afghane è lodevole e preziosa. Avete fatto il vostro dovere umano e di base, diventando così buoni amici delle donne afghane.

Ciò che accade alle donne afghane non è soltanto sotto la categoria “gender apartheid”. Contro le donne vengono commessi crimini brutali e barbarie, le donne non sono considerate esseri umani, sono private di tutti i diritti e non possono svolgere alcuna attività sociale. Non solo il lavoro e l’istruzione sono vietati. La maggior parte delle ragazze viene privata della scuola e deve sottostare alle leggi maschili, e in molti casi, le ragazze sono costrette a una vita terribile.

I talebani, come tutti i gruppi fondamentalisti e aggressivi, vogliono cancellare le donne, la metà della popolazione, confinandola in casa, in modo che per l’altra metà della popolazione, gli uomini, sia più facile reprimerle e ridurle in schiavitù. Ma la maggior parte delle donne afghane si è finora opposta ai talebani in vari modi, le donne non si sono arrese.

Avete fatto molto per riconoscere l’apartheid di genere contro le donne afghane e avete creato un documento prezioso. Questi sforzi, pur non avendo un impatto diretto e duraturo sulla situazione delle donne afghane sono un esempio di solidarietà del popolo occidentale, e dimostrano che, a differenza dei loro governi, ci sono persone che nutrono una sincera simpatia e mostrano solidarietà nei confronti delle donne afghane. In questi quattro anni, le donne afgane hanno cercato di fare sentire la loro voce nella maggior parte dei paesi in cui sono presenti amici come voi, speriamo che in questa lotta sarete i primi, speriamo che il vostro governo riconosca l’apartheid di genere.

Sappiamo che anche se l’apartheid di genere verrà riconosciuto questo non impedirà ai governi occidentali di cooperare con i talebani. Nella pratica vediamo che i governanti guerrafondai dell’Occidente non hanno minimamente rispettato le leggi e i trattati universali che hanno firmato, e li hanno calpestati ogni volta che avevano necessità di tutelare i loro interessi. In molti casi abbiamo visto che non hanno rispettato e hanno fatto carta straccia delle risoluzioni dell’ONU. Proprio adesso, con lo sgomento e la rabbia di tutti coloro che vedono ciò che accade, il fascista Netanyahu, il macellaio di un popolo sofferente, nonostante sia stato emesso un mandato d’arresto nei suoi confronti da parte della Corte penale internazionale, ha viaggiato tranquillamente in Europa, e nessun governo europeo osa alzare la voce contro questo criminale di guerra.

Questi sono i giochi dei governanti occidentali con i diritti umani. E nel mondo sono molti gli esempi di queste pratiche. Serajaldin Haqqani, il leader degli attentatori suicidi e assassino del popolo afghano, che gli Stati Uniti avevano messo nella lista nera, mettendo una taglia di milioni di dollari per la sua cattura, negli scorsi tre anni ha viaggiato liberamente nei paesi arabi per fare accordi vergognosi con i paesi occidentali e con gli Stati Uniti. Sapeva che in seguito i suoi crimini sarebbero stati perdonati dal suo alleato americano.

Ma se il vostro lavoro darà buoni frutti e l’apartheid di genere dei talebani verrà riconosciuto come tale, sarà un risultato prezioso per l’alleanza globale in difesa delle donne afghane e incoraggerà le donne afgane a proseguire la loro lotta per i diritti contro il fondamentalismo e il terrorismo talebano. Il successo di questo lavoro dimostrerebbe che c’è una distanza profonda tra i governi oppressivi e il popolo occidentale che ama la libertà.

Devo però mettere in guardia i veri amici delle donne oppresse dell’Afghanistan: gli Stati Uniti, l’Occidente e le sue istituzioni hanno cercato negli ultimi quattro anni di introdurre un certo numero donne che si fanno passare come rappresentanti delle donne afghane e promuovono invece gli interessi degli stati imperialisti. Tra queste Fawzia Kofi, Habiba Sarabi, Sima Samar, Mahboubeh Seraj, Fatemeh Gilani, Shakriyeh Barakzai Shahrzad Akbar e altre, che sono manovrate dall’intelligence occidentale e cercano di deviare la lotta delle donne afghane dal cammino per la libertà. Durante i colloqui di Doha, in cui il potere è stato restituito ai talebani, queste donne erano tra i lobbisti che hanno favorito il ritorno al potere di questi criminali sanguinari.

Sono stata con alcune di queste donne per molti anni in Afghanistan perché facevo parte del parlamento, so che queste sono le nemiche delle donne oppresse e hanno fatto dei diritti delle donne uno strumento per raggiungere le proprie mire ambiziose. Ma poiché sono diventate competenti e capaci, l’America e l’Occidente ne hanno beneficiato per oltre vent’anni. Sono certa che in occasione di importanti conferenze mondiali, presso le Nazioni Unite e il Parlamento europeo, e ovunque esse abbiano degli interessi, verranno assegnati loro premi internazionali. Nessuna di loro rappresenta le donne afghane; rappresentano solo l’imperialismo e i governi occidentali, quindi non hanno posto nella lotta per la liberazione delle donne. Anche alcune delle donne che ho citato parlano di apartheid di genere, ma bisogna essere consapevoli che c’è una differenza tra voi e loro. Voi, con la formalizzazione dell’apartheid di genere, dovreste anche denunciare e prendere una posizione chiara contro il sostegno ai fondamentalisti talebani e dei jihadisti da parte dell’imperialismo in modo che la vostra campagna sia distinta dalla loro e mostri la vostra reale volontà di difendere le donne afghane. Dovreste essere molto decise.

Qui voglio sottolineare un altro punto importante, anche se va al di là del disastro afghano. Quando si tratta di tutelare i propri interessi gli stati imperialisti del mondo non esitano ad allearsi con fascisti e fondamentalisti massacratori di popoli; parlo ad esempio dell’orribile genocidio del regime sionista di Israele a Gaza, parlo dell’aver portato al-Qaeda e ISIS al potere in Siria, oggi guidata da Jolani, parlo delle guerre in Yemen, Iraq, Ucraina condotte grazie alle armi e al sostegno finanziario delle potenze mondiali. È una necessità storica e politica incredibilmente importante che i movimenti decoloniali dichiarino che l’imperialismo, il fondamentalismo e il terrorismo sono facce della stessa medaglia e pericolosi nemici dell’umanità; fino a quando non ci sarà un’alleanza globale e popolare contro questi gravi pericoli il futuro dell’umanità e del pianeta sarà a rischio.

Vi invito a creare questa alleanza. Infine vi chiedo, in quanto rappresentanti del popolo italiano nel parlamento, di unire il popolo italiano e le donne afghane nella lotta contro l’apartheid di genere in Afghanistan. Non dimenticate la lotta contro i fondamentalisti e non lasciate che il governo dei talebani in Afghanistan sia riconosciuto dai vostri governi.

Ancora una volta, stringo la mano del vostro onorevole e umano sostegno e mi inchino a ciascuno di voi per il vostro lavoro e la vostra solidarietà con le donne oppresse dell’Afghanistan. Viva l’unità dei popoli del mondo.

Belquis Roshan, ex parlamentare dell’Afghanistan è ora rifugiata in Europa

Comunicato L’apartheid di genere ci riguarda

“Apartheid di genere” (ADG) è stata la parola chiave della conferenza stampa che l’8 aprile il Cisda ha convocato presso la sala stampa del parlamento per illustrare la campagna Stop fondamentalismi – Stop apartheid di genere e la petizione al governo italiano – finora firmata da 2000 persone e 80 associazioni, ma è ancora possibile aderire – che chiede l’intervento attivo dell’Italia sia nel riconoscimento che in Afghanistan è in atto un sistematico e intenzionale ADG, sia nel sostegno del reato specifico di ADG nella Convenzione per la prevenzione e la punizione dei crimini contro l’umanità in preparazione all’ONU e che sarà in discussione all’Assemblea degli Stati nel 2026/27.

Una giornata importante per la nostra campagna, che nel pomeriggio si è concretizzata con la presentazione al mondo dell’attivismo e della solidarietà in un incontro aperto a tutti dove sono intervenuti/e rappresentanti di associazioni e di ong con testimonianze e opinioni.

Dopo la presentazione del Cisda che ha ripercorso la situazione attuale in Afghanistan e spiegato le motivazioni della campagna e della petizione al governo italiano, è intervenuta Belquis Roshan, ex parlamentare dell’Afghanistan ora rifugiata in Europa, ricordando che le donne afghane sono sottoposte a condizioni di vita orrende sotto il regime fondamentalista del suo paese. Alle donne è vietato lavorare e le ragazze, che non possono più frequentare la scuola, sono costrette, ancora giovanissime, a sposare i talebani, nell’immobilismo della maggior parte dei governi del mondo che si limitano a dichiarare il loro rammarico ma senza fare nulla, mentre gli Usa continuano a finanziare il governo talebano per difendere i loro interessi economici e strategici.

Lo sforzo che si sta facendo per il riconoscimento dell’ADG subito dalle donne afghane è importante – ha inoltre affermato Roshan – e dimostra un’alleanza sincera con le donne afghane.

Anche se sappiamo che molti governi hanno dimostrato di ignorare e calpestare i trattati internazionali e le risoluzioni delle Nazioni Unite, com’è avvenuto per i mandati di arresto verso personaggi politici che sono rimasti inapplicati senza che alcun governo abbia alzato la voce contro quei criminali e mentre Haqqani veniva vergognosamente graziato, il riconoscimento dell’ADG sarà un importante traguardo per le donne, la legalizzazione dei loro diritti e delle loro lotte.

Inalienabili, indivisibili e parte integrante dei diritti umani

Ci sono voluti 45 anni, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, perché anche i diritti delle donne fossero dichiarati inalienabili, indivisibili e parte integrante dei diritti umani, nel 1993 con la Dichiarazione della Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna.

Poiché le convenzioni fra gli stati e le leggi esistenti riconoscono i diritti delle donne e dei bambini solo in situazione di guerra, e il crimine di Persecuzione di genere non è sufficiente a difendere le donne perché può essere applicato solo se connesso con altri crimini, è necessaria una Convenzione dell’ONU sui crimini contro l’umanità che contempli specificatamente il reato di Apartheid di genere, che è l’unico che può definire esaurientemente la situazione di segregazione e persecuzione che subiscono le donne in quanto genere nei paesi fondamentalisti e in particolare in Afghanistan, il più emblematico tra tutti.

Questo ha spiegato la giurista Laura Guercio, relatrice intervenuta alla conferenza stampa per illustrare la definizione di ADG redatta con il Cisda e inviata alla 6° Commissione dell’Onu incaricata di preparare i lavori della Convenzione con il contributo anche della società civile e dell’associazionismo. Definizione che ha già avuto un importante riscontro di apprezzamento da parte degli incaricati dell’ONU.

Ma la nostra Campagna non si limita a questo: chiede che il governo italiano, coerentemente con i trattati per la difesa delle donne e dei diritti umani sottoscritti dall’Italia, neghi il riconoscimento giuridico e di fatto al governo fondamentalista dei talebani, impedisca loro l’agibilità politica nei consessi internazionali e si associ all’azione degli Stati nella denuncia ai Tribunali internazionali.

La Conferenza stampa ha visto la partecipazione e il sostegno dei parlamentari Livia Zanella e Francesca Ghitta di AVS, Valentina Ghio del PD, Oscar Scalfarotto di Italia Viva, oltre a Marilena Grassadonia della Segreteria Nazionale di Sinistra Italiana, che hanno dichiarato la loro disponibilità a farsi carico degli obiettivi della Campagna con iniziative presso il Parlamento.

Finché non saranno diritti per tutte, i nostri saranno solo privilegi

Molto interessante è stato anche il dibattito proposto da CISDA nel pomeriggio al Polo Civico Esquilino. A esporre le loro esperienze e le tematiche di riflessione relative al fondamentalismo religioso e politico e alle ripercussioni sulla vita e i corpi delle donne, accanto a Belquis Roshan c’erano alcune rappresentanti dell’associazionismo: l’attivista curdo-iraniana Mayswon Majidi, Celeste Grossi dell’ARCI, Mirella Mannocchio della Federazione italiana delle donne evangeliche, Lorena Di Lorenzo dell’associazione Binario 15.


In questo incontro Belquis ha avuto modo di raccontare con maggiore libertà e tempo la sua vita, iniziata durante la guerra che ha ucciso milioni di afghani e proseguita prima in Iran poi in Pakistan. Tornata in Afghanistan con la promessa degli Usa di ristabilire la democrazia, decide di impegnarsi in politica e vince varie elezioni fino a diventare parlamentare nel 2018, unica rappresentante a opporsi al patto di sicurezza con gli Usa, considerato paese invasore, e a opporsi alla liberazione delle migliaia di terroristi talebani nel 2020.

Costretta a lasciare il paese nel 2021, vive attualmente in Germania dove rappresenta la comunità afghana e lavora a sostegno delle donne afghane.

Parlando del suo paese, dice che il corpo delle donne afghane è un campo di battaglia tra Occidente e talebani, oggetto di trattativa per ottenere riconoscimento e fondi. Il governo talebano riceve sostegno economico da tutti i paesi del mondo, ma se questi aiuti non arrivassero non resisterebbe un solo giorno. Il fondamentalismo è uno strumento nelle mani occidentali per portare avanti i propri interessi geopolitici ed economici in alcune parti del mondo. “Solo con la solidarietà internazionale possiamo sopravvivere e combattere insieme le guerre nel mondo”.

Mayswon Majidi, imprigionata in Italia con l’assurda accusa di essere una scafista, e poi scagionata, ha parlato della sua esperienza di vita e di lotta con le donne curde contro il regime iraniano, lotta che è diventata globale perchè l’ADG è diffuso in tutti i Paesi anche se in forme meno evidenti. In Italia il patriarcato si manifesta con i femminicidi, in Iran con la repressione politica e la sharia. Tutte le situazioni sono legate e bisogna trovare una soluzione mondiale, fare alleanze per la pace fra tutte le donne facendo crescere in loro la consapevolezza dei loro diritti e delle loro capacità.

Mirella Mannocchio, pastora metodista presidente della FDEI, network di donne e organizzazioni appartenenti alle chiese evangeliche, da anni si impegna nella lettura della bibbia secondo una visione femminista e nella sensibilizzazione sulle tematiche che riguardano le donne.

Il termine fondamentalismo è nato all’interno del cristianesimo, da cui poi sono derivati tutti i fondamentalismi. L’idea che la donna deve avere il corpo coperto proviene dall’ambito religioso, è legata al bisogno maschile di controllare il corpo femminile che riproduce la vita, capacità interdetta all’uomo. Nelle prime comunità cristiane alle donne veniva riconosciuto un ruolo di potere, ruolo perduto con l’istituzionalizzazione del cristianesimo. Da qui la necessità di recuperare una diversa interpretazione della bibbia e dei testi.

Celeste Grossi, della segreteria nazionale dell’Arci, ha spiegato che la sua associazione fin da subito ha sostenuto la campagna contro l’ADG e sostiene le donne iraniane e afghane anche con corridoi umanitari e case rifugio. Questo non per altruismo ma nella consapevolezza che finché i diritti non saranno per tutte, i nostri sono solo privilegi. “Siamo immerse nella cultura patriarcale e abbiamo atteggiamenti patriarcali. In alcuni luoghi il patriarcato è sistematico, in altri, come qui da noi, i diritti si stanno perdendo e quindi non dobbiamo accomodarci perché i diritti non sono per sempre. Bisogna sostenere le lotte di tutte, non sono le nostre lotte, sono le nostre lotte insieme alle loro e le loro insieme alle nostre”.

Lorena Di Lorenzo ha parlato dell’Afghanistan che è in Italia, quello delle migranti afghane. L’associazione, nata sul binario 15 della Stazione Ostiense, dove arrivavano e ripartivano i migranti afghani prevalentemente maschi, è ora un luogo di amicizia e di scambio paritario con un’ottantina tra donne e bambini, con funzione ponte tra i bisogni delle immigrate e i servizi del territorio e in dialogo con chi è rimasto là.

Dal 2021 stanno arrivando donne diverse, che sono scomode in Afghanistan perché contro corrente. Costrette in un sistema di assistenza frammentario e carente, rimangono deluse nelle loro aspettative e molte se ne vanno via. Bisogna parlare di cosa manca alle donne qui e non solo in Afghanistan, far accogliere un approccio di genere nelle politiche migratorie che colga la complessità dei loro bisogni e competenze.

Il lungo incontro è stato seguito con interesse e ha visto la presenza nel pubblico di diverse donne afghane immigrate in Italia da più o meno anni interessate ad avere un confronto con chi, come Belquis, è uscita dal paese in tempi recenti e ha avuto un ruolo di donna leader nel precedente sistema. Una giusta occasione per chi è sempre stata costretta a stare in silenzio.

Gender apartheid: il gap del diritto internazionale

Apartheid di genere è un espressione sempre più utilizzata per descrivere l’oppressione sistematica che le donne subiscono in Paesi governati da regimi fondamentalisti. Tuttavia, a differenza di altri crimini riconosciuti dal diritto internazionale, non esiste ancora una convenzione specifica che definisca e sanzioni questa forma di discriminazione come crimine contro l’umanità. È quindi necessaria la creazione di un trattato che stabilisca standard internazionali per la giustizia di genere, riconoscendo ufficialmente il Gender Apartheid.

L’apartheid di genere, analogamente a quello razziale, si fonda su un sistema strutturato e sistematico di discriminazione, in cui una parte della popolazione, in questo caso donne ma anche la comunità Lgbtqia+, viene emarginata, privata dei propri diritti fondamentali e relegata a una posizione subordinata nella società. Si tratta di un meccanismo di potere che non si limita a episodi isolati di ingiustizia, ma si manifesta attraverso leggi, politiche e pratiche istituzionali che normalizzano la disuguaglianza e ne garantiscono la perpetuazione.

Clicca qui per leggere l’articolo completo pubblicato su InsideOver.

“Stop apartheid di genere”, presentata la petizione per le donne afghane

“Stop fondamentalismi, stop apartheid di genere”. CISDA , Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, ha consegnato al governo italiano i risultati della petizione che chiede il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità, il non riconoscimento del regime talebano, il sostegno alle forze afghane antifondamentaliste e democratiche.

Clicca qui per leggere l’articolo completo pubblicato su Teleambiente