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“Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese, l’Afghanistan. Noi resistiamo, oltre il silenzio”

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto Shakiba. Tempo che ha lasciato tracce sul suo volto che, ancora, anche qui, deve nascondere per proteggere la sua vita. Un peso che si intravede dietro le sue parole sicure e appassionate.

La ritrovo, come sempre, coraggiosa, tenace e fragile. Fa parte dell’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (Revolutionary association of the women of Afghanistan, Rawa) fondata nel 1977 da Meena Keshwar Kamal, uccisa nel 1987. L’associazione, da sempre clandestina, combatte per i diritti delle donne, la giustizia sociale e la democrazia e continua a portare avanti, anche sotto i Talebani, progetti di istruzione e scuole segrete per ragazze, assistenza medica, formazione professionale, informazione, sostegno alimentare. 

La vita di una militante di Rawa è un impegno totale: continuare il proprio lavoro, proteggere dalla furia talebana se stesse, la propria famiglia, le proprie compagne e le donne coinvolte nei progetti.

Che cosa significa adesso, Shakiba, sotto il regime talebano, essere una militante di Rawa?
Shakiba: È già molto difficile essere donna. Ogni giorno ci sono nuovi divieti, nuove regole per impedirci di vivere. È molto duro, specialmente per le ragazze che hanno perso il loro futuro e la possibilità di imparare. Le donne sono imprigionate nelle case e nella propria mente, non possono andare nemmeno in un parco a respirare un po’ d’aria. Ma per noi attiviste di Rawa la vita è ancora più complicata. Non possiamo stare chiuse tra le mura domestiche, impegnate solo a sopravvivere nel nulla, dobbiamo continuare a portare avanti i nostri progetti. Siamo tornati all’età della pietra e dobbiamo ricominciare da zero. Ma siamo sempre a rischio. 

Come vi proteggete?
Shakiba: Quando usciamo di casa mettiamo l’hijab con la mascherina e anche gli occhiali scuri per non farci riconoscere. Non parliamo con nessuno fuori, nemmeno quando siamo in macchina. Cambiamo casa spesso. Per la città ci muoviamo da sole ma se dobbiamo andare fuori allora ci vuole il mahram (un accompagnatore di sesso maschile, ndr), anche più di uno. Sarebbe impossibile senza. Non facciamo mai la stessa strada né usciamo alla stessa ora. Controlliamo continuamente che nessuno ci segua, devi sempre pensare a quello che potrebbe succedere. 

Una condizione psicologica molto faticosa.
Shakiba: Sì è vero, la paura è sempre con noi ed è così che deve essere, bisogna stare all’erta. Per noi, per le compagne, per la nostra famiglia. 

Come vi spostate quando andate fuori città?
Shakiba: Affittiamo una macchina. Non possiamo usare le nostre, potrebbero seguirci fino a casa. Nei primi tempi c’erano molti posti di blocco, controllavano tutto, i cellulari, le macchine. Entravano anche nelle case, cercavano soprattutto armi. Ora meno, ma quando usciamo non portiamo mai il nostro cellulare, né i documenti.

Non è una novità per Rawa.
Shakiba: Infatti. Continuiamo a cercare modi per poter lavorare segretamente e non farci riconoscere. Sono i sistemi che Rawa ha sempre usato fin dalla sua nascita. Non ci mostriamo mai, nessuno sa chi fa parte di Rawa. Usiamo nomi falsi in modo da non poter essere mai identificate. Il nostro volto non deve mai essere registrato dalle telecamere. 

Dove sono queste telecamere? 
Shakiba: Dappertutto. In tutte le strade e nelle case. Lo hanno ordinato appena arrivati. Ogni immobile deve avere la sua, a spese dei condomini. La guardia, una specie di portiere, deve badare a tenerle sempre accese. Se vogliono sapere qualcosa è obbligato a mostragli i video. Per la strada le installano loro. Per questo dobbiamo essere assolutamente irriconoscibili. C’è di buono che spesso manca l’elettricità.

Quando andate nelle province, a seguire i vostri progetti, come siete accolte?
Shakiba: Nei villaggi i Talebani sono meno pressanti che nelle città. La gente ci accoglie a braccia aperte perché abbiamo progetti di scuola, di salute, di sostegno alimentare. Li conosciamo e ci conoscono. La gente nei villaggi ha un buon cuore. 

I Talebani hanno sostegno nelle province?
Shakiba: Non tutti la pensano allo stesso modo. I Talebani hanno, anche lì, i loro follower. Ma nei tre anni passati si è diffuso molto odio tra la popolazione verso di loro. Le persone hanno sofferto tanto, anche gli uomini. I militari dell’esercito sono stati licenziati e perseguitati, negli uffici pubblici hanno messo la loro gente, moltissimi hanno perso il lavoro.

L’odio per i Talebani potrebbe un giorno diventare una resistenza organizzata per combatterli?
Shakiba: In questo momento la povertà è enorme. Le persone non riescono nemmeno a pensare al futuro, il loro unico problema è quello di nutrire i propri figli, adesso. Ma forse, quando davvero non ne potranno più di questa vita di stenti, qualcosa faranno. 

Quindi è possibile, nel futuro?
Shakiba: Forse, ma ci vorrà molto, molto tempo. Per ora, uscire allo scoperto è molto pericoloso. I Talebani sparano sui manifestanti. Se sono donne, sparano in alto per spaventarle, se sono uomini li abbattono come animali. Quando te li trovi davanti con i fucili spianati e non hai nulla nelle mani è davvero difficile resistere. Sono i fucili ad avere potere nel mio Paese. 

Vedi altri ostacoli che impediscono il formarsi di un’opposizione ai Talebani.
Shakiba: Abbiamo bisogno di istruzione e di consapevolezza politica, di capire che cosa sta succedendo, di farsi delle domande. Oggi non è così. E sarà sempre peggio. Manca una leadership, un partito forte con un progetto potente che sia un punto di riferimento. Le persone istruite, gli intellettuali impegnati, i professori, i politici in gamba hanno tutti lasciato l’Afghanistan e non c’è più nessuna istruzione per le persone che possa formare dei futuri leader.

Infatti l’istruzione è un punto chiave del vostro lavoro.
Shakiba: Sì, per noi l’istruzione e la consapevolezza politica sono fondamentali, dobbiamo dare strumenti alle persone. Dare a qualunque donna, anche se analfabeta, la possibilità di capire che cosa le sta succedendo. Anche agli uomini. Dobbiamo salvare i giovani dall’educazione fondamentalista delle madrase (le scuole islamiche, ndr). Gli fanno il lavaggio del cervello. Non possiamo ritrovarci domani con un Paese fatto solo di Talebani. Sarebbe una catastrofe.

Che tracce ha lasciato il vostro lavoro di tutti questi anni?
Shakiba: Tracce profonde. Abbiamo educato e aiutato centinaia e centinaia di persone nel corso degli anni, dal Pakistan all’Afghanistan. Sono persone che, anche se non fanno politica, e hanno scelto altre vite, sono delle brave persone, affidabili. Sappiamo che vogliono fare qualcosa per il loro Paese, hanno una buona mente e buoni pensieri. Questo li aiuterà in questo tempo selvaggio.

Da dove viene questa ossessione dei Talebani di controllare le donne?
Shakiba: Se tu fai una qualsiasi operazione sulle donne, che sono le radici di tutta la società, lo fai su tutta la famiglia. Le donne trasmettono quello che sanno. Se tu dai istruzione a una donna la dai a tutta la famiglia e se le tieni nell’ignoranza tutta la famiglia sarà ignorante. Una popolazione ignorante, spaventata e senza mezzi per capire, si può controllare meglio. Le donne devono stare fuori dalla società così tutta la società futura sarà sottomessa.

Hanno paura delle donne?
Shakiba: Sì, certo, molta, della loro resistenza, perché sanno di non riuscire a controllarle. Pensano che se le donne fossero istruite toglierebbero loro il potere o parte di esso. Sanno che se le donne decidono di fare qualcosa non si fermano davanti a niente. E possono cambiare tutto. Si sentono minacciati e le schiacciano.

Dei crimini dei Talebani non si riesce a sapere molto.
Shakiba: C’è una fortissima repressione della stampa e controllo sui social. Per questo una delle nostre attività è quella di raccogliere testimonianze sui loro crimini e sulla depressione e la sofferenza delle donne. Abbiamo dei report da ogni provincia afghana, che ci mandano le nostre colleghe. Se un giorno riusciremo a portare i Talebani davanti a un tribunale dovremo avere tutte le prove documentate.

Di quali crimini parliamo?
Shakiba: Assassinii di donne, di gente comune, uccisioni di militari, persone hazara, violenza sessuale nelle prigioni, lapidazioni, fustigazioni pubbliche. O altre cose come tagliare una mano, appendere le persone nelle strade, come nel loro primo governo. Allora le attiviste di Rawa andavano allo stadio, dove venivano punite le donne, con queste piccole telecamere che nascondevano nei vestiti e filmavano quello che succedeva. I video poi sono arrivati ovunque. Ora ci sono i telefoni, la possibilità di fare foto, è più facile sapere. Specialmente nelle province, la gente è disposta a raccontare. Ma, naturalmente, le immagini sono tracce pericolose che devono restare segrete.

Anche una guerra tecnologica con i Talebani?
Shakiba: Anche, sì. Sono diventati bravi, hanno istruttori pakistani. Ma noi siamo più brave di loro e usiamo sistemi forti che ci aiutano a resistere. 

Organizzate ancora manifestazioni?
Shakiba: Al momento abbiamo scelto di non farlo. È troppo pericoloso. Molte donne sono state arrestate, hanno subito torture e alcune sono sparite. Noi siamo preparate al peggio ma abbiamo la responsabilità di tutte le altre, della nostra associazione.

L’inferno afghano è sotto gli occhi di tutti ma nessuna nazione va oltre qualche parola di disapprovazione. Perché li lasciano fare?
Shakiba: Per molto tempo gli americani hanno trattato dietro le quinte e alla fine hanno dato il Paese in mano ai più barbari tra i fondamentalisti. La presa di Kabul dei Talebani è stata una farsa, ai soldati era stato ordinato di lasciarli passare e gli aerei per i membri del governo erano già pronti. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto i gruppi fondamentalisti e nessuno contrasta il loro progetto. Tutti ne beneficiano. Se avessimo una democrazia stabile, laica e progressista, come è nei nostri sogni, non permetterebbe agli Stati esteri di interferire con gli affari interni del Paese. Con i fondamentalisti invece, per soldi e armi si venderebbero anche la madre. È un contratto facile. Loro faranno qualsiasi cosa per te, per il tuo denaro, ti venderanno le miniere, produrranno oppio per te, ti daranno libertà di movimento sulle loro strade, in modo che tu possa controllare gli altri Paesi come Iran, Pakistan, Russia. E nelle guerre continue, nella precarietà dei popoli, si venderanno sempre più armi e si faranno affari giganteschi. Nessuno quindi ha interesse a toglierli di lì dopo che ce li hanno messi.  

La società civile dell’Occidente che cosa dovrebbe fare?
Shakiba: Dovete agire contro le politiche dei vostri governi, è la sola strada per cambiare qualcosa in Afghanistan. Fate pressione sui leader, perché non seguano le politiche sbagliate degli Usa che avete appoggiato per tanti anni. L’Occidente deve smetterla di sostenere i gruppi fondamentalisti, deve fermare questo gioco che sta distruggendo anche le radici del mio Paese. Senza sostegno i Talebani non sarebbero più in grado di gestire il Paese e crollerebbero. Non ci può essere vittoria finché questa gente verrà sostenuta e finanziata 

Su quale e quanto sostegno economico possono contare i Talebani?
Shakiba: I Talebani dicono apertamente che ricevono dagli americani 40 milioni di dollari ogni settimana, per il mantenimento dell’apparato statale. Se c’è una cosa che non manca loro sono proprio i soldi. Se una Ong vuole fare un progetto deve registrarsi e pagare delle consistenti tasse al governo. I Talebani hanno proprie Ong che sono finanziate dall’Onu. E poi hanno i proventi delle tasse, delle concessioni di miniere e altri sfruttamenti del nostro territorio. Molte nazioni hanno fatto accordi con loro: Cina soprattutto, ma anche Kazakistan, Iran e Pakistan che prende il nostro carbone. Gli accordi per affari promettenti portano a una pericolosa normalizzazione, adesso in atto, che è la base per un futuro riconoscimento del governo talebano. La schiavitù delle donne è un effetto collaterale e trascurabile. 

I Talebani hanno rivali sul territorio?
Shakiba: Ci sono diversi gruppi terroristici ma non sono una minaccia per i Talebani. Hanno il controllo dappertutto ormai. E l’Afghanistan sta diventando un “centro di servizi terroristici”, alimentati dall’Occidente. Si addestrano, raccolgono milizie, si armano. L’idea è questa: fai crescere diversi burattini, per poi poterli usare contro i tuoi rivali. Isis-K, ad esempio, è usata come minaccia contro la Russia. Gli americani si tengono buoni anche i warlords del governo precedente. Quando hanno visto che i warlords non erano più affidabili, si rivolgevano ad altri Stati, russi, pakistani, cinesi e si combattevano tra loro, hanno puntato sui Talebani che sono più stabili ma i warlords sono in attesa. Non si sa mai. 

Qual è il messaggio più forte per la vostra gente?
Shakiba: Noi siamo qui, siamo dietro di voi e non dovete perdere la speranza. Non siete soli e non vogliamo andarcene. Troppa gente è scappata in cerca di un’altra vita, ma noi restiamo al vostro fianco.  

A queste parole Shakiba si commuove e noi con lei.

L’articolo è precedentemente uscito su Altreconomia.

Afghanistan, Shakiba: “I Talebani hanno paura delle donne”

Articolo pubblicato da Luce il 30 ottobre 2024

Shakiba, esponente della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa), non ha dubbi: “La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani, il 15 agosto 2021, è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce“. L’attivista torna quindi a puntare i riflettori su una situazione, quella femminile in Afghanistan, che definire drammatica è riduttivo.

Shakiba, di cui non conosciamo il cognome e l’aspetto per questioni di sicurezza, è stata intervistata dall’agenzia Dire dopo la sua partecipazione a un panel nell’ambito del Festival Sabir a Roma, dedicato alla campagna internazionale che chiedere alle Nazioni Unite di aggiungere il reato di apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’attivista spiega le ragioni per cui l’Afghanistan è tra i Paesi simbolo per testimoniare la gravità di questo reato: “Alle donne è stato portato via tutto: il loro lavoro, la loro professione, la possibilità di accedere alle università e di andare a scuola. Non possono neanche andare nei parchi o nei bagni pubblici e devono viaggiare solo se accompagnate da un familiare maschio”, afferma.

Vietato parlare ad alta voce

L’ultimo affondo ai diritti femminili, già ridotti all’osso, è stata la dichiarazione del ministro per la Promozione delle virtù e la prevenzione dei vizi, Mohammad Khalid Hanafi, secondo cui alle donne è vietato recitare ad alta voce preghiere o versetti del Corano in casa, davanti ad altre donne adulte. “Se non possono pregare ad alta voce – ha detto il politico – come possiamo pensare che possano cantare?”. L’applicazione delle nuove norme, ha chiarito il ministro, “sarà implementata gradualmente”. Affermazioni che hanno scatenato una nuova ondata di critiche e polemiche a livello internazionale, soprattutto da associazioni per i diritti umani. Sebbene il ministro si riferisca alla preghiera, la sensazione è che il provvedimento si sommi alle disposizioni di agosto, secondo cui le donne non possono parlare ad alta voce in pubblico e mostrare il viso fuori delle mura domestiche.

L’emittente televisiva Amu Tv cita la testimonianza di Samira, un’ostetrica di Herat, secondo cui “negli ultimi mesi i controlli da parte dei talebani si sono intensificati. Non ci permettono di parlare ai posti di blocco quando andiamo a lavorare. E nelle cliniche ci viene detto di non discutere di questioni mediche con i parenti maschi”. Inoltre, alle donne è consentito studiare solo fino ai 12 anni. Un’altra testata locale, Tolo News, riporta i commenti seguiti alle dichiarazioni di Hanafi da parte di alcuni teologi che incoraggiano, invece, il governo di Kabul a permettere alle donne di studiare, evidenziando che il Corano lo consente, e che andrebbe a beneficio dell’intera società. Il discorso dell’esponente di governo, inoltre, è stato diffuso in formato audio perché la scorsa settimana il ministero ha adottato un decreto che vieta la trasmissione televisiva di immagini di esseri umani.

Le donne afghane protestano contro i talebani al potere

Le prime a resistere e a scendere in piazza contro i talebani

Shakiba riferisce di una realtà in cui “le donne che hanno provato a resistere alle decisioni dei talebani sono state torturate, arrestate, incarcerate, persino uccise. Ci sono così tante storie di donne picchiate a morte o scomparse. Coloro che avevano impieghi in polizia, nelle istituzioni di governo o all’interno delle ong sono state arrestate e spesso uccise segretamente. Le famiglie non hanno mai riavuto i corpi”. Questo ha costretto moltissime persone a lasciare il Paese, “soprattutto le donne – prosegue l’esponente di Rawa – perché non si può vivere in un paese guidato da fondamentalisti contrari al progresso, ai diritti umani e alla pace”. L’accanimento dei talebani contro le donne, secondo Shakiba, dipende dal fatto che “sono state le prime a resistere e scendere in piazza a Kabul per protestare contro il loro ritorno”. E spiega: “Nei 20 anni precedenti, avevano visto i talebani bombardare le case della gente comune e farsi esplodere negli ospedali, nelle scuole, o nei luoghi frequentati da donne e bambini. Le afghane sanno che i talebani hanno paura di loro, delle loro proteste, della loro istruzione, della loro coscienza politica”.

Le reponsabilità occidentali

L’esponente della Rawa cita anche le responsabilità della presenza Nato a guida americana in Afghanistan: “Dopo 20 anni l’Occidente ha deluso gli afghani perché ha lasciato che i talebani tornassero al potere. Gli Stati Uniti hanno invaso e occupato il mio Paese con la scusa di combattere il fondamentalismo terrorista e liberare le donne, ma non hanno mai smesso di dare armi e milioni di dollari al peggior gruppo fondamentalista al mondo. Perché – si chiede Shakiba –. Washington e i suoi alleati non hanno sostenuto le forze democratiche e progressiste che davvero volevano il cambiamento? È stata una scelta politica sbagliata, che dura da oltre 40 anni”.

Pertanto, l’attivista denuncia: “Si parla di portare i talebani davanti alla Corte penale internazionale, bene, ma non deve restare su carta, deve essere fatto”. All’Europa e soprattutto all’Italia – che ad agosto ha nominato Sabrina Ugolino nuova ambasciatrice d’Italia in Afghanistan, che sarà operativa da Doha – chiede: “Supportate i movimenti come il nostro, ma anche tutti i movimenti politici di donne che stanno soffrendo le violenze, come quelle in Siria, facendo pressioni sui vostri governi e politici affinché taglino ogni sostegno ai fondamentalisti”. Infine, un cenno alla componente maschile della società afghana: “Ci sono tanti uomini dalla mentalità aperta, istruiti, democratici, che si oppongono all’oppressione subita dalle donne. Attraverso i social media si sono attivati in tanti modi, perché pubblicamente rischiano troppo: ai cortei indetti dalle donne, i talebani infatti sparano in aria per disperderle, ma se vedono degli uomini, gli sparano contro. Pensiamo che dovrebbero unirsi e alzare la voce tutti insieme. Se l’Afghanistan vuole cambiare, dobbiamo sollevarci tutti“.

Non di solo fondamentalismo vivono i Talebani: tra oppressione, corruzione e un fiume di denaro

È risaputo: il governo talebano si sostiene con gli aiuti che i Paesi occidentali donatori, e gli Stati Uniti in particolate, inviano in Afghanistan.

I rapporti dell’Ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) l’hanno mostrato più volte. La gran parte degli aiuti che arrivano nel Paese vengono intercettati dai Talebani in vario modo e trattenuti, con le buone o le cattive, per il sostegno diretto dell’apparato statale e per foraggiare il consenso e la fedeltà dei funzionari che amministrano, mantengono e sostengono il regime ai vari livelli e nelle regioni più remote, senza che le organizzazioni preposte alla distribuzione abbiano la capacità o la volontà di controllo o rifiuto.

Ma come hanno fatto i Talebani a mettere in piedi in così breve tempo questo modello di governanceIn realtà, l’apparato era già pronto: l’economia afghana era già abituata a mantenersi grazie ai finanziamenti esterni e alla corruzione. Nei vent’anni di dominio statunitense la Repubblica islamica non aveva sviluppato un’economia indipendente e autosufficiente perché la politica Usa era stata quella di usare i “soldi come arma”, inondare cioè l’Afghanistan con un’enorme quantità di denaro per “tenere buoni” i terroristi e le possibili ribellioni senza dover intervenire direttamente con soldati e armi.

Quando gli Stati Uniti e la coalizione hanno lasciato il Paese, tutti coloro che si erano mantenuti e arricchiti grazie a questo sistema di corruzione sono scappati dall’Afghanistan o si sono nascosti ma nulla è mutato: sono semplicemente cambiati i destinatari, sono stati sostituiti dai Talebani, dai loro miliziani e sostenitori, che si sono infilati ovunque hanno potuto per accaparrarsi le fonti di reddito e di ricchezza. 

Quindi le tasse, le tangenti, i balzelli che sistematicamente e in grande quantità vengono richiesti non solo alle ricche Ong e alle istituzioni internazionali che forniscono gli aiuti ma finanche agli strati più poveri della popolazione affamata e alle più povere fra le donne, quelle senza marito e senza lavoro, vanno ad arricchire non tanto le tasche dello Stato quanto quelle personali dei ministri talebani, il loro patrimonio personale e quello dei loro affiliati, così facendo dell’Afghanistan uno Stato cleptocratico in piena regola. 

In che modo i Talebani producono la loro ricchezza? Innanzitutto attraverso le tasse, “un sistema fiscale tanto rigoroso ed efficiente da aver ricevuto gli elogi delle agenzie internazionali, che è in realtà un sistema di estorsione che mettono in atto con la loro autorità per consolidare il loro potere, sostenere la macchina repressiva, costruire madrase e moschee, promuovere la talebanizzazione della società, senza fornire alcun servizio alla popolazione. Di fatto di un sistema di estorsione rivolto a una delle popolazioni più disgraziate del Pianeta”, spiega Zan times.

Ma raccolgono le loro entrate anche attraverso la distribuzione di varie licenze e servizi per i quali possono addebitare tariffe ufficiali e tangenti non ufficiali, come per i passaporti e le carte d’identità. Nel 2022 per un passaporto venivano chiesti tra gli 800 e i tremila dollari, così raccogliendo in spese di emissione un totale di circa 50 milioni di dollari. Il prezzo delle carte d’identità è arrivato a cinque dollari, un costo significativo per più della metà dei cittadini afghani che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, e finora i Talebani ne hanno distribuito circa quattro milioni. 

Le tasse vengono riscosse anche in modo informale, attraverso visite porta a porta, con incarcerazioni, minacce e atti di violenza in caso di mancato pagamento dei dazi doganali e fiscali e delle sempre nuove tasse richieste al settore privato, esorbitanti anche per gli imprenditori. 

E poi ci sono le tangenti che vengono richieste alle donne e ai loro famigliari. Grazie alle leggi che tolgono le libertà alle donne, chi ha in mano il potere può lucrare sulle concessioni rilasciate di volta in volta. Le restrizioni per le donne a viaggiare da sole o all’estero, l’imposizione di indossare l’hijab, il divieto di lavorare sono state trasformate in fonti di guadagno per chi gestisce il potere, per quanto piccolo: molte donne hanno testimoniato che sono riuscite a passare la frontiera o a viaggiare solo grazie alle tangenti o alle multe che hanno dovuto pagare. 

Si scopre così che tutte le limitazioni imposte alla popolazione e in particolare alle donne non sono dettate solo dal furore fondamentalista dei religiosi talebani che vogliono diffondere la sharia ma di più dalla ricaduta economica che i funzionari che le applicano possono trarne in termini di tangenti, imposte per qualsiasi servizio indispensabile alla sopravvivenza della popolazione. 

Anche l’assoluta subordinazione cui sono costrette le donne e che le costringe a lavorare in condizioni di schiavitù, mentre le rende lo strato più povero della popolazione -gli aiuti umanitari arrivano per ultimi o mai alle donne e ai bambini- permette ai Talebani di arricchirsi sfruttando il loro lavoro.

Dove non bastano le tasse arriva la corruzione. Alcuni testimoni hanno raccontato a 8AM Media che la corruzione è aumentata enormemente rispetto al primo emirato. “I funzionari sono coinvolti in iniziative commerciali, nell’acquisto di terreni e case, nella costruzione di serbatoi petroliferi e nella conduzione di scambi commerciali. Inoltre si vedono casi di traffico di droga e la maggior parte dei comandanti locali, una volta insediati, prendono la seconda, la terza e la quarta moglie, organizzano nozze sontuose e comprano auto costose. Gli stessi funzionari ammettono che la corruzione, particolarmente dilagante nelle dogane, è incontrollabile, perché ogni comandante o membro talebano ha affiliazioni con il regime ed è intoccabile”. 

Nella struttura di potere talebana, dove le mogli sono considerate uno status symbol, leader, funzionari e combattenti stanno alimentando la pratica di offrire “prezzi per la sposa” superiori a quelli di mercato, sfruttando il desiderio di ingraziarsi i Talebani con un legame di sangue o la paura di ritorsioni in caso di rifiuto. 

Anche l’impiego nel governo è un mezzo con cui premiano combattenti e lealisti e allo stesso tempo puniscono chiunque non sia d’accordo con loro, perciò è stato fin da subito oggetto delle loro “attenzioni” per assicurarsene il controllo attraverso diversi assurdi decreti, come la sostituzione delle dipendenti pubbliche del ministero delle Finanze con i membri maschi della famiglia, indipendentemente dalla qualifica, o l’introduzione di un test religioso, arbitrariamente utilizzato per licenziare i lavoratori negli ospedali pubblici e a tutti i livelli del ministero dell’Istruzione.

A maggior ragione, le posizioni di potere sono state affidate ai parenti: le accuse ai leader talebani di aver nominato i propri figli e altri parenti maschi a posizioni governative sono diventate così gravi che il leader supremo Akhundzada ha emesso un decreto nel marzo 2023 che ordinava ai funzionari di smettere.

Ma se i privilegi dei piccoli funzionari servono ai Talebani per garantirsi la loro indiscussa fedeltà, i leader più potenti hanno fonti di reddito più consistenti e soprattutto si organizzano per mettere al sicuro, all’estero, le ricchezze ottenute, seguendo strade già ben consolidate dal precedente governo, cioè attraverso i viaggi.

Motivi di salute” è la scusa per aggirare le sanzioni internazionali che vietano ai Talebani al governo -tutti accusati di terrorismo internazionale già da molti anni- di viaggiare. Ma in realtà il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, il Pakistan e la Turchia sono sempre stati disposti a fornire ai singoli leader talebani un rifugio sicuro per i loro beni o per le loro famiglie, per spostare risorse finanziarie personali all’estero.

Pur facendo bilanci pubblici, il governo è riluttante a spiegare come le risorse economiche vengono usate. Per i contratti governativi, le vendite di proprietà, le licenze e le varie concessioni non esistono una contabilità e criteri per l’assegnazione pubblici, nè meccanismi di responsabilità esterna. Secondo il presidente dell’Afghan peace watch, i familiari stretti di almeno due attuali ministri ad interim talebani hanno uffici privati attraverso i quali i firmatari afghani e stranieri possono ottenere contratti governativi e altri favori per una tariffa extra.

Più che preoccuparsi per il riconoscimento internazionale, i Talebani sembrano interessati ad aumentare il loro accesso al denaro contante, e le entrate doganali sono una fonte importante di valuta, dato che la comunità internazionale ha tagliato l’accesso alle riserve di valuta estera. 

Le esportazioni e i dazi doganali legati alle risorse naturali hanno aumentato notevolmente le loro entrate. I leader talebani hanno un’influenza praticamente incontrollata sui diritti, sull’estrazione e sull’esportazione delle ricchezze minerarie dell’Afghanistan. Specialmente il carbone -che si basa sul lavoro dei bambini -, ma un rapporto delle Nazioni Unite ha indicato che contrabbandano anche pietre preziose e metalli semipreziosi verso l’Asia centrale, l’Europa e il Golfo Persico. Allo stesso modo, il disboscamento illegale e le esportazioni di legname sono diventati molto redditizi.

Anche il contrabbando è una fonte di ricchezza. Un’importante via per il commercio illecito, il traffico di droga e altre pratiche corrotte è l’Accordo commerciale di transito tra il Pakistan e l’Afghanistan (Aptta) che vede dirottare nel mercato nero del Pakistan un’immensa quantità di prodotti aggirando tariffe e dazi, secondo alcune stime per miliardi di dollari, senza che vengano imposti controlli: funzionari e agenti di frontiera vengono corrotti o costretti a non intervenire.

Ma i Talebani sono stati identificati anche come direttamente coinvolti nel traffico di armi. Con il loro permesso, i trafficanti di armi hanno fondato bazar nelle regioni di Helmand, Kandahar e Nangarhar, con armi importate da Austria, Cina, Pakistan, Russia e Turchia. 

Anche il traffico degli esseri umani a opera delle reti di trafficanti è fonte di guadagni: mentre gli alti leader talebani ne hanno annunciato il divieto, le singole guardie non disdegnano di accettare tangenti pur di guardare dall’altra parte ai posti di frontiera, secondo quanto riferito. 

E poi c’è il commercio dell’oppio, da sempre la principale fonte di ricchezza per i Talebani. Il governo ne ha proibito la coltivazione, così i prezzi dell’eroina sono aumentati in modo significativo a tutto vantaggio dei più ricchi che possono trarre profitto dalla pasta di oppio accumulata. I leader hanno vietato la coltivazione dell’oppio perché vogliono imporre la loro autorità, decidere se può essere coltivato o meno e dove farlo, cioè quali sono i trafficanti autorizzati a gestire, coltivare e trattare i narcotici. 

Infine ci sono le organizzazioni umanitarie che operano in Afghanistan: sono spesso costrette a pagare tasse, presumibilmente per garantirsi la sicurezza. I Talebani arrivano a pretendere il 15% degli aiuti delle Nazioni Unite. Ma non basta: si sono inseriti con loro affiliati in molte organizzazioni occupando posizioni strategiche così da manovrare l’assistenza indirizzando i fondi verso loro sostenitori, membri della famiglia, soldati disabili, veterani e madrasse, a volte con la mediazione dei mullah che ricoprono il ruolo di leader comunitari in cambio di una tangente. E chi riesce a ottenere gli aiuti viene tassato anche fino al 66% di quanto ricevuto. Inoltre hanno costituito e registrato Ong proprie, che controllano direttamente e attraverso le quali possono ricevere gli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali e distribuirli nelle località con maggiori affinità politiche, etniche, regionali e religiose.

Ma quanti soldi sono riusciti a ottenere in questo modo? Se guardiamo ad esempio agli aiuti inviati dagli Stati Uniti, che sono di gran lunga il principale donatore, il Sigar rivela che dall’agosto 2021 i partner attuatori statunitensi hanno pagato al governo talebano in tasse, commissioni, servizi almeno 10,9 milioni di dollari. Ma il Sigar ritiene che, poiché i pagamenti delle agenzie Onu che ricevono fondi statunitensi non sono soggetti a controlli, l’importo effettivo potrebbe essere molto più alto, se consideriamo che dall’ottobre 2021 al settembre 2023 le Nazioni unite hanno ricevuto 1,6 miliardi di dollari dagli Stati Uniti, su un totale di aiuti statunitensi di 2,9 miliardi di dollari nel triennio. Tutti soldi che mantengono i Talebani al potere perché pagano i privilegi e la corruzione dei loro fedeli funzionari corrotti e dei loro sostenitori per assicurandosi il loro appoggio.

Che cosa accadrebbe se questi aiuti smettessero di arrivare? 

Buona parte della documentazione a supporto di questo articolo è tratta dal Report del George W. Bush presidential center “Corruption and kleptocracy in Afghanistan under the Taliban”.

Beatrice Biliato è un’attivista di CISDA

L’articolo è uscito il 22 ottobre 2024 su Altreconomia.it

Roma, incontro con Shakiba, militante rivoluzionaria afghana

Articolo pubblicato da Pressenza International Press Agency 

Martedì 15 ottobre 2024, a San Lorenzo, nel rosso quartiere che fu uno dei fulcri della Resistenza romana (fu infatti il solo quartiere che respinse i fascisti perfino nei giorni della Marcia su Roma) si è tenuto un importante incontro, nella storica sede di Sinistra Anticapitalista, organizzato in collaborazione con il Cisda,  Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane, per dare voce alla partigiana nonviolenta (nell’eccezione più vera e rivoluzionaria di questo termine) Shakiba, militante di Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), ossia l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan.

Per ovvi motivi di sicurezza nessuno ha potuto fotografarla, filmarla e neppure registrare la sua voce. A me tocca l’arduo compito di tentare di riportare, nel modo più fedele possibile, i suoi ragionamenti.

Rawa nacque nel 1977 grazie alla caparbietà di Meena, un’interessantissima figura di intellettuale e militante rivoluzionaria marxista e femminista, che andrebbe meglio conosciuta anche da noi per il suo esempio e le sue lucidissime analisi.

Le donne di Rawa hanno tra i loro sostenitori moltissimi uomini, che simpatizzano e appoggiano l’organizzazione perché sono consapevoli che non ci sarà mai libertà in Afghanistan senza la liberazione delle donne, in particolare di quelle delle zone rurali, oppresse da secoli di patriarcato.

Fin dall’inizio le sue militanti furono costrette ad agire nella clandestinità, perché si opponevano fieramente da un lato all’invasione sovietica, che fu tutt’altro che un aiuto fraterno, dall’altro alle milizie fondamentaliste dei sedicenti “mujāhidīn”, armate, finanziate e addestrate dagli Usa, attraverso la Cia, in funzione antisovietica.

Shakiba, come a suo tempo sosteneva Meena, chiarisce subito, anche per sgomberare il campo da ogni possibile strumentalizzazione islamofoba, che l’Islam in quanto tale non c’entra nulla in questo conflitto di genere: non si tratta di una questione religiosa, ma di una  manipolazione e strumentalizzazione della religione per ciniche finalità di potere.

Lo stesso, dice Shakiba, è accaduto e accade per il cristianesimo e perfino per gli ideali comunisti, quando sono stati e sono tuttora utilizzati come ideologia utile a sostenere regimi criminali e dispotici.

L’ Afghanistan è da secoli un Paese islamico. Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si stava rapidamente secolarizzando e aveva avviato un pacifico processo di laicizzazione, rispettoso della fede islamica professata della stragrande maggioranza dei suoi abitanti.

L’ invasione sovietica e il cinico utilizzo da parte degli Usa dell’islamismo politico, importato come ideologia dall’Arabia Saudita, hanno prodotto, insieme alla barbarie di decenni di continue guerre, il disastro e l’arretramento attuali, soprattutto se si considerano i risultati ottenuti durante questo rapido processo di democratizzazione.

Purtroppo attualmente un ruolo negativo nelle vicende afghane è giocato perfino dall’Onu, che poco o nulla fa per denunciare l’apartheid di genere; Russia, India e Cina riconoscono l’attuale governo dei talebani per ragioni economiche e geostrategiche e ovviamente questo avviene a scapito dei tanto proclamati quanto inattuati Diritti Umani.

Queste strane alleanze o aperture dei principali Paesi dei Brics influiscono negativamente sulla creazione di una rete capillare di solidarietà internazionalista; un certo atteggiamento, che io chiamo campista, è diffuso infatti tra alcune formazioni della sinistra radicale e comunista occidentale, che si disinteressa delle lotte delle donne curde, iraniane e afghane perché questi movimenti femministi si battono contro Paesi riconosciuti come nemici del nostro maggior nemico, il governo degli Stani Uniti d’America.

L’attuale, drammatica situazione economica afghana è il frutto di decenni di oppressione. Le donne di Rawa sono militanti politiche, ma considerano fondamentale impegnarsi concretamente a favore delle donne e del loro popolo.

L’intento principale è quello di creare un sistema scolastico alternativo, necessariamente clandestino, ma di alta qualità, per dare un’istruzione laica, democratica e progressista a tutti i bambini e soprattutto a tutte le bambine e ovviamente alle giovani afghane, a cui lo studio viene totalmente precluso dopo i 13 anni.

Giustizia sociale, libertà, governo laico e secolare, rispetto dei Diritti Umani sono i principali obiettivi del programma politico di Rawa che, in quanto nemica di ogni forma di oppressione, è stata ferocemente combattuta da tutti i governi afghani.

Il lavoro sociale politico e umanitario di Rawa in Afghanistan e nei campi profughi in Pakistan non si è mai fermato nonostante la feroce repressione.

Rawa ha inoltre sempre denunciato la corruzione dei partiti jeadistii, dei talebani e del governo corrotto e collaborazionista imposto dopo l’occupazione americana.

Il sito di Rawa e la rivista “Payam-e-Zan” (il messaggio delle donne”) diffondono in Afghanistan e nel mondo il loro programma, le notizie dall’Afghanistan e dal Pakistan e i messaggi di solidarietà che giungono da ogni parte del mondo.

Shakiba ci tiene a denunciare il regime sionista e a esprimere la sua totale solidarietà alle donne palestinesi e libanesi e ai loro popoli martoriati in un vero e proprio genocidio orchestrato dal governo israeliano.

Servono mobilitazione mondiali di vero internazionalismo tra i popoli, fondato sul rispetto dei diritti umani, che non dimentichi e non strumentalizzi le lotte delle donne; le rivoluzionarie iraniane sono da sempre nostre sorelle, continua Shakiba.

I talebani non sono affatto cambiati, si sono semplicemente fatti più furbi e spregiudicati, ma sono e restano un movimento politico fascista che manipola l’autentica fede islamica del popolo e gestisce la produzione dell’oppio ricavandone enormi profitti.

A un certo punto Shakiba ha un istante di commozione e poi si scusa: “Non dovevo, dobbiamo essere forti, farci forza, non sono venuta qui a piangere, ma a intessere relazioni politiche. Ho pensato alle mie figlie in Afghanistan, che ho lasciato per questo breve tour politico, ma che a breve raggiungerò nuovamente. Mi dicono spesso: ‘Tu che puoi farlo perché non lasci l’Afghanistan con le tue figlie per assicurare loro un futuro migliore?’

Io esprimo la mia totale solidarietà ai milioni di profughi che hanno lasciato il mio Paese e che l’Europa ha il dovere di accogliere come rifugiati politici e invece lascia morire di freddo al confine polacco e nel Mediterraneo, dopo aver per secoli sfruttato le risorse del mio Paese e portato decenni di guerre e un fondamentalismo prima pressoché assente.

Io sono una militante rivoluzionaria, come le mie compagne e come gli uomini che ci sostengono e con cui lavoriamo, ad esempio il Partito laico e di sinistra vera Hambastaghi, Solidarietà, che, ormai clandestino anche in Pakistan, unisce donne e uomini pashtu, hazara, tagik, di ogni fede e che lotta con noi per la libertà del popolo afghano.

Noi donne di Rawa non ce ne andiamo, anche se alcune di noi, io stessa, possiamo farlo e lo facciamo per le nostre missioni all’estero, dopo le quali rientriamo in Afghanistan.

Sentiamo la responsabilità umana e politica di restare a lottare perché le donne più fragili dei villaggi rurali non possono permettersi per ragioni economiche di migrare abbandonando il Paese.

Attualmente gestiamo scuole segrete, in case sicure, parliamo con i vicini, abbiamo cresciuto culturalmente moltissime ragazze e ragazzi. Le scuole religiose indottrinano al fondamentalismo i giovani, vogliono farne fanatici assassini.

Abbiamo un team medico itinerante e portiamo medici e farmaci anche durante le catastrofi naturali, che sono sempre più violente anche per via dei mutamenti climatici frutto delle politiche scellerate dei Paesi più industrializzati.

L’oppressione politica, culturale ed economica blocca però le mobilitazioni ambientaliste. Il popolo è talmente oppresso dalla dittatura e dalla quotidiana lotta per la sopravvivenza da non riuscire a mobilitarsi sulle questioni ambientali, anche se noi siamo i primi a pagare le conseguenze di un modello di sviluppo disastroso per il futuro dell’umanità. Nelle nostre scuole insegniamo queste problematiche.

Ora la priorità e la precondizioni di ogni altra lotta è la fine del regime talebano”, conclude Shakiba.